Milano, 10 giu. (Adnkronos) – Un regolamento dei conti finale in cui la riforma della giustizia ha come obiettivo il controllo politico e nessun vantaggio per il cittadino. E’ questa la sintesi dell’assemblea della sezione milanese dell’Associazione nazionale magistrati che oltre a esprimere “ferma contrarietà” al Ddl costituzionale di riforma del Csm ritiene “inaccettabile” l’ultima iniziativa del ministro della Giustizia Carlo Nordio nei confronti di tre giudici intervenuti sul caso di Artem Uss che “conferma l’idea di un uso intimidatorio dell’azione disciplinare, volta a punire i magistrati per il merito delle loro decisioni, sgradite al governo di turno”.
Un precedente “molto pericoloso” non esita a definirlo il presidente del tribunale di Milano Fabio Roia che al ministro “che si sente la toga addosso” rimprovera che quella toga “si è scucita addosso nell’esercizio dell’attività politica”. Roia rivendica il ruolo della magistratura come “un’istituzione che ama le altre istituzioni e non va vista come un nemico”. Invoca, invece, una “resistenza” il pm Luca Poniz che non usa mezzi termini: “siamo di fronte a un regolamento finale dei conti” contro la magistratura e per questo “dobbiamo essere pronti a una mobilitazione della giustizia”.
La comunicazione, il porta a porta, una “maratona” per spiegare una riforma “che serve ai politici e non ai cittadini” dove “la separazione delle carriere è fatta per altri scopi” a usare le parole della procuratrice generale Francesca Nanni, sono le ‘controffensive’ a una riforma che desta “fortissima preoccupazione per la qualità della giustizia che non potrà più essere assicurata ai cittadini”. Il progetto di riforma nel suo complesso comporterebbe “un forte ridimensionamento dell’organo di autogoverno, il cui equilibrio interno verrebbe gravemente alterato, mettendo a grave rischio l’indipendenza della magistratura nel suo complesso”.
Nel documento finale dell’assemblea della sezione milanese dell’Associazione nazionale magistrati, sintesi di quasi tre ore intense di confronto, “la creazione di due diversi Consigli superiori per la magistratura requirente e per quella giudicante determinerebbe il definitivo distacco del pubblico ministero dalla giurisdizione e, quindi, dalla garanzia di assoluta indipendenza (‘I giudici sono soggetti soltanto alla legge’) e costituirebbe l’occasione per sancirne la sottoposizione, direttamente o indirettamente, alla sfera di influenza del potere esecutivo”.
L’ulteriore scelta di introdurre il sorteggio quale metodo di nomina dei membri dei due Consigli superiori, “genererebbe il forte pericolo di un’alterazione degli equilibri interni alle due componenti, tranciando il legame con il corpo elettorale dei togati, a vantaggio dei membri laici, solo formalmente sorteggiati”. E “riesce, inoltre, difficile comprendere la coerenza, sul piano costituzionale, della scelta di istituire un’Alta Corte disciplinare, distinta dai due Consigli superiori della magistratura. Ancora una volta, dietro l’apparente volontà di arginare derive correntizie si cela l’intento di ridimensionare l’autonomia della magistratura nel suo complesso, aumentando la capacità di condizionamento politico sull’esercizio indipendente della giurisdizione, a tutela del principio di uguaglianza delle cittadine e dei cittadini”.
L’assemblea delle toghe milanesi “auspica un forte impegno di tutta la magistratura per manifestare la ferma contrarietà a qualsiasi tentativo di condizionare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura – attraverso iniziative di riforma o con l’uso senza precedenti dell’azione disciplinare – mediante iniziative pubbliche, dibattiti e incontri, con il coinvolgimento dell’avvocatura e dell’accademia, volti ad informare la cittadinanza delle possibili conseguenze delle scelte nefaste dell’esecutivo, in armonia con quanto già deliberato dall’ultima assemblea generale; denunciare in tutte le sedi l’assoluta carenza di risorse, principale ragione del malfunzionamento della giustizia in Italia; monitorare l’andamento dell’iter parlamentare, non escludendo il ricorso all’astensione dal proprio servizio qualora ciò si rendesse necessario”.

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