Di Daniele Piro

A Kreuzberg, quartiere di Berlino, è rimasto in piedi una parte di quel muro simbolo di una divisione che fortunatamente non esiste (o non dovrebbe esistere) più. Andrebbero osservati con attenzione ed ammirazione i dipinti e tutte le frasi lasciate in tutte le lingue del mondo, a testimonianza che i pensieri hanno voglia di andare ovunque, soprattutto sui simboli che appartenevano a quell’oppressione di cui ci siamo liberati.

Chiunque vi è transitato, ha avuto il desiderio di lasciare la sua impronta di libertà su quel pezzo di muro che si erge a ricordo di un passato da ricordare solo nei libri di storia.Se avrete modo di andarci noterete una frase che mi ha fatto molto ridere che, allo stesso tempo, mi ha colpito profondamente, a dimostrazione che lo spirito ribelle c’è ed esiste in tutti noi e non è affatto vero che per forza di cose bisogna accettare passivamente e silenziosamente gli eventi. La frase in questione è un grido ironico ed impertinente lasciato da comuni ragazzi, ignari che da lì a poco tutto sarebbe finito con la caduta del muro: “Can we have our ball back?”
Immaginate la scena: gruppetto di ragazzini sui 15 anni che si trovano a giocare a pallone nella Berlino Ovest degli anni 80, quella “libera” dove tutto è permesso. Ridono di cuore.

Sanno che qualcuno dall’altra parte li sta osservando dalla finestra. E’ un loro coetaneo della Berlino est che osserva la partitella e freme dal desiderio di poter fare altrettanto, ma non può perché è nella parte di Berlino sbagliata, quella in cui il muro divisorio è presidiato dai soldati ed il silenzio ed il coprifuoco la fanno da padrone. La notte prima è nevicato ed il manto stradale è ghiacciato. Uno dei ragazzi scivola, perde il controllo della palla. Il tiro è più alto del solito ed ecco che la palla finisce proprio dove non avevano previsto finisse. I giochi sono finiti, meglio andare a casa. Il ragazzino di Berlino est è ancora affacciato alla finestra e assiste alla scena con timore, ma con tanta voglia di partecipare: vorrei ma non posso – è il suo pensiero. Vorrebbe precipitarsi per strada, prenderla tra le mani, tirare un calcio forte ed unirsi al gioco insieme agli altri. Correre e ridere, sentire il freddo pungente sulla faccia.

Non ha importanza se c’è la neve, ci sono i divieti, i soldati, perchè la voglia di giocare è più forte di ogni condizione meteorologica e logistica avversa. La palla viene intercettata subito dai soldati. C’è grande agitazione. Arriva il maggiore che intima ai soldati di allontanarsi: potrebbe essere un ordigno del nemico. La zona viene circondata con il filo spinato. La palla rimane là, affonda nella neve fresca, ha esaurito il suo scopo ludico, ormai è vista come un’arma pericolosa. I ragazzini gridano, vogliono la palla indietro. Nessuno risponde al loro grido disperato. Allora uno di loro, ancora arrabbiato, tira fuori un pennarello, e lascia impresso sul muro un pensiero che consegnerà alla storia, sottolineando come il gioco, la voglia di correre in libertà non può essere fermato da nessuno:
CAN WE HAVE OUR BALL BACK ? (possiamo riavere la palla?)

Se ci pensate su è un po’ come la metafora della vita: chi di noi non vorrebbe riappropriarsi della palla, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo perché, in fondo, tutti vogliamo continuare a giocare?

Scugnizzo69

 

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