Di Daniele Piro
Oggi voglio raccontarvi una favoletta legata al mondo del calcio e per farlo andiamo in Sudamerica, precisamente ad Avellaneda, in Argentina.
Avellaneda, prima di diventare una vera città, era il quartiere portuale della grande capitale Buenos Aires. Con il proliferare degli scambi commerciali, crebbe talmente tanto da fregiarsi del titolo di città autonoma. Gli abitanti, allora, ringraziarono il Re dando alla neonata città proprio il suo nome, Avellaneda.
Avellaneda non era un posto ricco. I suoi erano abitanti umili, legati ancora ad una mentalità di quartiere, e la città in sé non era certo la più bella del reame, ma nella sua semplicità di città cresciuta troppo in fretta, sfoggiava due autentiche meraviglie, due templi del calcio che erano l’Estadio Perón, detto El Cilindro per via della sua forma circolare, e l’Estadio Libertadores de América, o La Doble Visera. Con due squadre era ovvio che in ogni abitante scattasse la molla dell’identità e dell’appartenenza: tifare Racing o Independiente? Albiceleste o Los Diablos Rojos? Milito o Bochini? Le risposte a queste domande erano il biglietto da visita per ogni abitante del posto.

La rivalità tra le due squadre era forte, fortissima, e i tifosi non aiutavano certo a stemperarla! Dai più amichevoli sfottò, alle risse, Avellaneda era immersa pienamente in questo contrasto. Un’opposizione che si rifletteva anche soltanto nella posizione dei due stadi: uno di fronte all’altro, separati da una via dal doppio nome, quasi a sfidarsi a duello. Le due squadre, ovviamente, si sfidavano anche sul campo, e il campionato non era nient’altro che una sfida a distanza. Una lotta continua tra le due squadre, questa era Avellaneda.
Nell’anno 1967, il Racing riuscì a vincere la Copa Libertadores, spodestando proprio gli odiati rivali dell’Independiente, ma, soprattutto, vinse la Coppa Intercontinentale, la Coppa che determina la migliore squadra di tutti i regni conosciuti, contro il Celtic, proveniente da una lontana terra chiamata Scozia. Ma quell’anno, quell’anno fu anche l’inizio della più grande tragedia per il Racing Club de Avellaneda…
I tifosi dell’Independiente non potevano sopportare tutto questo. Da lì a poco i sostenitori del Racing sarebbero tornati da Montevideo, dove era andata in scena la finale, sarebbero usciti per le strade, avrebbero colorato tutta la città di bianco e di celeste, e per loro, questo, era inaccettabile. Tanto inaccettabile, che alcuni tifosi si incontrarono, mentre la partita era ancora in corso, ma destinata a favore delle truppe nemiche, e decisero di agire tramite la stregoneria. Niente è certo in queste storie, ma si narra che questi loschi figuri si intrufolarono nel tempio rivale, nel Cilindro, fino a giungere sul campo di manto erboso che, negli anni precedenti, tanto aveva portato bene alla compagine di casa, e seppellirono 7 carcasse di gatti neri, un antico rituale, forse descritto loro dalla strega di Avellaneda.
Sarà leggenda, sarà superstizione, sarà malocchio, insomma chiamatela un po’ come volete ma da quel momento iniziò il periodo buio del Racing che, dopo quella Coppa Intercontinentale, non ha mai più vinto nulla, ed anzi, la sponda cittadina dei suoi tifosi, dovette assistere inerme alla rapida ascesa dei Diavoli Rossi. Infatti, negli anni che vanno dalla “fattura” dei gatti perpetrata ai danni dei cugini (1967) fino all’inizio del ventunesimo secolo, fu capace di vincere ben 7 titoli nazionali e 2 Coppe Intercontinentali, condite da ben 7 Coppe Libertadores, di cui 4 consecutive, e, soprattutto, un nuovo titolo: Rey de Copas. In questo trentennio, a completare il quadro nefasto per il Racing, ci fu il derby del 22 dicembre del 1983, vinto dall’Independiente per 2-0, che consegnò il titolo ai Rojos e la retrocessione del Racing nell’inferno della Serie B.
Tifosi, presidenti e giocatori del Racing le provarono tutte, tutte per rompere questa maledizione. Un presidente decise di chiedere aiuto a chiunque tenesse al Racing per trovare i 7 gatti e disseppellirli, c’è chi dice che ne trovarono uno solo, chi dice che ne trovarono 6, ma l’anatema, in ogni caso, era ancora vivo nel cuore del Cilindro. Neanche le messe nere, sotto gli occhi di uno stadio pieno, funzionarono. Se neanche respingerla con la sua stessa moneta poteva avere effetto su questo flagello divino, cosa mai l’avrebbe potuto fermare?
Erano maledetti, e sarebbero stati maledetti per sempre. Ma fu proprio in quel momento di massimo sconforto che emerse un giovane Príncipe, di nome Diego Milito. Quel principe, dopo 34 anni di buio e disperazione, riuscì con i suoi gol a riportare per un attimo l’altra squadra di Avellaneda a rivedere la luce interrompendo per un breve periodo gli anni della maldición de los siete gatos negros. Non appena il Príncipe partì oltremare, arrivando in Europa, a Genova, poi Saragozza, fino a Milano, sulla sponda nerazzurra, per donare a tutti i suoi gol e guidare le squadre più bisognose alla vittoria, l’Avellaneda ripiombo’ nella situazione dei 34 anni di maledizione: poche vittorie, nessuna coppa, prestazioni che poco si addicevano alla regalità di una squadra detta La Academia.
Ma il Príncipe non si era certo scordato della squadra che lo aveva accudito da giovane, e sentito il richiamo dei tifosi che era riuscito a raggiungerlo fino oltreoceano, tornò a casa sua, se non per sconfiggere definitivamente la maledizione, almeno per arrestarla. Poco prima dello sbarco, anno 2013, gli effetti del magico principe del Racing Club lo precedono, e l’armata nemica, per la prima volta, cadde sotto lo stesso colpo che ferì i fedeli del Cilindro ;l’Independiente retrocesse in Serie B. Un anno dopo, sbarcò il Príncipe, accolto da una folla festante che lo omaggiava e lo osannava, ballando tra canti locali e il profumo del pesce. E un altro titolo nazionale era già nelle mani dei tifosi dell’albiceleste…

Il Príncipe Diego, due anni dopo, smetterà di combattere in prima linea, e diventerà il nuovo segretario tecnico del club, riuscendo nuovamente a portare il Racing al titolo nel 2018. È possibile che questa volta, con tre trofei, egli sia riuscito a sconfiggere definitivamente la maledizione dei sette gatti neri? Tuttavia, alla fine dei conti, l’uomo è sempre nemico di se stesso, e Milito, nel 2020, viene allontanato dagli alti ranghi del Club per motivi a noi ancora sconosciuti, lasciando il Cilindro senza protezione alcuna. Il maleficio aleggerà ancora sull’Estadio Juan Domingo Perón? Il gatto o i gatti sepolti e mai trovati saranno ancora nefasti protagonisti delle vicende legate al Rqacing? Fra una trentina d’anni ne riparleremo……..
Scugnizzo69

 

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