di Fabrizio Binacchi*
Repubblica. La Repubblica, la Repubblica Italiana. Quante volte leggiamo e pronunciamo questo nome e sorvoliamo su storia e significato. Ci sta. Alcune cose dobbiamo darle per scontate, definite, assodate, riassodate. Sperem. Fermata metropolitana Repubblica, viale della Repubblica dove sto a Bo, mica poco, le tante piazze della Repubblica da Firenze a Roma, a Milano, dalle città più grandi ai comuni più piccoli dove spesso Repubblica è una toponomastica ricorrente come Libertà, Roma, Nazionale.
Via, corso, viale piazza della Libertà. Anche ponte della Libertà a Venezia, per esempio, dove i ponti non mancano e non possono mancare. Via, corso, piazza, viale Roma. Via Nazionale. Là.
A Firenze piazza della Repubblica è maestosa e centralissima. Porticati e animazione, passaggio e storia. Proprio in piazza della Repubblica a Firenze si possono riscontrare scorci umani ed architettonici che sono la storia recente e passata della città e del Paese.
E mi ricordo per associazione culturale e personale un’altra città della mia vita: Mantova. Quando andavo a Mantova da studente sentivo una vibrazione storica alla schiena quando percorrevo i viali Risorgimento e Repubblica, in questa parte del centro storico della città, un po’ base della forma a pera che -a ben guardare- ha il capoluogo virgiliano, forse chissà emulando il bacino del Garda, da cui arriva il fiume che ci circonda.
Viale Repubblica, viale Risorgimento, viale Isonzo e Viale Monte Grappa, in un colpo solo un abbraccio di due secoli, in un nome pagine di storia che hanno segnato l’Italia e gli italiani. E poi più giù viale Te per il Te, reggia dei Gonzaga.
Dunque, Repubblica. Forma istituzionale, una giornata di festa a lei dedicata e poi – dal 1976- anche un giornale in Italia, quello fondato da Eugenio Scalfari che nella seconda metà del Novecento ha sparigliato il mondo giornalistico ed editoriale e anche quello tipografico visto che le Repubblica fu il primo grande giornale ad uscire in formato tabloid, cioè sei colonne e non più nove. Una rivoluzione, rivoluzione de la Repubblica nella Repubblica Italiana. Eh, Repubblica. Res publica, cosa di tutti. Se almeno ci ripassassimo che cosa vuoi dirci con il tuo nome, come ai corsi di diritto costituzionale o alle storiche ma dimenticate lezioni di educazione civica, saremmo tutti più consapevoli del tuo valore. Repubblica nata da un referendum dopo un periodo nerissimo di guerra, seguita ad una dittatura, e nella tribolazione delle contestazioni, ma ben solida fin dall’inizio nella volontà e determinazione della maggioranza delle forze politiche popolari. Eccoci qua.
Res pubblica. Cosa pubblica, c’è di che riflettere sul nome e sul significato. Direi di usare queste ore di festa per approfondirne due: essere pubblici, essere partecipi.
Partiamo dalla Costituzione. Sarò breve, tuttavia. Articolo 1. «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.» E qui c’è già tutto. È già Repubblica piena.
I primi dodici articoli della Costituzione delineano i “Principi fondamentali”, assenti negli statuti fondativi precedenti, che espongono lo spirito della Costituzione. In essi sono compresi alcuni dei principi supremi della Costituzione che si ritrovano sottintesi in tutto il testo. Altri principi supremi della Costituzione, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, si trovano anche nella parte I e nella parte II della Costituzione, come, ad esempio, il principio di indipendenza della magistratura, tema assai caldo in queste settimane. I principi supremi della Costituzione non possono essere oggetto di modifica attraverso il procedimento di revisione costituzionale previsto dagli articoli 138 e 139. E poi “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.» E poi ancora: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.» Mica poco.
A ben guardare e, come si dice in linguaggio orale corrente, “in fondo” anche chi scrive queste righe è un po’ figlio della Repubblica. Almeno per due ragioni di date e cronologia: mamma e papà si sono sposati un 2 giugno, mica poco, e poi che 2 giugno! di un anno bello rotondo, cuore e anima della rinascita italiana, inoltre si vocifera che in quel 2 giugno chi scrive fosse era già corso d’opera. Venendo più o meno casualmente alla luce poi un giorno di fine dicembre esattamente il 27 si va a far coincidere il fatto della nascita con un’altra data che ha a che fare con la Repubblica. La firma della Costituzione Italiana in quel 27 dicembre 1947, nella Sala di Palazzo Giustiniani ove settant’anni dopo fui coinvolto in un anniversario istituzionale con tanti altri nati il 27 dicembre. Repubblica e Costituzione, e come direbbe e anzi ha detto l’avvocato Sergio Genovesi da Mantova in un corso di giornalismo su parole per l’informazione: bisognerebbe prendere d’esempio le frasi degli articoli della Costituzione: sono venti al massimo trenta parole ben scritte e con significato chiaro. Altro che la burocratite cioè linguaggio burocratico contorto che poi si è innervato nei gangli comunicazionali del Paese.
Mica poco. Pensiamoci quando percorriamo un viale della Repubblica o ci troviamo ad attraversare una piazza della Repubblica.
Info Fabrizio Binacchi
Fabrizio Binacchi, giornalista economico Tg1, poi in giro per l’Italia a dirigere redazioni e sedi regionali. Ha realizzato e curato varie trasmissioni su RaiUno e RaiTre. Ha condotto Linea Verde finendo in acqua e su Striscia, Paperissima, Blob, facendo passare quel poco di popolarità dai palazzi della politica ai supermercati. Insegna in vari master, ha scritto tre libri e ha vissuto in sette città ma solo in due si trova a casa: Bologna e Firenze.