Dalle esigenze socio-economiche alle ambizioni ambientali del Green Deal, il rapporto tra legislatori europei e settore agricolo resta complicato. Ecco gli scenari post-elezioni.
di Stefania Petruzzelli*
A differenza delle elezioni del 2019, caratterizzate dal fervore delle manifestazioni globali a favore della causa climatica, il prossimo voto è prevalentemente dominato dalle preoccupazioni sulla sicurezza internazionale e sull’aumento dei prezzi. Sebbene l’attenzione sia attualmente rivolta a tali questioni, ritenute a ragione più urgenti, oggi, tuttavia, non deve essere trascurato in alcun modo l’impatto potenziale delle imminenti elezioni sulle politiche alimentari (che – occorre ribadirlo – hanno già subito cambiamenti significativi a seguito del conflitto in Ucraina). Queste, difatti, non solo sono fortemente interconnesse con molti tra i principali punti focali delle europee in quanto artefici e vittime del cambiamento climatico, ma riflettono anche il delicato bilanciamento di precari equilibri geopolitici.
Tra proteste e riforme: un equilibrio da ridefinire
L’Europa è reduce da un’ondata di proteste sollevata dall’aumento dei costi di produzione agricola, dal calo dei profitti, dall’inasprimento dei processi burocratici, dall’assenza di sussidi adeguati a facilitare la transizione e dalla concorrenza e competizione con i prodotti esteri. Insieme al conflitto scoppiato a febbraio 2022 e alla conseguente crisi alimentare, il malcontento ha condotto alla riforma della Politica agricola comune (PAC) – a cui è destinato circa un terzo del bilancio dell’UE – in direzione della rinuncia di alcuni obiettivi ambientali e a favore di una sicurezza e di una produttività alimentare a breve termine, pur in un instabile equilibrio con le ambizioni a lungo termine del Green Deal. Tra le altre modifiche, basti citare, a titolo esemplificativo, la reintroduzione della possibilità per gli agricoltori di coltivare terreni incolti, inizialmente destinati al ripristino della natura (secondo la Nature restoration law, che prevedeva la ricostituzione del 20% delle aree marine e terresti dell’UE entro il 2030 e degli ecosistemi degradati entro il 2050), e la sospensione delle norme sulla rotazione annuale delle colture.
Nei prossimi mesi, dunque, l’Unione europea si troverà necessariamente ad affrontare queste e ulteriori questioni riguardanti importanti ambiti di regolamentazione e sviluppo delle politiche alimentari. In primo luogo, sarà necessaria un’aggiuntiva revisione della legislazione sul benessere degli animali, comprensiva dell’adeguamento e dell’applicabilità in tutti i Paesi membri. Altrettanto inevitabile sarà la revisione della normativa sui pesticidi, più volte criticata per l’insufficiente rigore in termini di tutela della salute umana e ambientale, e della proposta di deregolamentazione dei nuovi OGM, rispetto ai quali sembra difficile trovare una proporzione tra innovazione scientifica e sicurezza alimentare. Un altro dossier che l’UE dovrà senz’altro rielaborare, considerato l’indubbio legame della tematica con il riscaldamento globale, è quello relativo alla legge sui sistemi alimentari sostenibili (SFS). Di certo, la definizione di un quadro giuridico integrato, che includa pratiche agricole sostenibili, sicurezza alimentare e riduzione dell’impatto ambientale, deriverà in gran parte dai risultati dalle prossime elezioni perché da queste dipenderà l’equilibrio (o lo squilibrio) di tali fattori.
Le posizioni dei gruppi partitici europei: da un estremo all’altro.
Allo stato attuale, è innegabile che alcuni partiti politici percepiscano la sostenibilità ambientale come un’ideologia pressocché estremista, mentre altri sono convinti che, senza una protezione ambientale a lungo termine, pur a discapito della produttività immediata, l’agricoltura non possa sussistere.
A un estremo, c’è Identità e democrazia. Nel suo programma non c’è menzione dell’agricoltura. Tuttavia, i candidati occupano perlopiù posizioni fortemente critiche nei confronti degli obiettivi imposti al settore primario dal Green Deal e dell’articolato meccanismo burocratico della PAC e supportano il ritorno a un sostegno del reddito piuttosto che alla pur urgente riconversione ambientale.
Su posizioni di compromesso si posiziona il gruppo dei Conservatori e riformisti europei (ECR), che propone una revisione significativa del Green Deal, fondata su una base più rigorosa e scientifica, e della PAC, mirata alla riduzione della burocrazia e all’ottimizzazione dell’efficienza del settore agricolo. Quest’ultima prevede una strategia climatica maggiormente localizzata e bilanciata che consideri anche il benessere socioeconomico delle comunità coinvolte.
Il Partito popolare europeo (PPE) sostiene che la protezione del clima e della biodiversità possa e debba essere realizzata insieme agli agricoltori, e non contro di loro, tramite l’adozione di un approccio neutrale dal punto di vista tecnologico e l’offerta di incentivi per l’innovazione tecnologica; incoraggia l’impiego di biotecnologie avanzate a contrasto del cambiamento climatico, sostenendo che l’Europa non debba deindustrializzarsi, ma, al contrario, valorizzare le sue imprese per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Dal canto suo, Renew Europe ritiene che la sostenibilità e l’agricoltura non siano in conflitto. Il gruppo propone, difatti, misure a breve termine per aiutare gli agricoltori a fronteggiare shock economici e amministrativi, alleggerendo gli oneri, pur mantenendo l’allineamento agli obiettivi del Green Deal. Tuttavia, è innegabile un verosimile scontro con la difficoltà di garantire un sostegno economico sufficiente agli agricoltori e con la possibilità di un’eccessiva semplificazione delle normative che potrebbe compromettere la sostenibilità dei processi.
Il gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&D), sostenendo un processo decisionale più democratico e partecipativo, promuove una transizione equa che coniughi l’equità sociale con la sostenibilità ambientale e che bilanci la riduzione delle emissioni di CO2 con la salvaguardia dei posti di lavoro.
Su una simile posizione si colloca la Sinistra europea, che propone un rinnovamento della PAC volto a bilanciare in modo equilibrato produzione agricola e tutela ambientale, eliminando progressivamente i fondi per superficie e reindirizzandoli verso pratiche agricole sostenibili e socialmente eque. Le proposte includono incentivi per la conservazione della biodiversità, sostegno alle cooperative sociali, promozione di filiere corte, programmi di sensibilizzazione per la produzione e il consumo di diete vegetali, abolizione dell’IVA su frutta e verdura di stagione e di produzione locale. La strategia presenta, tuttavia, molteplici criticità legate alla transizione finanziaria, alla resistenza al cambiamento degli agricoltori, all’assenza di un’infrastruttura logistica robusta e di un sistema di monitoraggio e verifica dei processi e all’inevitabile impatto sugli accordi commerciali internazionali.
Infine, i Verdi, sostenitori di un’agricoltura sostenibile che escluda l’uso di OGM e pesticidi e favorisca pratiche agroecologiche, propongono di riallocare un terzo del bilancio dell’UE, attualmente destinato in prevalenza all’agricoltura industriale, verso forme di agricoltura sostenibile, al fine di rendere il cibo sano più accessibile a prezzi equi per consumatori e produttori. La mancanza di conoscenza relative a tecniche agroecologiche, i costi iniziali di una simile transizione, le incertezze sui rendimenti e i rischi economici a breve termine rappresentano, tuttavia, un indubbio ostacolo alla realizzazione di una proposta pur così lungimirante in termini ambientali.
I possibili scenari post-voto
A prescindere dai singoli gruppi, occorre considerare le coalizioni, da cui dipenderanno scenari diversi in materia di politiche alimentari: da una maggiore regolamentazione per garantire la sicurezza e la sostenibilità a un approccio più liberale volto a promuovere l’innovazione e la competitività del settore.
Un’Europa governata dai conservatori, con una coalizione di centro-destra composta dal PPE e supportata da gruppi come ECR e ID, potrebbe adottare una strategia meno ambiziosa sulle politiche alimentari, privilegiare la protezione dei settori agricoli tradizionali, porre minore attenzione alle pratiche sostenibili e, verosimilmente, ridurre i finanziamenti per l’agricoltura biologica e le innovazioni sostenibili. In tale eventualità, le politiche sarebbero perlopiù orientate alla produttività agricola convenzionale e alla competitività economica piuttosto che alla sostenibilità ambientale.
Qualora si riconfermasse l’attuale coalizione, composta da PPE, S&D e Liberali (Renew Europe), si assisterebbe alla prosecuzione delle attuali politiche alimentari, con incentivi per l’agricoltura biologica e sostenibile, il supporto alla filiera corta e la riduzione degli sprechi alimentari. Gli investimenti nell’innovazione agricola verde verrebbero senz’altro mantenuti ma, verosimilmente, si scontrerebbero con la necessità di una mediazione relativa alla sostenibilità economica dei processi.
Una coalizione di centro-sinistra, composta da Verdi, PPE, S&D e Liberali (Renew Europe), perseguirebbe politiche alimentari fortemente orientate alla sostenibilità e alla riduzione dell’impatto ambientale, con consistenti investimenti in ricerca e sviluppo per tecniche agricole sostenibili e innovative.
Secondo le proiezioni più recenti, tuttavia, è previsto un marcato spostamento a destra nel Parlamento europeo, con una possibile coalizione composta da PPE, ECR e ID. Relativamente alle politiche alimentari, una coalizione di centro-destra o di destra populista apporterebbe un sostegno finanziario più marcato agli agricoltori e alle imprese agricole tradizionali, con una riduzione dei fondi destinati alle pratiche agricole sostenibili. Tuttavia, l’eventuale presenza di Renew Europe, che sostiene le politiche climatiche, potrebbe mitigare queste tendenze, creando un equilibrio tra sostenibilità e competitività economica.
Qualsiasi sia l’esito delle elezioni, è indiscutibile che l’Europa dovrà affrontare le politiche alimentari non solo rispondendo alle urgenti crisi attuali, la cui risoluzione è di primaria importanza – e senz’altro imprescindibile per garantire una sostenibilità economica e sociale – ma anche garantendo una visione strategica a lungo termine. L’obolo da pagare, in caso non si verifichi tale eventualità, è che l’UE possa vedere sfumare le sue ambizioni di leadership globale in materia di clima, a cui è direttamente interconnessa – occorre ricordarlo – la questione alimentare.