Editoriale di Daniela Piesco Direttore Responsabile

Premesso che a colpi di tv, gossip, veline, tronisti, vip (o aspiranti tali), chirurgia estetica e reality, siamo entrati nell’Italia dell’egemonia sottoculturale fondata sul divertimento, l’edonismo , il flusso continuo e incessante delle immagine dove finanche l’uomo e la donna politica esibiscono il corpo e la sfera privata o una pizzica salentina ad un G7 per celebrare la stagione, che sembra destinata a non finire mai, del politico come celebrità, a tutti quelli che si interrogano se gli esami di maturità servano ancora a qualcosa, rispondo energicamente e fermamente di sì.

In uno scenario fortemente caratterizzato sempre più da una scarsa dimestichezza con la storia e la cultura generale, ennesimo effetto dell’egemonia sottoculturale che ha liquidato i libri come inutili e controproducenti,
fatto sta che la «maturità» rimane probabilmente l’ultimo «rito di iniziazione» contemporaneo.Un rito che segna due momenti diversi della vita di ciascun individuo: si abbandonano l’infanzia e l’adolescenza e si passa ad un altro status. Diventare maggiorenni significa votare, avere responsabilità penale, significa poter fare testamento, ovvero atti giuridicamente significativi. L’esame, dunque, è un rito di passaggio che traghetta i ragazzi e le ragazze verso la loro nuova vita adulta.

Sicuramente lo si può definire un esame non fondamentale e potrebbe anche essere eliminato ma per farlo la procedura è molto complessa. L’esame di maturità è infatti previsto dall’articolo 33 della Costituzione Italiana:”E’ prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.” L’articolo , dunque, può essere modificato ma per farlo ci vorrebbe una procedura lunga e complessa. Tenerlo o toglierlo non dipende quindi dal singolo ministro, sarebbe una decisione molto più ampia.

Inoltre con l’Aula della Camera che ha votato addirittura,a maggioranza ,l’inversione dell’ordine dei lavori per affrontare prima l’autonomia differenziata rispetto al calendario,pur nella sua inutilità sostanziale, l’esame di Stato è uno dei pochi riti collettivi che ancora unisce da Nord a Sud la nostra nazione, e, di fatto, tutti noi.

Se eliminarlo comporterebbe una procedura complessa, si può invece ripensarlo così da dare ai ragazzi la possibilità di far emergere altro della loro personalità e della loro preparazione. Sarebbe utile introdurre delle novità per renderlo più vicino agli studenti di oggi e ai percorsi che hanno compiuto anche se l’esame è già cambiato molto rispetto al passato

Ad esempio e per quanto mi riguarda per valorizzare l’Educazione civica, diventata per legge una nuova materia curricolare, non basta l’acquisizione di contenuti basilari. In sede d’esame il candidato dovrebbe dimostrare di avere uno sguardo sul proprio quartiere, sulla propria città, sul proprio Paese, sulla realtà più ampia dell’Europa e del mondo: questo è il vero obiettivo che un percorso d’esame dovrebbe mettere in luce. La scuola pubblica forma innanzitutto dei cittadini consapevoli e l’Educazione civica dovrebbe essere la cartina al tornasole di questo orientamento ideale e non una nuova materia da studiare per allargare le conoscenze di diritto dello studente.

In sintesi ogni ragazzo dovrebbe avere l’opportunità di dimostrare in primis le proprie competenze di cittadinanza ancorate a una solida conoscenza delle norme, potenziata da una capacità di interrogarsi su se stesso e sulla realtà in cui vive, attualizzando i contenuti curricolari studiati. Tale consapevolezza critica risulta più che mai fondamentale per acquisire la resilienza necessaria in questo scenario dai tratti distopici in cui siamo costretti a vivere.

 

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