Recensione a cura di Daniela Piesco direttore responsabile
Sono oltre cinquanta le voci che compongono questo Dizionario politico minimo di Luciano Canfora intervistato da Antonio Di Siena.Il grande storico e filologo spazia dall’antichità al mondo contemporaneo, dalla politica alla storia, dalla filosofia alla cultura, per aiutare il lettore a capire la complessità di parole di cui si dà troppo spesso per scontato il significato. E, per il tramite di quelle, approfondire le principali questioni politiche del nostro tempo.
Il vocabolario si apre con i versi di Bertold Brecht “dall’ignoranza politica nasce la prostituta, il bambino abbandonato, il ladro il peggiore di tutti i banditi: il politico imbroglione, corrotto lacchè delle imprese nazionali e multinazionali”.
E dunque il dizionario si propone di essere un piccolo breviario laico contro il diffuso analfabetismo politico e magari un punto di riferimento nel dibattito intellettuale
All’inizio avrebbe dovuto essere un libro-intervista, ha poi assunto la veste del dizionario perché si tratta di una forma di comunicazione che si è ritenuta più incisiva. Catalogare le parole aiuta a far emergere uno dei principali problemi del nostro tempo: quello dello svuotamento e della banalizzazione delle parole. Di fatto le parole vengono oggi deliberatamente impoverite di tutti quei significati che non sono adeguati a reggere e diffondere la narrazione dominante.
Per quel che concerne la mia analisi vorrei soffermarmi sul concetto di Storia e su quello di Sinistra .Il primo viene inteso come conflitto in quanto viene placidamente sostenuto che non ci sarà mai storia senza guerra. Il secondo come totalmente svuotato della tutela dei diritti sociali.
Ebbene la Storia come conflitto è un concetto vicino a Freud che lo dice in quell’intenso carteggio con Einstein, nel quale lo scienziato esperto di profondità cosmiche chiede all’esperto di profondità interiori se potrà esserci umanità senza guerra. La pace infatti si fonda oggi sul deterrente atomico e non su un sedicente progresso etico. Il maestro Canfora afferma anche che l’etimologia di “pace” è “tregua” quindi gli antichi greci intendevano la pace sempre come fase tra un conflitto e l’altro.
Verrebbe da chiedersi se possa esserci umanità senza guerra..
Se non si intendesse la guerra solamente come una forza sterminatrice, anche se questo aspetto è certamente reale, si riuscirebbe ad intravedere nella stessa anche un elemento di emancipazione. In qualche caso puramente teorico, in altri molto più esplicito. Si pensi ad esempio alle lotte di liberazione nazionale e al processo di decolonizzazione. Sono guerre che vedono una grande asimmetria militare e in esse la fazione che cercava la propria emancipazione era anche dipinta come barbara e criminale, oggi diremmo terrorista. La storia è fatta di conflitti e la guerra è l’estrema ratio per cercare di risolverli.
Ogni tanto dovremmo ricordarci che in nessuna vicenda storica esistono buoni o cattivi, si tratta di rappresentazioni utili alle fazioni: incensare se stessi e demonizzare il nemico.
Ciò non toglie che le politiche espansionistiche israeliane, che con le colonie sta occupando abusivamente un territorio non suo, sono illegali e contrarie al diritto internazionale. E che quanto accade a Gaza da mesi è un vero genocidio, una mattanza atroce e criminale di cui non si può tacere.
In ultimo un breve accenno merita la voce “Sinistra”: secondo Canfora, l’Unione europea ha sottratto i diritti sociali alle patrie e dunque alla sinistra non restano che quelli civili.
La verità,sostiene inoltre, è che dei diritti sociali non se ne occupa più nessuno; sono stati teoricamente avocati ma nei fatti naufragano. E questo per una serie di ragioni. Si pensi al parlamento europeo, un’istituzione che è praticamente un organo consultivo o poco più. Allo stesso modo i parlamenti nazionali, esautorati di ogni capacità concreta, non possono occuparsene. Al contrario per promuovere i diritti civili non servono grandi risorse economiche, come richiede invece il welfare. Per affermare efficacemente i diritti sociali, invece, occorrono ingenti risorse economiche, tantissimo denaro. Il grande leviatano Ue ha accentrato a sé tutte le leve funzionali a realizzare politiche sociali, ma si guarda bene dall’usarle perché il fine dell’Unione non è l’emancipazione: è il mercantilismo. E i popoli restano imbrigliati in un sistema di austerità perpetua che non offre alcuna prospettiva. All’interno di questo quadro, in cui tutto il potere è detenuto da organismi di fatto non sottoposti ad alcun controllo politico (come la Commissione Europea e la BCE), è evidente che chi, nei propri territori nazionali, vuol farsi portatore di istanze sociali non ha alcuna possibilità reale di metterle in pratica. Di far comunicare il processo di raccolta dell’istanza (la base) con chi si deve occupare di trasformarla in provvedimento concreto (governi e parlamenti). Da qui nasce l’incapacità totale della sinistra di essere oggi vera forza emancipatrice.
Ma il guaio è che loro per primi faticano a capirlo.