Secondo un rapporto indipendente Israele non ha fornito prove di legami tra dipendenti di Unrwa e Hamas, ora i governi occidentali che hanno tagliato i fondi faranno marcia indietro?
A 250 giorni dall’attacco del 7 ottobre, Israele non ha ancora fornito alcuna prova che dimostri che dipendenti di Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso ai profughi palestinesi, avessero legami con Hamas o con il Jihad islamico palestinese.
È la conclusione di un rapporto delle Nazioni Unite stilato da una commissione indipendente in seguito ad un’inchiesta internazionale condotta da un team di ricercatori guidato dall’ex ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna. Le accuse nei confronti dei dipendenti dell’agenzia, che dal 1949 fornisce assistenza ai profughi palestinesi, erano state mosse dallo stesso governo israeliano, secondo cui tra i dipendenti e i collaboratori di Unrwa ci sarebbero state “centinaia di terroristi” affiliati ai gruppi armati palestinesi e coinvolti nell’attacco condotto da Hamas.
Dopo diverse sollecitazioni, a gennaio, Israele aveva fornito una lista di 12 persone, dipendenti di Unrwa, accusate di aver partecipato all’operazione: di questi, due erano risultati deceduti e altri 10 erano stati licenziati preventivamente, pur in assenza di prove, per proteggere la reputazione dell’Unrwa e le sue operazioni a Gaza. Una precauzione che non è comunque servita a tutelare l’agenzia, i cui donatori si sono dimostrati fin troppo zelanti, tagliando i finanziamenti prima ancora di ottenere alcuna prova delle complicità in questione.
Il rapporto redatto dalla commissione Colonna esclude esplicitamente i 12 dipendenti segnalati da Israele, oggetto di un’inchiesta separata dell’Onu ancora in corso.
Complici di un massacro per fame?
Nonostante le accuse mosse all’agenzia Onu appaiano vaghe e sguarnite di prove, hanno comunque causato all’Unrwa danni enormi. Le accuse di Israele, raccolte in un dossier di sei pagine, sono bastate a Stati Uniti, Germania e Unione europea per sospendere i loro contributi che, nel 2022, valevano rispettivamente 343, 202 e 114 milioni di dollari.
Circa 18 paesi, tra cui alcuni dei maggiori finanziatori internazionali, hanno sospeso la loro collaborazione con l’agenzia all’indomani delle accuse, in attesa di maggior chiarezza. Gli Stati Uniti hanno deciso che non riprenderanno il versamento di fondi – indipendentemente dalle conclusioni del rapporto – almeno fino a marzo 2025. Anche se nelle ultime settimane almeno dieci paesi hanno fatto marcia indietro ripristinando gli aiuti, l’agenzia stima una perdita netta di circa 450 milioni di dollari. Fra i paesi che non hanno ripreso a finanziare Unrwa, oltre agli Stati Uniti, ci sono Italia,Regno Unito, Paesi Bassi, Austria e Lituania. Chris Gunness, portavoce dell’agenzia per 11 anni fino al 2019, ha affermato che i donatori che hanno tagliato i fondi si stanno rendendo “colpevoli di complicità” in un “massacro al rallentatore” per fame.
Nella Striscia di Gaza, infatti, l’Unrwa provvede al sostegno alimentare dell’87% della popolazione.
Israele vuole sbarazzarsi di Unrwa?
Le conclusioni del rapporto Onu sono state fortemente criticate dal governo israeliano. “Hamas si è infiltrato così profondamente nell’Unrwa che non è più possibile determinare dove finisce l’Unrwa e dove inizia Hamas”, ha tuonato un portavoce del ministero degli Esteri paragonando l’agenzia a un “albero marcio e velenoso le cui radici sono Hamas”.
Le accuse all’agenzia da parte di Tel Aviv non sono cosa nuova, e secondo diversi osservatori rispondono ad una più ampia campagna volta a sbarazzarsi dell’agenzia la cui stessa esistenza – separata da quella dell’Unhcr che si occupa di rifugiati a livello globale – riconosce di fatto lo sfollamento forzato della popolazione palestinese nel 1948 noto in arabo come ‘Nakba’. Secondo molti, nel governo israeliano, la sostituzione di Unrwa con altre organizzazioni umanitarie aprirebbe la porta alla rimozione dello status di rifugiati dei palestinesi, e del “diritto al ritorno” – sancito dalla Risoluzione 194 dell’Onu – che all’articolo 11 stabilisce il diritto per i profughi palestinesi e per i loro discendenti a tornare nei villaggi e nelle città da cui furono sfollati nel 1948 e nel 1967.
A marzo il capo dell’agenzia Philippe Lazzarini aveva avvertito di “una campagna deliberata e concertata” per porre fine alle sue operazioni. L’Unrwa impiega 32mila dipendenti, 13mila dei quali a Gaza. Ad oggi serve 5,6 milioni di rifugiati, in campi nei territori palestinesi occupati, in Giordania, Libano e Siria.
Intanto la guerra va avanti?
Mentre dal Qatar non trapela nulla che possa far sperare in una prossima ripresa dei negoziati, a fare notizia è il ritrovamento di diverse fosse comuni nei pressi dell’ospedale al Nasser di Khan Younis, occupato dalle truppe israeliane nelle scorse settimane. “Alcuni erano ammanettati e spogliati dei vestiti, altri sono stati giustiziati a sangue freddo”, ha detto un medico presente, accusando l’esercito israeliano di aver cercato di “nascondere i suoi crimini” seppellendo frettolosamente i morti, che si aggiungono a quelli di un’altra fossa comune rinvenuta intorno all’ospedale Shifa di Gaza.
E mentre in Cisgiordania cresce la tensione in seguito all’uccisione di almeno 14 palestinesi, diversi dei quali combattenti, durante la lunga incursione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Nur Shams e in alcune aree vicino alla città di Tulkarem, in Israele fa discutere la lettera di dimissioni presentata da Aharon Haliva, il generale al comando dell’intelligence militare il 7 ottobre. Spiegando che resterà in carica fino alla nomina di un sostituto, Haliva si è assunto la responsabilità per il “fallimento” di quel giorno in cui, assieme ai suoi uomini, si è fatto “cogliere di sorpresa” da Hamas.
Le dimissioni hanno riacceso il dibattito sulla necessità, per lo Stato Ebraico di fare i conti con quanto accaduto e sul mancato allarme degli apparati di sicurezza, nonostante gli avvertimenti ricevuti da alcune autorità competenti. Una questione che chiama direttamente in causa il premier Benjamin Netanyahu che ha ammesso solo in parte le sue colpe e ha rinviato ogni decisione alla fine della guerra.
“Sarebbe opportuno – ha detto il capo dell’opposizione Yair Lapid, commentando le dimissioni di Haliva – che il primo ministro Netanyahu facesse lo stesso”.
Istituto Ispi