Dibattito tra i candidati alla presidenza della Commissione europea in vista delle elezioni di giugno: alleanze, difesa e debito al centro della discussione.
di Alessia De Luca*
Pur non rappresentata sul palco, l’estrema destra è stata al centro dell’ultimo dibattito tra aspiranti alla presidenza della Commissione europea. Nel confronto, tenutosi ieri a Bruxelles, l’unico ufficiale fra i candidati presidenti in vista delle elezioni previste dal 6 al 9 giugno, Ursula von der Leyen, presidente uscente e candidata del Partito popolare europeo ha infatti aperto ufficialmente alla possibilità di allargare a destra la maggioranza che la sosterrà nella prossima legislatura. “Lei è decisamente europeista, pro-stato di diritto e anti-Putin, e possiamo aprire alla sua collaborazione” ha affermato Von der Leyen rispondendo ai moderatori del dibattito che le chiedevano se fosse disposta a collaborare con Presidente del Consiglio italiano e presidente del Partito dei conservatori e riformisti europei (ECR) Giorgia Meloni. All’incontro hanno partecipato i candidati di cinque famiglie politiche europee: oltre a Von der Leyen per i Popolari, c’erano Nicolas Schmit per i Socialdemocratici, Terry Reintke per i Verdi europei, Sandro Gozi per i liberali di Renew Europe Now e Walter Baier per la Sinistra. Le due coalizioni che hanno infiammato il dibattito proprio per le possibili alleanze post-elettorali – i conservatori e l’estrema destra di ECR e gli antieuropeisti di Identità e Democrazia (ID) – non hanno partecipato perché non hanno nominato alcuno Spitzenkandidat o candidato capolista, secondo il sistema – non vincolante – introdotto a partire dal 2014.
Le tre linee rosse di Ursula?
Nel corso del dibattito, Von der Leyen, considerata l’unica ad avere delle chances di essere rieletta, ha ribadito le sue tre linee rosse: “Essere pro-Europa, pro-Ucraina – e quindi anti-Putin – e pro-stato di diritto”. Esclusi da questo nuovo “cordone sanitario” restano dunque i partiti di Identità e Democrazia, (di cui in Italia fa parte la Lega) e da cui sono appena stati espulsi i tedeschi di Alternative für Deutschland. Dopo mesi di malumori, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stata una controversa intervista rilasciata dall’eurodeputato AfD Maximilian Krah al quotidiano La Repubblica durante il fine settimana, in cui ha affermato che non tutti i membri delle Schutzstaffel (SS) naziste durante il Terzo Reich erano da considerarsi “automaticamente dei criminali”. Dichiarazioni che hanno comprensibilmente scatenato un terremoto e che hanno convinto Marine Le Pen a chiedere e ottenere l’espulsone dell’AfD dal gruppo per non rischiare di “compromettere la rispettabilità” del suo Rassemblement National a cui recenti sondaggi francesi attribuiscono oltre il 30% delle intenzioni di voto. Ma pur essendosi sbarazzato di uno dei suoi membri più controversi per evitare di perdere elettori, il gruppo è ancora lontano dall’essere considerato un potenziale partner: “Rassemblement National, AfD e Konfederacja hanno nomi diversi ma una cosa in comune: sono amici di Putin e vogliono distruggere l’Europa” ha detto Von der Leyen, lasciando invece aperta la porta ad una collaborazione con il gruppo sovranista ECR, di cui fa parte Fratelli d’Italia, ma che comprende anche partiti considerati più di estrema destra come i francesi di Reconquete e gli spagnoli di Vox.
Le sfide della futura Commissione?
Il candidato del PSE, il commissario lussemburghese Nicolas Schmit, non ha esitato a criticare Von der Leyen sulle sue aperture ai sovranisti e sulla politica sui migranti: “Suppongo che lei sappia cosa sta accadendo in Tunisia e cosa accade ai rifugiati che sono spinti nel deserto. Questa non è l’Europa. Questi non sono valori europei. Questo è un accordo con una dittatura orribile. Non è combattere i trafficanti: è combattere i rifugiati”: ha detto Schmit, riferendosi a una recente inchiesta di Lighthouse Reports che rivela come Tunisia, Marocco e Mauritania utilizzando le risorse finanziarie e fisiche messe a disposizione dell’Ue per condurre rastrellamenti di migranti subsahariani, che a migliaia vengono abbandonati nei deserti o vengono respinti in paesi in guerra. La Commissione non ha smentito di essere a conoscenza di queste pratiche. Se la migrazione è un tema centrale nel dibattito in vista del voto, altri temi all’ordine del giorno sono la competitività del settore industriale del blocco, le nuove tecnologie, la creazione di una difesa comune, la riforma dei trattati e la transizione energetica. Senza contare il sostegno all’Ucraina e alla crescita europea in un contesto di tensioni geopolitiche in aumento. Qualsiasi sarà l’esito elettorale, infatti, la nuova Commissione e il nuovo Parlamento dovranno affrontare sfide sempre più globali.
Il dilemma del budget?
Le ambizioni di chiunque si trovi a guidare la nuova Commissione si scontrano con la necessità di trovare le coperture finanziarie per realizzarle. Per questo, forse, la parte più interessante del dibattito è arrivata alla fine, quando si è arrivati a parlare del prossimo bilancio comune che andrà dal 2028 al 2034. Sul budget le divisioni tra i 27 sono nette: se alcuni stati membri chiedono che includa più soldi per la difesa e la sicurezza, per investire in nuove tecnologie e sostenere l’industria proponendo un aumento del tetto di spesa, altri tra cui la Germania, i Paesi Bassi e le altre nazioni nordiche vogliono limiti e una maggiore condizionalità. Von der Leyen ha affermato di essere “aperta” all’aumento di nuovo debito comune per colmare le lacune di finanziamento, un’idea sostenuta da Macron e altri, ma che si tratta di una “decisione sovrana” degli Stati membri. “La Commissione non può limitarsi solo ascoltare gli stati membri. A volte deve dire loro qual è la direzione da prendere” le ha contestato il candidato del PSE e commissario agli Affari sociali, Nicolas Schmit. Ma l’attuale presidente sa di dover tenere una posizione di precario equilibrio: essendo sulla buona strada per conquistare il maggior numero di seggi alle elezioni, il suo partito, il PPE avrà il diritto di nominare il prossimo presidente. Ma se Von der Leyen non riuscisse a ottenere il sostegno dei 27 leader, o non riuscisse a mettere insieme una maggioranza dei nuovi 720 deputati, si potrebbe propendere per un candidato alternativo. E comunque, in base ai trattati, il consiglio Europeo rimane molto libero nella scelta. Le date chiave saranno il 17 giugno, quando i Capi di Stato e di governo si ritroveranno per discutere i risultati elettorali e il 27 e 28 giugno, quando il Consiglio dovrà adottare l’agenda strategica e scegliere i nuovi leader delle istituzioni comunitarie.