La strategia cinese per la leadership nel Sud Global

di Sofia Graziani

Quale ruolo per la narrazione cinese sul Sud Globale e l’allargamento dei Brics?

L’inizio del 2024 è stato segnato dall’entrata formale di nuovi paesi (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto, Etiopia) nei Brics. L’espansione del movimento, annunciata in occasione dell’ultimo summit tenutosi a Johannesburg nell’agosto 2023, avviene in un quadro geopolitico in cambiamento e in una fase in cui Pechino sta riconcettualizzando l’ordine internazionale al fine di consolidare il ruolo della Cina quale portavoce e leader del sud del mondo, in virtù del suo status auto-imposto di “paese in via di sviluppo”.[1]

L’abbraccio cinese del Sud Globale
L’espansione dei Brics è stata presentata nei media ufficiali cinesi come un evento storico, l’inizio di una “nuova fase di cooperazione” in grado di dare slancio alle “nuove tendenze di sviluppo”[2] in atto in un mondo segnato da “profondi cambiamenti mai visti in un secolo”, per usare l’espressione chiave del discorso politico cinese attuale che sottolinea la portata dei cambiamenti in atto, in particolare lo spostamento del centro di gravità dell’economia globale dall’Europa verso l’Asia e dal mondo sviluppato al mondo in via di sviluppo. Un mondo segnato, dunque, da profonde trasformazioni, nel quale la Cina che, secondo Xi, si troverebbe nel suo “miglior periodo di sviluppo dai tempi moderni”, ha un ruolo importante da giocare nel garantire la stabilità e nel plasmare una governance globale che risponda agli interessi e alle istanze dei paesi in via di sviluppo, grazie al rafforzamento della cooperazione regionale e alla promozione del multilateralismo.[3] Proprio su questa convinzione, maturata gradualmente a seguito della crisi finanziaria globale del 2008-09, si è costruita la fiducia di Xi Jinping rispetto al futuro della Cina e alla sua capacità di offrire ai paesi “interessati ad accelerare il proprio sviluppo e preservare l’indipendenza” una “nuova alternativa” e, dunque, implicitamente un modello da cui trarre ispirazione.[4]

L’allargamento dei Brics ha segnato un momento importante sotto questo profilo e ha determinato una vera e propria esplosione, nel discorso pubblico e mediatico cinese, del concetto di “Sud Globale” di cui lo stesso Xi Jinping si è appropriato nel discorso di chiusura all’incontro di Johannesburg.[5] Tale concetto rimanda nella visione cinese a “un’identità formata da mercati emergenti e paesi in via di sviluppo basata su simili circostanze storiche e simili fasi di sviluppo, obiettivi di sviluppo comuni e identiche aspirazioni politiche”[6] e viene spesso associato al termine “ascesa”, intesa non solo in termini economici, ma anche politici e, cioè, nel senso di un rafforzamento dell’“autonomia politica” di questi paesi rispetto all’Occidente.[7]Un aspetto, quest’ultimo, sottolineato di recente anche dal ministro degli Esteri Wang Yi che ha individuato nell’“indipendenza” la caratteristica distintiva del Sud Globale e nel 2024 un “nuovo punto di partenza” per la cooperazione Sud-Sud, definendo il Sud Globale una “forza chiave” per riformare l’attuale ordine internazionale, accusato dalla Cina di riflettere gli interessi occidentali.[8]

A questa parte del mondo, che viene trattata nel discorso mediatico cinese come fosse caratterizzata da sostanziale omogeneità, è affidata una “missione storica” nella “promozione dello sviluppo e nell’evoluzione dell’ordine internazionale”, in quanto forza motrice di una “nuova globalizzazione”, forza cruciale per l’evoluzione verso un mondo multipolare, e forza positiva per la “democratizzazione delle relazioni internazionali” e la “riforma del sistema di governance globale”.[9]

Questi temi sono stati anche al centro dell’ultimo China-Africa Leaders Dialogue, tenutosi il 24 agosto a margine del summit Brics, che ha visto Xi Jinping tracciare alcune linee future per lo sviluppo della cooperazione sino-africana. Xi ha sottolineato l’impegno della Cina nel rafforzare la sinergia delle strategie di sviluppo cinese e africana, annunciando, al tempo stesso, l’Iniziativa sul supporto all’industrializzazione dell’Africa, il Piano di supporto della Cina alla modernizzazione agricola dell’Africa e il Piano per la cooperazione sino-africana sullo sviluppo del talento.[10] Queste iniziative sembrano confermare non solo un ridimensionamento dell’impegno cinese in grandi opere infrastrutturali anche alla luce delle recenti difficoltà incontrate dai paesi africani nel rimborsare i prestiti cinesi,[11] ma anche dell’importanza che la formazione delle risorse umane (reclutamento studenti, corsi di formazione professionale ecc.) riveste e continuerà a rivestire nella costruzione del soft power cinese in Africa.[12]

L’importanza dell’Africa per la Cina
L’ Africa, definita nei documenti governativi cinesi come “il continente con il maggior numero di paesi in via di sviluppo” e “forza importante nel raggiungimento della pace e della stabilità mondiale”,[13] ricopre da anni un ruolo importante all’interno della politica estera cinese e ha assunto, nel tempo, una rilevanza strategica nel progetto di costruzione dell’immagine e dell’influenza globale del paese.[14]

Nella concettualizzazione cinese i paesiin via di sviluppo sono stati considerati per diversi anni il “fondamento” e non una “priorità” della politica estera cinese. Sotto Xi Jinping, con l’espansione degli interessi globali della Cina (si pensi alla Bri), l’ampliamento del concetto di “periferia” (“grande periferia”) e l’emergere di una visione meno omogenea del mondo in via di sviluppo, parte dell’Africa è diventata una priorità e paesi quali l’Egitto, l’Etiopia, la Nigeria e il Sudafrica sono stati identificati come strategicamente importanti in quanto “principali stati in via di sviluppo” o “nuove potenze emergenti” nel contesto africano.

Accanto agli interessi economici, quelli politici riguardo il sostegno all’agenda di Pechino nei fora multilaterali e quelli ideologici riguardo il riconoscimento del modello cinese si sono rilevati sempre più importanti nella strategia cinese nel continente, le cui radici – come è noto – affondano nei primi anni Duemila quando venne inaugurato il Forum on China-Africa cooperation (Focac). Oggi, in un quadro internazionale segnato da crescenti tensioni geopolitiche, i partner africani sono sempre di più “risorse essenziali nella strategia di Pechino tesa a far avanzare i propri interessi e limitare Washington attraverso la creazione di un ordine mondiale più ‘democratico’ e ‘multipolare’”.[15] Non è un caso che i concetti di “comunità dal futuro condiviso per l’umanità”e di “giusto approccio alla moralità e all’interesse”, che hanno accompagnato la diplomazia cinese lunga la Nuova via della seta, riflettendo il desiderio di Pechino di farsi promotore di un nuovo ordine incentrato sulla Cina, siano diventati un punto di riferimento costante nelle interazioni della Cina con l’Africa. Al tempo stesso, nei documenti governativi cinesi, i rapporti sino-africani sono descritti come un “esempio” per un “nuovo sistema di relazioni internazionali basato sulla cooperazione e il mutuo vantaggio”,[16] nonché un “modello per lo sviluppo e la cooperazione mondiale” in grado di “dare slancio all’ascesa dei paesi in via di sviluppo” e costruire un maggiore equilibrio nelle relazioni internazionali.[17] Oltre a ricoprire una posizione unica nella politica estera cinese, i rapporti sino-africani sono dunque concepiti come un esempio di cooperazione e fonte di ispirazione per i rapporti della Cina con i paesi in via di sviluppo in altre aree del mondo.

Cina, Africa e soft power
Negli ultimi vent’anni l’Africa è stata il principale terreno di prova per la costruzione del soft power cinese a livello internazionale, un soft power calato dall’alto e incentrato in modo particolare sulla proiezione del modello di sviluppo e dell’esperienza della Cina nell’uscita dal sottosviluppo e nel raggiungimento, in breve tempo, dello status di grande potenza.[18] Sin dai primi anni Duemila, e in particolare sotto la leadership di Xi Jinping, massicci investimenti hanno portato programmi di diplomazia pubblica e culturale nel continente africano dove, ad esempio, la rete degli Istituti Confucio si è ampliata rapidamente tra il 2012 e il 2019.[19]

La strategia di soft power negli ultimi dieci anni circa è passata da un approccio ad hoc e reattivo, teso a costruire un’immagine positiva del paese nel mondo, a uno più proattivo e persino assertivo, teso a promuovere norme di governance e condividere valori ed esperienze di sviluppo. Un passaggio cruciale, questo, che ha visto Xi Jinping integrare il soft power nella retorica del “sogno cinese” come riflesso non solo di un’accresciuta consapevolezza da parte della Cina del proprio ruolo nel mondo, ma anche della volontà politica dell’élite governativa cinese di rafforzare il “potere discorsivo” della Cina, plasmando la narrazione globale e l’agenda internazionale e definendo le tendenze di sviluppo dell’ordine mondiale.[20]

Oggi stiamo assistendo a un rilancio post-pandemia delle politiche di soft power tramite una rinnovata enfasi sulla formazione delle risorse umane, sui contatti people-to-people e sulla cooperazione nell’ambito dei media, il cui ruolo cruciale nel diffondere la visione cinese della Cina in Africa non può essere ignorato.[21] Numerosi studi hanno evidenziato l’importanza degli apparati mediatici nella costruzione dell’influenza culturale cinese nell’area e nella promozione di un discorso incentrato sulle opportunità che la Cina offre ai paesi del Sud del mondo e, in particolare, sull’eccezionalità della presenza e del ruolo della Cina in Africa, sia in termini di legami storici che di visione dello sviluppo economico.

Oltre ai processi di internazionalizzazione che hanno interessato, ad esempio, l’agenzia di stampa Xinhua e la televisione statale cinese Cctv-news poi inglobata nel China global television network (Cgtn), Pechino ha cercato di influenzare i valori e le pratiche dei media africani, mediante l’istituzionalizzazione di contatti nel quadro dei più generali meccanismi di cooperazione Cina-Africa (Forum on China-Africa media cooperation, istituito nel 2014) e la promozione di programmi di scambio per la formazione dei giornalisti africani.Dai recenti incontri del Forum on China-Africa media cooperation si evince una particolare attenzione alla promozione della convergenza dei media cinesi e africani, e al ruolo della cooperazione nell’indebolire l’influenza della copertura mediatica occidentale nella rappresentazione sia dell’Africa che della Cina. L’enfasi è posta sulla cooperazione finalizzata a raccontare “bene” le storie della cooperazione sino-africana, in modo da “guidare” l’opinione pubblica nella comprensione dei rapporti sino-africani.[22] Durante il quinto Forum on China-Africa media cooperation, tenutosi nell’agosto del 2022, Xi Jinping ha rilanciato il tema della cooperazione nel settore dei media al fine di rafforzare la copertura della Cina incentrando la narrazione dei rapporti sino-africani sullo “sviluppo cinese” e sulle modalità attraverso cui la Cina ha aiutato l’Africa, evidenziando l’impegno storico della Cina nel fornire assistenza al continente africano.[23]

L’attenzione alla narrazione dello “sviluppo cinese” nel contesto dei rapporti sino-africani riflette un aspetto importante dell’ideologia che accompagna la politica africana della Cina, vale a dire il “modello cinese” o meglio l’idea della validità dell’esperienza cinese per i paesi in via di sviluppo. Per quanto riguarda, invece, la narrazione della cooperazione sino-africana, il richiamo al passato consente a Pechino di sottolineare tanto la continuità storica della cooperazione cinese in Africa nel più ampio quadro della cooperazione Sud-Sud tra pari (proiettando l’immagine del paese quale “partner storico” del continente africano), quanto la peculiarità dell’approccio cinese agli aiuti improntato al principio della non condizionalità.[24]

Nel contesto delle politiche di soft power un altro importante canale che è stato rilanciato di recente è quello del “lavoro people-to-people” e, in particolare, la formazione delle risorse umane, come dimostra il sopracitato Piano sulla cooperazione per lo sviluppo dei talenti teso ad approfondire i programmi di formazione delle risorse umane, rivolti anche a insegnanti e a tecnici amministrativi delle scuole superiori africane. Si tratta di un ambito di cooperazione che ha una lunga tradizione e che ha visto negli anni passati un massiccio supporto finanziario del governo cinese a favore di studenti universitari africani in Cina.[25]

Infine, vale la pena di menzionare la recente apertura in Tanzania della Nyerere Leadership School, la prima scuola politica all’estero promossa dal Partito comunista cinese (Pcc) e dedicata alla formazione ideologica dei quadri provenienti dai partiti politici emersi dai movimenti di liberazione africani che sono al governo dai tempi dell’indipendenza nazionale. Si tratta di un progetto congiunto che riflette la volontà del Partito comunista cinese di influenzare le élite africane e di rafforzare la condivisione dell’esperienza di governance politica, promuovendo al tempo stesso il modello cinese e ponendo le basi per una più solida influenza cinese sul lungo periodo.[26] Il peso di tali iniziative sulla capacità di influenza della Cina e del suo modello all’estero si misurerà tuttavia nel tempo.

L’immagine della Cina in Africa
A oggi, anche grazie alle suddette iniziative, l’Africa si conferma il continente dove si registrano i più alti tassi di apprezzamento per il paese asiatico (Nigeria e Kenya in testa),[27] malgrado la valutazione dell’operato cinese vari da paese a paese e si registri un leggero calo nei tassi di positività negli ultimi anni. Secondo un sondaggio effettuato dal centro di ricerca Afrobarometer in 36 paesi africani nel 2014-15,il 63% degli africani vede in maniera positiva la crescente influenza economica e politica della Cina in Africae la Cina si classifica al secondo posto (dopo gli Usa) quale modello di sviluppo per i paesi africani, arrivando a occupare il primo posto in paesi quali, ad esempio, laTanzania, ilMalie loZambia.[28] Ricerche più recenti (2019-20) tendono a confermare questi dati.[29]

Nondimeno, se da un lato il modello alternativo di istituzioni sociali ed economiche che la Cina offre è risultato attrattivo in questa parte del mondo e l’approccio cinese alla cooperazione (basato sulla non ingerenza e sulla non condizionalità) ha suscitato l’interesse di quelle éliteafricane maldisposte verso le prescrizioni neoliberiste occidentali, dall’altro nel corso degli anni si sono diffuse, presso certi settori della popolazione, percezioni negative, oprattutto come conseguenza di pratiche specifiche di business delle aziende cinesi. Durante la pandemia, la reazione anti-africana nella città cinese di Canton e il tema del debito africano hanno inoltre alimentato un crescente scetticismo pubblico rispetto alla presenza cinese in Africa, ponendo le autorità cinesi di fronte a nuove e importanti sfide soprattutto in un momento in cui, come scrive Procopio, diversi attori internazionali si stanno riposizionando in Africa e i paesi africani, dal canto loro, stanno affinando le proprie capacità negoziali e mostrando una maggiore agency nella gestione delle relazioni internazionali.[30] D’altra parte, come afferma Zappone, il recente conflitto russo-ucraino ha fornito nuove opportunità a Pechino per lo sviluppo di una retorica antioccidentale in grado di influenzare i paesi del Sud Globale.[31]

Conclusioni
La politica estera cinese si sta orientando sempre di più verso i paesi in via di sviluppo in un contesto internazionale segnato da gravi conflitti e crescenti tensioni geopolitiche, ma anche da quelli che a Pechino sono definiti “grandi cambiamenti mai visti in un secolo”. Tali cambiamenti sono visti dall’élite politica cinese come il riflesso di un disordine da cui prenderà forma un mondo multipolare in cui la Cina, che si trova nel suo migliore periodo di sviluppo e che condivide con molti paesi in via di sviluppo un orientamento critico verso un mondo americano-centrico, svolgerà un ruolo centrale quale portavoce e leader del Sud Globale. L’Africa ricopre un ruolo importante in questo progetto e nella proiezione del ruolo della Cina nel mondo, nella costruzione cioè di una narrazione incentrata sull’eccezionalità del ruolo del paese in Africa e sull’unicità di un modello da cui tuttavia altri paesi che condividono con la Cina un passato di sofferenze (povertà, sottosviluppo, colonialismo) possono trarre ispirazione per accelerare lo sviluppo, mantenendo al tempo stesso la propria autonomia. Il 2024 è considerato un anno cruciale per la Cina e il Sud Globale. Il governo cinese ha infatti avviato una nuova fase di attivismo diplomatico per ottenere influenza nel mondo in via di sviluppo, come dimostrato dalla partecipazione cinese al vertice del Movimento dei paesi non-Allineati e al vertice del G77+Cina tenutisi all’inizio dell’anno.[32] Il tanto atteso nono Forum on China-Africa cooperation, che si terrà a Pechino in autunno, chiuderà l’anno e sarà un momento importante per capire le nuove priorità di Pechino e le linee strategiche che indirizzeranno i rapporti sino-africani nei prossimi anni.

[1] M. Procopio, “Il nuovo valore strategico dell’Africa per la Cina: risorse, mercati, voti e ordine globale”, ISPI,16 giugno 2023. Sulla proiezione cinese nel Sud Globale si veda D.C. Murphy, China’s Rise in the global south: The Middle East, Africa and Beijing’s Alternative World Order, Stanford, Stanford University Press, 2022.

[2] X. Xu, “Rise of the Global South”, China Daily, 28 settembre 2023.

[3] S. Zhao, The Dragon Roars Back: Transformational Leaders and Dynamics of Chinese foreign policy, Stanford University Press, 2023, pp. 82-85.

[4] “Xi Jinping’s report at the 19th CCP National Congress”, Xinhua, 27 ottobre 2017.

[5] “Enhancing Solidarity and Cooperation to Overcome risks and Challenges and Jointly Build a Better World”, China Daily, 24 agosto 2023.

[6] “Quanqiu nanfang xin de lishi shiming” (La nuova missione storica del Sud Globale), Qiushi, 20 marzo 2024.

[7] X. Xu, “Rise of the Global South”, China Daily, 28 settembre 2023.

[8] “Wang Yi: Jointly Creating a Shining ‘South Moment’ in Global Governance”, Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, 7 marzo 2024.

[9] “Quanqiu nanfang xin de lishi shiming” (La nuova missione storica del Sud Globale), cit.

[10] “Xi Jinping: Joining Hands to Advance Modernization and Create a Great Future for China and Africa”, Xinhua,24 agosto 2023.

[11] M. Procopio, “Il nuovo valore strategico dell’Africa per la Cina: risorse, mercati, voti e ordine globale”, cit.

[12] K. King, China’s Aid and Soft Power in Africa: The Case of Education and Training, Rochester, NY, James Currey, 2013.

[13] Si veda, ad esempio, il primo documento su “La politica della Cina in Africa” (Zhongguo dui Feizhou zhengce wenjian), Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese, 2006.

[14] La letteratura sulla Cina in Africa si è arricchita notevolmente negli ultimi quindici anni. Per un quadro generale si rimanda qui a D. Large, China and Africa, Cambridge: Polity Press, 2021 e a J. Eisenmann e D. Shinn, China’s Relations with Africa: A New Era of Strategic Engagement, Columbia University Press, 2023.

[15] J. Eisenmann e D. Shinn, China’s Relations with Africa: A New Era of Strategic Engagement, cit.

[16] “China’s second Africa policy paper”, China.org.cn, 7 dicembre 2015.

[17] “China and Africa in the New Era: A Partnership of Equals”, China State Council Information Office, 26 novembre 2021.

[18] M. Repnikova, Chinese Soft Power, Cambridge, Cambridge University Press, 2022.

[19] S. Graziani, “Il soft power culturale della Cina in Africa nell’era di Xi Jinping”, Nuova Secondaria, n. 5, 2021.

[20] M. Pei, “China in Xi’s ‘New Era’: A Play for Global Leadership”, Journal of Democracy, vol. 29, n. 2, aprile 2018, pp. 45-46.

[21] S. Graziani, “Buona narrazione” e potere discorsivo nel contesto dei rapporti sino-africani: una riflessione preliminare”, Sinosfere, 12 gennaio 2021.

[22] Y. Yu, “ZhongFei meiti renshi taolun zhongfei hezuo qianjing: gongtong jianghao ZongFei hezuo jingcai gushi”, People’s Daily, 11 settembre 2018. Si veda anche Y. Li, “Xieshoutongxing, jianghao ZhongFei youhao gushi”, People’s Daily, 11 settembre 2018, p. 21.

[23] S. Graziani, “Buona narrazione” e potere discorsivo nel contesto dei rapporti sino-africani”, cit.; P. Nantulya, “China’s deepening ties to Africa in Xi Jinping’s Third Term”, Africa Center for Strategic Studies, 29 novembre 2022.

[24] Sulle continuità del discorso cinese sui rapporti sino-africani, si rimanda a J. Strauss, “La retorica delle relazioni sino-africane”, Mondo Cinese, n. 158, 2016, p. 69.

[25] Cfr., ad esempio, K. King, China’s Aid and Soft Power in Africa: The Case of Education and Training, cit.; H.Ø. Haugen, “China’s Recruitment of African University Students: Policy Efficacy and Unintended Outcomes”, Globalization, societies and education, vol. 11, n. 3, 2013, pp. 315-44.

[26] P. Nantulya, “China’s First Political School in Africa”, Africa Center for Strategic Studies, 7 novembre 2023.

[27] Si vedano i più recenti sondaggi del Pew Research Center: https://www.pewresearch.org/global/2023/07/27/views-of-china/

[28] M. Lekorwe, A. Chingwete, M. Okuru e R. Samson, “China’s growing presence in Africa wins largely positive popular reviews”, Afrobarometer, n. 122, 24 ottobre 2016.

[29] “How popular is China in Africa? New survey sheds light on what ordinary people think”, Afrobarometer, 17 novembre 2020.

[30] M. Procopio, “Il nuovo valore strategico dell’Africa per la Cina: risorse, mercati, voti e ordine globale”, cit.

[31] T. Zappone, “Reinventing Soft Power: The Strong Impact of China’s Soft Power “shortcomings” on the Global South”, IAI, 29 luglio 2023.

[32] P. Nantulya e L. Lazarus, “Lessons from China’s Forum Diplomacy in Africa, Latin America, and the Caribbean”, Africa Center for Strategic Studies, 22 gennaio 2024.

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