di Nicola Missaglia

Oltre 640 milioni di cittadini indiani hanno votato nelle elezioni di quest’anno per rinnovare i 543 seggi della Camera bassa del Parlamento – la Lok Sabha – ed eleggere il governo che guiderà l’India per i prossimi cinque anni. Pur riconfermando la maggioranza guidata dal primo ministro Narendra Modi e dal partito nazionalista di ispirazione induista Bharatiya Janata Party (Bjp), i risultati smentiscono nettamente le previsioni che pronosticavano un plebiscito per la leadership uscente: i seggi ottenuti dalla National Democratic Alliance (Nda) sono molti di meno rispetto a quelli che la coalizione sperava di conquistare, ma anche in numero inferiore alle scorse elezioni. Diversamente dalla scorsa tornata elettorale, per formare un governo il Bjp – che da solo sperava questa volta di ottenere una maggioranza assoluta in parlamento e ben 400 insieme agli alleati – dovrà necessariamente contare sugli altri partiti che compongono la coalizione. Un risultato inatteso, perché la fiducia nel primo ministro sembrava più alta che mai: con un tasso di approvazione che sfiora l’80% Modi è generalmente considerato il leader globale più popolare al mondo.[1] Inoltre, dalle ultime elezioni nel 2019 a oggi, il consenso per la coalizione di governo appariva cresciuto: dal 34,7% dei 240 seggi della camera alta del Parlamento – la Rajya Sabha – la Nda era arrivata ad occuparne circa la metà.

Quello cominciato il 19 aprile e durato ben 7 settimane, sino all’annuncio ufficiale del risultato il 4 giugno, è l’esercizio elettorale più imponente al mondo, con il coinvolgimento di 15 milioni di funzionari e il costo di 14 miliardi di euro.[2] Ma al netto delle dimensioni, la posta in gioco in questa tornata elettorale è particolarmente significativa.

Sul piano interno, le sfide che il prossimo governo indiano sarà chiamato ad affrontare sono molte – dal consolidamento della crescita economica allo sviluppo delle infrastrutture e del settore manifatturiero, dalla creazione di posti di lavoro alla riduzione delle disuguaglianze, a una maggiore attenzione al degrado ambientale. La rapida ripresa dell’economia dopo la pandemia, i tassi sostenuti di crescita del Prodotto interno lordo (Pil) negli ultimi anni, ma anche la promessa di Modi di fare dell’India una “nazione sviluppata” entro pochi decenni – secondo i suoi piani precisamente entro il 2047, per i cento anni di indipendenza – hanno alimentato negli elettori la percezione che per l’India una nuova epoca di sviluppo e benessere sia ormai alle porte, e questo grazie anche alla fiducia riposta nelle iniziative e nelle politiche del governo. Con la rielezione per un terzo mandato e un’opposizione che ha guadagnato consensi, Modi – il primo leader indiano a essere eletto per tre quinquenni consecutivi dopo Jawaharlal Nehru – dovrà dunque dimostrare di essere all’altezza della diffusa aspettativa che i dividendi dei progressi compiuti dall’India si traducano presto in benefici reali per i cittadini.

Sul piano internazionale, i prossimi cinque anni saranno fondamentali per valutare la solidità dell’ascesa dell’India sul palcoscenico globale, e il modo in cui questa si intreccerà con le politiche del prossimo governo, dopo il successo della presidenza del G20 nel 2023. In uno scenario internazionale sempre più segnato dalle tensioni geopolitiche e geoeconomiche tra Stati Uniti e Cina – ma anche dalle frizioni tra democrazie e autocrazie, e tra Nord e Sud del mondo – l’India di Modi è riuscita a rafforzare sensibilmente la propria posizione, accreditandosi da un lato come potenziale partner democratico dell’Occidente alternativo a Pechino, ma dall’altro capitalizzando sulla propria esperienza anti-coloniale e non allineata per affermarsi come legittimo portavoce delle istanze dei paesi del Sud Globale che chiedono una revisione del sistema internazionale. Se l’ambiguità di tale postura dell’India si è sinora tradotta in una politica estera pragmaticamente multi-allineata volta principalmente al perseguimento dei propri interessi, resta da vedere se e per quanto ancora questa risulterà sostenibile nei prossimi anni. Soprattutto se, come sembra, l’India vuole davvero ritagliarsi il ruolo di nuova grande potenza asiatica e diventare la “Cina del Ventunesimo secolo”.

Progressi economici
Nell’arco dell’ultimo decennio l’India di Modi può vantare una performance economica complessivamente positiva, anche se le sfide che il paese dovrà affrontare nei prossimi anni sono ancora imponenti. L’India ha dimostrato una tenuta sorprendente ai grandi shock che hanno travolto l’economia mondiale, dalla pandemia alle strette sui tassi di interesse nelle economie avanzate, dall’inflazione all’aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime. L’economia indiana è quella che cresce più velocemente tra le prime venti a livello mondiale e, nell’ultimo quinquennio, ha dimostrato di essere la più dinamica delle economie asiatiche, con un tasso di crescita medio del 4,3% che aumenta al 7,2% se si escludono i due anni della pandemia.[3] Nel 2023, l’anno della sua presidenza del G20, l’India ha registrato una crescita del 7,6%, superando di gran lunga quella cinese e scalzando il Regno Unito come quinta economia mondiale per dimensioni.[4] Anche secondo le stime più prudenti, i tassi di crescita indiani dovrebbero mantenersi stabili nei prossimi anni. In un’epoca di incertezza globale, sono risultati che infondono fiducia ai cittadini e che hanno giovato alla credibilità dell’India sia nella regione che sul piano internazionale.

Il tasso di crescita del Pil di paesi avanzati ed emergenti (2022-24)

Gli obiettivi raggiunti
Nella lotta all’inflazione, cavallo di battaglia del Bjp sin dalle elezioni del 2014, il governo Modi ha sostanzialmente raggiunto l’obiettivo di abbassarla al 4%, con un margine del 2%: se nel marzo del 2014 l’inflazione sfiorava l’8,5%, dieci anni dopo questa si attesta intorno al 4,8%.[5] Rimane alta però l’inflazione dei prezzi dei generi alimentari, che è cresciuta rapidamente nel corso degli ultimi anni – complici la pandemia e la crisi delle supply chain – e che ad aprile ha raggiunto l’8,7%. Per contrastare questo aumento potenzialmente destabilizzante sul piano sociale, il governo ha imposto alcune misure di controllo del mercato dei beni agricoli, con la conseguenza che il costo dell’obiettivo governativo di mantenere bassa l’inflazione alimentare ricadesse di fatto sugli agricoltori. Almeno in parte, ciò spiegherebbe le violente proteste che per tutta la prima metà del 2024 e a più riprese negli anni precedenti hanno visto gli agricoltori indiani manifestare contro il governo in tutto il paese.[6]

Tra gli obiettivi di Modi vi era anche quello di rafforzare l’economia formale e il settore bancario, scommettendo su un piano di riforme e una forte spinta alla digitalizzazione. In quest’ambito i progressi sono stati notevoli, grazie soprattutto a una serie di misure introdotte nel corso del primo mandato. Oltre all’introduzione di un’imposta sul valore aggiunto unica per tutta l’India – la Goods and Services Tax (Gst) del 2017 – e la più controversa decisione di mettere fuori circolazione nell’arco di una notte le banconote da 500 e 1000 rupie, una misura particolarmente fortunata è stata la creazione nel 2016 della Unified Payment Interface (Upi), una piattaforma di pagamento istantaneo che consente trasferimenti di denaro a individui, commerci e aziende. Oggi, a otto anni dall’introduzione della Upi, l’India è il primo paese al mondo in termini numero di pagamenti in tempo reale, con picchi di circa 300 milioni di utenti attivi.[7] La piattaforma, inizialmente introdotta dalla Reserve Bank of India, è ora attiva anche in altri paesi – Sri Lanka, Singapore, Francia ed Emirati Arabi Uniti –, un processo di internazionalizzazione che permetterà di ridurre i costi ed accelerare trasferimenti di denaro da e verso l’India. La misura risulta particolarmente promettente dal momento che l’India è uno dei primi paesi al mondo per rimesse: ammontano a 100 miliardi di dollari le rimesse indiane stimate dalla Banca Mondiale per il 2022.

Un’altra misura, volta in particolare a rafforzare il settore bancario, è stata l’introduzione sempre nel 2016 di un nuovo Codice di insolvenza e fallimento (Insolvency and Banktuptcy Code) e la creazione di una bad bank diventata operativa nel 2023. In cinque anni, il rapporto dei non-performing loans sul totale dei crediti concessi è sceso dal 10,8% al 3,2%.[8] Inoltre, le banche pubbliche, sebbene complessivamente ancora fragili, mostrano indici di solvibilità soddisfacenti e secondo gli ultimi stress-test effettuati dalla Reserve Bank of India non necessitano di iniezioni di capitale.[9] Inoltre, la crescita dell’offerta di credito è aumentata significativamente (+20,5% anno su anno a febbraio 2024) e sempre a febbraio il credito totale è salito al 56,7% del Pil. Infine, il debito del settore privato rimane contenuto e le aziende mostrano una situazione finanziaria molto più robusta rispetto a dieci anni fa.

In questi anni l’India ha registrato progressi significativi anche sul piano dello sviluppo infrastrutturale: tra il 2014 e il 2023, il paese è salito di nove posizioni nel Logistics Performance Index della Banca Mondiale attestandosi al 47° posto su 139 paesi, più in alto del Vietnam e dell’Indonesia.[10] L’attenzione del governo allo sviluppo di questo settore è cresciuta soprattutto negli ultimi anni, come dimostra l’aumento degli investimenti dedicati alle infrastrutture nelle ultime leggi finanziarie (134 miliardi di dollari nel 2024-25, +11,1% rispetto all’anno scorso).[11]

Infine, il governo Modi ha introdotto alcuni programmi di sussidi a supporto delle fasce più fragili della popolazione, ma soprattutto è stato molto abile ad estendere – e intestarsi – i generosi schemi di welfare per i poveri introdotti dal governo Manmohan Singh prima del 2014. Mosse che hanno indubbiamente contribuito a favorire il consenso per il primo ministro negli strati più sfavoriti della popolazione indiana che, anche grazie a un panorama mediatico sempre più allineato alle politiche governative, riconoscono in Modi stesso il principale responsabile dell’elargizione degli aiuti che hanno percepito in questi anni. Tra le misure oggi targate “Modi”, per esempio, ci sono la fornitura gratuita di grano a 800 milioni di poveri – introdotta dal National Food Security Act di Manmohan Singh e poi estesa dall’attuale governo negli anni della pandemia – e uno stipendio mensile di 1.250 rupie (15 euro) alle donne di famiglie a basso reddito.[12]

Le sfide aperte
Nonostante i progressi, per l’India le sfide da affrontare sul piano economico sono ancora imponenti e strutturali, e il prossimo mandato sarà decisivo per capire se e in che modo il governo Modi intenderà affrontarle.

Nonostante la crescita sostenuta, con un Pil di 3,5 mila miliardi di dollari nel 2023, l’economia indiana è ancora circa 5 volte più piccola di quella cinese. Inoltre, benché negli ultimi cinque anni il Pil pro capite indiano sia cresciuto del 6,1% di media (escludendo la pandemia) e in un decennio il tasso di povertà sia sceso di dieci punti percentuali (dal 23% al 13%), oggi il Pil pro capite indiano è il più basso tra i paesi del G20[13] e – sia per volume che in termini di parità di potere d’acquisto – è di cinque volte inferiore a quello cinese, e di quasi due volte inferiore a quello di Vietnam e Indonesia. Se per i prossimi 25 anni l’India crescesse ai tassi attuali – e sarebbe già di per sé una performance straordinaria – arriverebbe a un Pil pro capite di 10 mila dollari ai valori attuali: meno della Cina di oggi. Infine, l’India è il paese con il numero il più alto di persone che necessitano di sussidi e razioni alimentari – a oggi sono circa 800 milioni – e si colloca al 111º posto su 125 paesi nell’indice della fame nel mondo.[14]

La scomposizione della popolazione di Cina e India per spesa giornaliera

Con circa 1,4 miliardi di abitanti, nel 2023 l’India ha superato la Cina come paese più popoloso al mondo, un primato che Pechino aveva detenuto per oltre tre secoli. Non solo: l’età media degli indiani supera di poco i 28 anni, dieci in meno rispetto all’età media cinese che è di 38,4 anni.[15] Se questo “dividendo demografico” viene generalmente considerato come uno dei principali driver del futuro sviluppo economico del paese – con una popolazione in età da lavoro che andrà espandendosi almeno fino al 2050 – è altrettanto vero che nei prossimi anni il mercato del lavoro indiano dovrà assorbire dai 12 ai 15 milioni di giovani all’anno. Già entro il 2030 la popolazione indiana in età da lavoro crescerà di circa 113 milioni di unità, portandola a sfiorare il miliardo: tra sei anni una persona in età lavorativa su cinque nel mondo sarà indiana.

La creazione di nuovi posti di lavoro sarà dunque una delle principali sfide che il prossimo governo dovrà affrettarsi ad affrontare: la disoccupazione è infatti in aumento e la crescita dei settori a più alta intensità occupazionale come quello industriale e manifatturiero risulta pressoché nulla. Le iniziative sinora lanciate dai governi Modi per stimolarli sono sinora risultate insufficienti: per esempio, l’ambiziosa iniziativa “Make in India”, lanciata da Modi nel settembre 2014 – pochi mesi dopo la prima elezione – proprio con l’intento di attirare nuovi investimenti e portare la quota della manifattura al 25% del Pil non ha dato i frutti sperati.[16] Tra il 2014 al 2022, questa quota ha oscillato tra il 13% e il 16%, e negli ultimi dieci anni il settore ha perso 11 milioni di posti di lavoro. A oggi il settore contribuisce al 14% del Pil e non occupa che il 12% dei lavoratori indiani (2023), una quota decisamente più bassa di quella che possono vantare altri paesi asiatici come il Vietnam (il 21,4% nel 2020) o naturalmente la Cina (ca. il 30%).[17]

Tra il 2020 e il 2024 è aumentato invece di 60 milioni il numero di agricoltori, portando il totale agli odierni 247 milioni: quasi dieci volte tanto il numero di lavoratori impiegati nei servizi. Un dato preoccupante perché, nonostante l’India abbia compiuto enormi progressi nell’offerta servizi e di industrie all’avanguardia come la produzione di vaccini e farmaci o nell’hi-tech, in assenza di un sufficiente sviluppo del settore industriale l’agricoltura continua ad essere il principale serbatoio di posti di lavoro del paese: impieghi spesso mal retribuiti che fungono da ammortizzatore per le famiglie in un’economia che rimane prevalentemente informale. Questo fa sì che la quota di lavoratori impiegati nell’agricoltura sia del tutto sproporzionata rispetto al contributo di questo settore alla ricchezza del paese: il settore impiega infatti il 44% della popolazione attiva, ma non contribuisce che per il 15% al Pil; laddove il settore dei servizi contribuisce al 55% del Pil ma richiedendo competenze particolarmente elevate non riesce ad assorbire che una minima parte della forza lavoro.[18]

La variazione della popolazione in età lavorativa tra il 2020 e il 2030 (in milioni)

Attualmente l’India non riesce dunque a sfruttare appieno il suo vantaggio demografico. Se il prossimo governo non interverrà tempestivamente sul mercato del lavoro, vi è anzi un rischio concreto che i potenziali benefici derivanti dalla giovane età media e dalla crescita demografica del paese possano trasformarsi in un enorme problema. Secondo il Centre for Monitoring Indian Economy (Cmie), ad aprile 2024 il tasso di occupazione in India si attestava solo al 37,6%, nonostante una lieve crescita negli ultimi due anni: un tasso ancora inferiore a quello pre-Covid del 39,8%, registrato a marzo 2020.[19]

I bassi livelli dell’occupazione generale sono imputabili principalmente ai tassi estremamente bassi di occupazione delle donne e i giovani. Secondo gli ultimi dati disponibili, il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro è solo del 32,8%, mentre per gli uomini del 77,2%.[20] La percentuale di giovani che non lavorano, non cercano lavoro o non sono in formazione è particolarmente elevata. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), invece, la quota di giovani indiani che non lavorano, non cercano lavoro o non sono in formazione ha raggiunto il 23,5% nel 2023: una percentuale simile a quella dell’Indonesia (22,3%), ma decisamente superiore rispetto ad altri paesi asiatici (13,3% in Thailandia, 11,3% in Vietnam e 10,2% in Malesia). Ancora più preoccupante è il dato relativo alla disoccupazione giovanile. Sempre secondo il Cmie, a dicembre 2023 il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 20 e i 24 anni ha superato il 45%, e si è attestato al 15,5% per quelli tra i 25 e i 29 anni, a fronte di una media nazionale dell’8,1% nel mese di aprile 2024[21]. Tra il 2014 e il 2024 il tasso di disoccupazione generale è cresciuto ti oltre un punto, passando dal 5,44% al 6,57%, con picchi dell’8% nel corso del 2023.[22]

Se lo sviluppo del settore industriale e manifatturiero in India è essenziale per soddisfare l’esigenza impellente di creare posti di lavoro nel paese, vale la pena sottolineare che sarebbe anche funzionale al raggiungimento di uno dei principali obiettivi da sempre dichiarato da Narendra Modi: quello di trasformare l’India nella “nuova fabbrica del mondo” (e, implicitamente, di soppiantare in questo la Cina). La mancanza di progressi tangibili in questa direzione, rischia di avere un impatto doppiamente negativo: oltre a compromettere i tassi occupazionali nel paese, nel lungo periodo potrebbe incidere anche sull’interesse con il quale gli investitori – soprattutto occidentali – guarderanno all’India come possibile destinazione del re-shoring degli investimenti e della produzione alternativa alla Cina nei prossimi decenni. Per il prossimo governo indiano sarà dunque prioritario accelerare l’implementazione di nuove riforme e iniziative per favorire lo sviluppo del settore. Con un deficit di bilancio di 208 miliardi di dollari[23] che Modi ha già promesso di voler ridurre dall’attuale 5,8% del Pil al 4,5% entro marzo del 2026, è difficile immaginare che possa essere la spesa pubblica a fungere da traino alla crescita industriale dei prossimi anni.

L’India e il mondo
Sul piano delle relazioni esterne, è poco probabile che la politica estera indiana subisca cambiamenti significativi nei prossimi anni. Nonostante una maggiore assertività diplomatica nelle principali questioni internazionali che coinvolgono direttamente l’India,[24] dal 2014 governi a guida Bjp sono rimasti sostanzialmente fedeli ai principi tradizionali della politica estera indiana degli ultimi decenni: dal rafforzamento della cooperazione con gli Stati Uniti nella politica di difesa e sicurezza nell’Indo-Pacifico, alla percezione della Cina come principale rivale sistemico sul piano regionale; dall’opposizione alle rivendicazioni territoriali del Pakistan in regioni contese come il Kashmir, alla preservazione di solidi legami con la Russia in ambito militare e sempre di più in ambito energetico; sino alla coerente difesa della propria indipendenza strategica, con l’appartenenza a organizzazioni multilaterali dagli obiettivi contrastanti, come i Brics o la Shanghai Cooperation Organization (Sco) a guida cinese da un lato, il Quadrilateral Security Dialogue (Quad e l’Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity (Ipef) a guida statunitense dall’altro.[25] In linea con il passato, nell’ultimo decennio sono stati limitati anche i progressi dell’integrazione dell’India nel commercio globale, con una scarsa partecipazione ai principali accordi di libero scambio, come per esempio il mega-accordo regionale Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep).[26] Nonostante le promesse di apertura di Modi, la politica commerciale dell’India è dunque rimasta sostanzialmente quella diffidente e protezionistica dei governi precedenti: una dinamica sicuramente ascrivibile a una tradizione di politica estera profondamente consolidata, ma che l’ascesa del Subcontinente nella politica mondiale potrebbe presto rendere insostenibile.[27]

Secondo un recente sondaggio, il 63% degli indiani urbani ritiene che lo status globale dell’India sia migliorato nel corso dell’ultimo decennio.[28] Un dato che non stupisce, perché nonostante le enormi sfide che il paese deve affrontare sul piano interno, con i suoi 1,43 miliardi di abitanti e una crescita sostenuta, l’India è ormai in lizza per diventare una superpotenza globale e una delle prime economie mondiali. L’attivismo di Narendra Modi nel coltivare le relazioni con i leader stranieri e a personalizzare la politica estera, ha senz’altro contribuito alla crescente presenza del paese e del primo ministro nelle dinamiche internazionali. Con Modi la politica estera è diventata anche un tema di politica interna e, grazie alla trionfalistica retorica governativa supportata in maniera crescente da molti media mainstream, l’elettore comune potrebbe ragionevolmente credere che il mondo abbia una grande considerazione dell’India perché ha una grande considerazione di Modi. Un esempio lampante di queste dinamiche è stato il G20 ospitato dall’India nel 2023. Seppure la presidenza indiana sia stata a tutti gli effetti un successo sul piano diplomatico – nonostante le divisioni sulla guerra in Ucraina l’India è riuscita a ottenere la firma di un comunicato finale congiunto e ha formalizzato l’ingresso dell’Unione Africana nel G20 – sul piano interno e mediatico, la rappresentazione Modi-centrica del Summit è indubbiamente valsa al primo ministro un notevole slancio di visibilità e consenso.[29]

Ma è pur vero che – anche grazie a Modi – negli ultimi anni l’India ha saputo effettivamente ritagliarsi un ruolo chiave nelle relazioni internazionali, diventando un ago della bilancia determinante in un contesto globale sempre più teso e polarizzato. Attraverso un approccio pragmaticamente “multi-allineato”, l’India è riuscita a cavalcare abilmente le crescenti tensioni tra Usa e Cina, ma anche quelle tra i paesi dell’Occidente – o del “Nord Globale” – e quelli Sud Globale a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. E se oggi l’India è in grado di accreditarsi come potenziale leader del Sud Globale – meno assertivo e più inclusivo della Cina –, allo stesso tempo è un interlocutore ascoltato e rispettato dall’Occidente, che nelle incerte dinamiche globali appare sempre più propenso a dare credito alla “promessa” indiana: oltre a essere un’economia in crescita, il paese più popoloso del mondo e una nazione sostanzialmente pacifica sul piano internazionale, l’India è una democrazia, ed è proprio questo l’asset principale su cui New Delhi può contare nel coltivare le sue relazioni con la maggior parte dei paesi del mondo.[30]

Conclusione
Il risultato delle elezioni indiane è decisivo per la direzione in cui il prossimo governo intenderà proiettare il paese dei decenni avvenire. Dalle priorità politiche ed economiche che caratterizzeranno il terzo mandato di Narendra Modi e dalla coalizione di governo emergerà infatti con più chiarezza se a prevalere nella visione della leadership indiana sarà l’agenda politica e culturale del nazionalismo induista, oppure se intenderà investire maggiormente sulle necessarie riforme e iniziative volte a consolidare la traiettoria di sviluppo economico e sociale dell’India in maniera sostenibile e duratura. Mentre nel primo mandato di Modi (2014-19) nazionalismo e riformismo economico hanno convissuto, il rallentamento delle riforme economiche e la netta prevalenza di iniziative politiche e retoriche dettate dall’agenda nazionalista nel secondo mandato (2019-24), fa supporre che tra le due “anime” del partito di governo vi sia un crescente squilibrio.

Il fatto che Modi non abbia ottenuto la super-maggioranza in cui sperava significa che, per governare, il Bjp dovrà contare anche sugli alleati minori. È auspicabile che questo risultato stimoli il nuovo governo a dare la massima priorità alle enormi sfide economiche, sociali e ambientali che l’India deve affrontare, dalla creazione di milioni di posti di lavoro, al degrado ecologico, alla riduzione delle disuguaglianze. Puntare sul condizionamento e sulla compressione dell’assetto secolare, pluralista e federale del paese non ha pagato. Per l’India potrebbe essere una buona notizia, perché fin dall’indipendenza è stato proprio questo assetto a garantirne non solo la continuità democratica, ma anche la stabilità politica, e dunque economica, nonostante la povertà diffusa, le disparità socio-economiche, le spinte centrifughe e la radicale diversità culturale e religiosa che caratterizzano il paese.[31] La posta in gioco nelle elezioni indiane di quest’anno era dunque non solo il futuro politico dell’India secolare, inclusiva e federale emersa dopo la fine del colonialismo britannico – e dunque delle credenziali democratiche che ne fanno oggi anche per noi un interlocutore fondamentale e privilegiato – ma anche l’avvenire economico e le ambizioni globali del paese.[32]

[1] “With approval rating of 78%, PM Modi most popular global leader”, Times of India, 22 febbraio 2024.

[2] H.E. Petersen, “Six weeks, 969 million voters, 2,600 parties: India’s mammoth election explained”, The Guardian, 18 aprile 2024.

[3] J. Melka, “India: Modi heads towards a third term”, BNP Paribas Research, aprile 2024.

[4] “RBI annual report 2023-24: Central bank sees real GDP growth at 7% in FY25”, The Hindu, 30 maggio 2024.

[5] R. Nair, “RBI, govt formalize inflation target”, Mint, 3 marzo 2015.

[6] Himanshu, “Farmers may be paying the price for an inflation-targeting regime”, Mint, 27 agosto 2020.

[7] Ministry of Information & Broadcasting of India, “From Local to Global: How India’s Digital Payment Revolution is Inspiring the World”, Government of India, 19 marzo 2023.

[8] M. Sharma, “Banks’ GNPAs at decatal low of 3.2% as of Sep. 2023”, Fortune India, settembre 2023.

[9] “Indian banks have sufficient capital buffers to handle stress, central bank says”, SP Global, 2 gennaio 2024.

[10] J. Melka, “India: Modi heads towards a third term”, BNP Paribas Research, cit.

[11] M. Kumar, ”Highlights: India plans to spend $134 bln on infrastructure, narrow fiscal gap – interim budget”, Reuters, 1 febbraio 2024; T. Godbole, ”India: Budget highlights spending on infrastructure”, Deutsche Welle,2 gennaio 2024.

[12] S. Biswas, “Free water, housing, food: Modi’s $400bn welfare bet to win Indian elections”, BBC, 9 maggio 2024; R. Lamba and R. Rajan, “Modi’s Middling Economy”, Foreign Affsirs, 29 maggio 2024.

[13] “India, host of the G20 and world’s fifth-largest power, tries to hide its flaws”, Le Monde, 9 settembre 2023.

[14] Global Hunger Index 2023, India profile, al link: https://www.globalhungerindex.org/india.html

[15] “India @100. Reaping the demographic dividend”, EY India, 11 aprile 2023.

[16] R. Lamba and R. Rajan, “Modi’s Middling Economy”, Foreign Affairs, cit.

[17] T. Nguyen, “India mustn’t skip the manufacturing train. Services alone won’t tap into demographic dividend”, The Print, 20 maggio 2024.

[18] C. Dietrich, “India, host of the G20 and world’s fifth-largest power, tries to hide its flaws”, Le Monde, 9 settembre 2023.

[19] “Unemployment rate rises to 8.1% in April 2024”, Center for Monitoring Indian Economy, 2 maggio 2024.

[20] “Female Labour Utilization in India”, Ministry of Labour and Employment Directorate General of Employment, India, aprile 2023.

[21] “Unemployment rate rises to 8.1% in April 2024”, Center for Monitoring Indian Economy, cit.

[22] J. Melka, “India: Modi heads towards a third term”, BNP Paribas Research, cit.

[23] S. Bose, “Stakes for India’s election outcome widen”, Reuters, 4 aprile 2024.

[24] R. Mukherjee, “A Hindu Nationalist Foreign Policy. Under Modi, India Is Becoming More Assertive”, Foreign Affairs, 4 aprile 2024.

[25] R. Basrur, “Modi’s foreign policy fundamentals: a trajectory unchanged”, International Affairs, 1 gennaio 2017.

[26] A. I. Dar, “Understanding India’s Exit from the RCEP: A “Two-Level Game” Conundrum”,University of California Press Asian Survey, vol. 64, n. 1, pp. 1-26, 31 ottobre 2023.

[27] C. Bajpaee, “A Modi election victory will see Indian foreign policy grow more assertive – bringing risk and opportunity”, Chatham House, 29 maggio 2024.

[28] “2 in 3 urban Indians believe India is moving in right direction in August 2023”, Ipsos What Worries the World, IPSOS, agosto 2023.

[29] C. Bajpaee, “A Modi election victory will see Indian foreign policy grow more assertive – bringing risk and opportunity”, cit.

[30] N. Missaglia, “L’India e la voce del Sud Globale”, in A. Colombo e P. Magri, L’Europa nell’età dell’Incertezza, Rapporto annuale ISPI, Mondadori, aprile 2024; E. Luce, “India’s Jekyll and Hyde journey”, Financial Times, 26 aprile 2024.

[31] R. Guha, “India’s Feet of Clay. How Modi’s Supremacy Will Hinder His Country’s Rise”, Foreign Affairs, aprile 2024.

[32] G. Nadadur, ”What India and the world could expect from a Modi 3.0”, Atlantic Council, 29 maggio 2024.

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