Di Francesca Paola Moretti*
Secondo il sociologo Bauman “il consumo può essere raffigurato come un ciclo metabolico di ingestione, digestione ed escrezione, è un aspetto permanente e ineliminabile della vita svincolato dal tempo e dalla storia, un elemento inseparabile della sopravvivenza biologica che gli esseri umani condividono con tutti gli altri organismi viventi”.
A mio avviso, l’affermazione dell’emerito studioso della società, è molto chiara e descrittiva della società postmoderna e dello stato di perenne malcontento dell’individuo, che prova a sopperire alle sue frustrazioni mediante l’ossessiva corsa agli acquisti di ogni sorta e genere, ricercando al contempo il consumo eccellente. Quello che ricava, però, è uno stato di soddisfazione, ahimè, solo momentanea. Bauman, infatti, sostiene che: “i beni dovrebbero soddisfare nell’immediato e la soddisfazione dovrebbe cessare immediatamente, non appena esaurito il tempo necessario al consumo”.
Mi guardo intorno è noto che quella attuale non è solo una società del consumo ma soprattutto una società dello scialacquamento in costante procreazione di rifiuti.
A badare bene, l’atteggiamento dell’individuo teso a comprare compulsivamente ogni tipologia di prodotti, a livello psicologico, potrebbe anche essere spiegato mediante l’umana speranza di sottrarsi alla morte e quell’atto, sempre più frequente di sbarazzarsene velocemente – aumentando così la massa dei rifiuti- lo esegue per sfuggire al suo sentirsi un essere ordinario. Peccato, però, che concentrato com’è, solo e unicamente, sullo stato di istantaneo appagamento, non riflette sul fatto che nel suo inutile sforzo di scappare alla propria dipartita, causa e velocizza quella dello stesso prodotto e del pianeta. In altri termini, lui stesso si fa una merce del sistema, un avanzo, uno scarto.
Alla base di tale comportamento si potrebbe ipotizzare un retaggio culturale?
Credo che fattori culturali e tendenze di natura strutturale non siano da escludere, anzi. Ognuno di noi, possessore di un qualsiasi bene, non si turba minimamente del rifiuto che esso produrrà una volta che sarà divenuto di un altro proprietario, al contrario, tenderà a spostare il maggior numero degli scarti a esso collegati. Un procedimento scellerato simile al cane che gira su se stesso per mordersi la coda, suscita ilarità, vero? Ma, a riflettere bene, non vi è proprio nulla di cui gioire.
Le mie riflessioni personali sulla questione rifiuti e consumismo sfrenato si incrociano e sposano l’affermazione di un altro studioso, Alexander Langer: “I rifiuti mandano un doppio crudele messaggio: ci dicono che le cose vengono usate con economica brutalità, senza comprensione e sintonia, e che tutto ciò che non conserva l’abbagliante luccichio del nuovo di zecca è semplicemente da buttare. Che terribile oracolo l’usa e getta come canone fondamentale della nostra società!”