Di Raffaele Romano *

In una disastrata situazione finanziaria, industriale e culturale l’Italia si contorce da un trentennio immergendosi, di volta in volta, in un becero populismo che promette la luna ma che non è in grado di garantire niente, nemmeno quello che già aveva.

Ci hanno provato in moltissimi da Berlusconi a Prodi, da Dalema ad Amato, da Monti a Draghi, passando per Gentiloni e Conte fino all’odierna Meloni ed i risultati sono stati negativi. L’unica cosa che è prevalsa su tutto è stata la litigiosità, le invettive e le invocazioni pseudo religiose fatte da tutti attraverso anatemi, sdegno, imprecazioni, esecrazioni, disprezzo, scomuniche e fior di frasi ripetute ogni qualvolta è accaduto qualcosa per cui “sia fatta piena luce”, “che non si ripeta mai più”, “inaccettabile” oppure appelli dal sapore papalino come “bisogna costruire la pace” oppure “bisogna arrivare alla pace” dove l’aspetto ridondante prevale su razionalità e capacità decisionale pari a zero.

Infatti usano una serie infinita di parole ampollose, spesso barocche, enfatiche, gonfie, magniloquenti, opulenti, pesanti, pompose, roboanti, retoriche e anche turgide fino ad arrivare alla nomina, da parte di Mario Draghi, a Giggino da Pomigliano quale Rappresentante speciale dell’Unione Europea per la regione del Golfo Persico di cui, in questo bollente periodo storico, si nota e molto la sua presenza.

Ma, prima della disastrata situazione industriale e finanziaria ce n’è una che è propedeutica: quella culturale, dove alcune categorie filosofiche hanno quasi in modo totale preso il sopravvento: la narrazione che ha oscurato la Storia e, soprattutto l’idealismo che non ha fatto nascere l’empirismo.

In questo disastrato paese, il minuscolo non è un errore, sono state iniettate dosi massicce di “narrazioni”, molto spesso costruite a tavolino, piuttosto che di Storia che si scrive solo con documenti. Spesso le citate narrazioni sono servite al “potere in senso lato ed ampio” nella costruzione di artificiali verità mentre la Storia si basa su ricerche documentali e solo anni dopo spiega quanto era avvenuto.

Gli esempi potrebbero essere tantissimi come quello legato al costruito mito di John Kennedy che ne azzeccò pochissime sul piano politico internazionale o anche a quello che ritiene, ancor oggi, i meridionali “terroni” in diverse zone del nord Italia. Valga in questa sede un esempio per tutti: chi non conosce il mitico motto inventato dal cinema nostrano: “italiano brava gente”? Il 16 febbraio 1943 le forze italiane di occupazione in Grecia radunarono e uccisero oltre 150 civili, seppellendoli in fosse comuni.

La strage avvenne a Domenikon, un paese della Tessaglia che si trova a poco più di 400 km a nord di Atene dove avvennero numerosi casi uguali alla “Ciociara”. L’unica sfortuna per i greci è che non hanno avuto un Vittorio De Sica portandolo in un film fino all’Oscar. Non fu l’unico caso ce ne furono altri 400 in centri rurali sparsi tant’è vero che nel dopoguerra vennero fatte ben 180 richieste di consegna di criminali italiani da parte greca a cui ne seguirono 140 dall’Albania, 750 dalla Jugoslavia ed innumerevoli quelle provenienti dalla Libia, dalla Somalia, dalla Etiopia ed Eritrea.

Fu costituita la solita commissione d’inchiesta parlamentare con a capo l’on. le Gasparotto che in 5 anni produsse poco o nulla. Le narrazioni vengono inculcate prevalentemente attraverso Tv, radio e carta stampata che cancellano la Storia. La narrazione è talmente dilagata, quale forma ancestrale e potentissima di condizionante comunicazione, che è divenuta il modo di manipolare e che ha, come scopo principale, quello di condizionare e influenzare le menti altrui.

La Storia, invece, deriva dal greco “Istoria” che significa “ricerca e indagine” ed è la disciplina che si occupa dello studio del passato attraverso l’uso di fonti certe e di documenti ufficiali che trasmettono il sapere del passato. Bisogna rendersi conto che “se non si conosce la Storia non si può capire il presente e né, tantomeno, pensare di costruire il futuro”. Molti elementi della nostra Storia narrati e non storicizzati ci hanno reso un aggregato di approssimazioni e di vacuità che sono state inculcate nella società e che nemmeno le prove documentali riescono più a rimuovere.

L’altro forte elemento subculturale è quello legato all’italico idealismo che sovrasta totalmente l’empirismo. “L’idealismo è la convinzione che dovremmo adottare principi morali sempre, pur se essi hanno forti effetti negativi sulla nostra vita. L’empirismo, invece, è il rifiuto dell’idealismo. Se i principi dell’idealista si intromettono, l’empirico fa tutto ciò che è ritenuto pratico ed utile, senza preoccupazione alcuna.” Fra queste due scuole di pensiero l’italiano medio, non me ne voglia il lettore, ha scelto la doppia e comoda via: quella dell’imperativo ideale con una concezione etica forte e rigorosa per quanto riguarda tutti gli altri mentre, per sé, fa tutto ciò che ritiene pratico e conveniente senza preoccupazioni morali.

La mancanza di un sano empirismo ci fa rincorrere ed amplificare principi astratti in assoluto sui quali tutti si trovano d’accordo ma spesso si annunciano cose a dir poco inverosimili ed assurde come “abbiamo eliminato la povertà!” a cui un italiano su 3 ha creduto, cosa che se fosse stata detta in qualsiasi altro paese il soggetto sarebbe stato portato in trattamento sanitario obbligatorio.

In estrema sintesi l’empirismo in cui la scuola, il lavoro, la politica e la cultura dovrebbero immergersi totalmente dovrebbe far proprio un importante pensiero della filosofia cinese: “non importa che il gatto sia bianco o nero; cio’ che conta è che acchiappi i topi!” purtroppo quasi sempre gli italiani fanno la guerra sui colori e perdono di vista la sostanza, in questo fortemente condizionati dalle narrazioni imperanti.

Un ultimo e scottante tema che abbiamo sempre affrontato in chiave “idealistica” e mai in modo “empirico” in Italia riguarda il finanziamento della politica e della fede. Un elemento così chiaro ed empirico è legato al fatto che, per svolgerli entrambi, occorre danaro. E qui l’idealismo assume forme parossistiche infatti si pretende da coloro che si cimentano in politica virtù da santi che, invece, dovrebbe essere una categoria che afferisce la fede. In Italia, a proposito della fede, fu scelta la strada del finanziamento statale pubblico, l’8 per mille e che quindi paghiamo tutti noi.

In Germania e non solo la fede la pagano gli adepti e non lo Stato con il pubblico finanziamento. I tedeschi devono scrivere nella propria dichiarazione dei redditi l’appartenenza alla religione cattolica, protestante o ebraica ed in quel modo si autorizza lo Stato tedesco a prelevare dal dichiarante una precisa percentuale dal proprio reddito lordo. Se si passa alla politica che, sempre in Germania a mò di esempio europeo, costa 30 volte quella che costava in Italia ai tempi della prima Repubblica la situazione è stata affrontata e risolta in modo empirico partendo dalle effettive necessità e bisogni dei partiti come “garanzia a difesa della democrazia”.

Per far orientare empiricamente e non idealmente chi legge la sproporzione è enorme, infatti a fronte degli oltre 1.000 milioni (un miliardo e più) di euro l’anno che la Chiesa ha ricevuto ogni anno negli ultimi anni si contrappongono le poche decine di milioni di euro ricevuti da tutti i partiti politici. Per dare un duro colpo empirico agli italici idealismi a tutt’oggi i partiti politici tedeschi (socialisti, democristiani, verdi ecc.) hanno incassato negli ultimi due decenni più di 160 milioni di euro annui con un tetto già prestabilito che può arrivare al massimo a 190 milioni annui.

Una particolarità del sistema tedesco, poi, sono le Fondazioni politiche, che sono entità vicine ai partiti sebbene abbiano una distinta personalità giuridica e che ricevono altri finanziamenti.

 

*Raffaele Romano

Nato a Napoli, ha studiato storia e filosofia. Ha collaborato con il quotidiano economico-finanziario Ore 12, con l’Avanti, con l’Eco del Golfo e la rivista Events Karate.

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