di Daniela Piesco Direttore Responsabile*
Il Parlamento continua a penalizzare il giornalismo regolamentato, ma resta silente sulle diffamazioni che avvengono sui social media.
Il senatore Alberto Balboni di Fratelli d’Italia ha proposto il cosiddetto disegno di legge Balboni per modificare il Codice penale, il Codice di procedura penale e la legge sulla stampa. Anche parlamentari dei partiti di opposizione hanno avanzato le loro proposte, presentando ad oggi quattro disegni di legge.
Purtroppo nessuno di questi testi rispetta gli standard internazionali sulla libertà di espressione e ciascuno richiede delle modifiche sostanziali prima che si proceda alla discussione in Parlamento. Innanzitutto, nessuna proposta depenalizza la diffamazione. Al contrario introducono multe più aspre e sanzioni accessorie come quelle disciplinari. Ciò è problematico poiché secondo il diritto internazionale la restrizione di un diritto umano deve essere necessaria e proporzionata. Bisogna quindi valutare se la limitazione proposta risponde ad un ‘urgente bisogno sociale’ e se la misura sia il metodo meno restrittivo per raggiungere l’obiettivo. Alla luce di questi standard, le pene, inclusa la reclusione, non costituiscono mai una sanzione appropriata.
Le proposte di modifica della legge sulla diffamazione a mezzo stampa frenano il buon giornalismo perché anche se si abolisce il carcere( che ricordiamo essere una norma già disapplicata da anni, per la quale era stata richiesta l’abolizione da parte della Corte Costituzionale in due diverse sentenze in quanto contrastante coi principi della Corte europea dei diritti dell’uomo e quindi era un passaggio obbligato),si innalzano le multe sino a 50mila euro, una cifra insostenibile soprattutto per autonomi e freelance.
Di fatto una norma bavaglio : l’effetto del ddl Balboni è dissuadere i giornalisti dal fare il proprio lavoro con scrupolo e senza riguardi nei confronti del potere, da chiunque sia incarnato. Nessuno deve sentirsi impunito, per carità: è giusto tutelare chi si sente offeso, ma dev’esserci equilibrio.
Non c’è alcun elemento di dissuasione contro le querele temerarie:il giornalista rischia 50mila euro di sanzione, ma chi lo querela in modo temerario per un milione di euro corre il rischio di pagare da minimo 2mila a massimo 10mila euro, così dice l’articolo 6.Invece per ristabilire equilibrio, giustizia ed equità,se il giudice accerta che la querela è temeraria, il giornalista querelato dovrebbe ricevere almeno un terzo della richiesta del querelante! Cosa ovviamente non presa in considerazione nel ddl.
Una minaccia alla libertà di informazione e al giornalismo d’inchiesta:cifre assolutamente spropositate, che producono un effetto dissuasivo dirompente, piegando i giornalisti al silenzio.
Ulteriore stangata è il cambio del foro competente che non è più il luogo di pubblicazione della notizia: il giornalista non sarebbe più chiamato a rispondere nel tribunale della città in cui è registrata la testata, ma in quella di residenza della persona offesa, costringendolo ad estenuanti e costosissimi “tour giudiziari”. Quindi un collaboratore di Milano che viene citato in giudizio a Messina dovrebbe difendersi in Sicilia. Spostamenti molto costosi. Poi che succede nel caso in cui ci siano più querelanti, per lo stesso articolo, da diverse città? Il giornalista dovrebbe arruolare avvocati su tutto il territorio nazionale.
Ci si auspica che legislatore interrompa la discussione delle proposte attuali e proceda senza ritardo a formulare una riforma della diffamazione a mezzo stampa che sia conforme agli standard internazionali sulla libertà di espressione.
Ma siamo in Italia.
Daniela Piesco
Info Daniela Piesco*
Avvocato, giornalista pubblicista, condirettore del giornale internazionale on line “Radici”, editorialista per l’ Eco di Milano e Provincia,collaboratrice redazionale di Tv7 Benevento , Direttore responsabile dell’Eco del Sannio. Appassionata di cultura, politica e attualità scrive inoltre sul Corriere Nazionale,sul Corriere di Puglia e Lucania e su Stampa Parlamento.
“Sono fermamente convinta, prendendo a prestito le parole di Moravia, che quando le informazioni mancano, le voci crescono.”