Di Daniela Piesco 

Il ponte sullo stretto di Messina è un’opera dagli eterni ritorni e le tifoserie, talvolta feroci, pro e contro, con il passare degli anni, sono divenute entrambe meno rigide.

Chi è stato sempre d’accordo ammette che le infrastrutture di mobilità oramai sono importanti tanto quanto la grande opera, e chi è contro, si è ammorbidito pensando che oggi più che mai la rinascita del sud passa anche dalla mobilità delle merci.

Chi invece continua a dire di no al ponte senza se e senza ma sono gli ambientalisti, e non solo per l’impatto ecologico negativo che la struttura avrebbe sulla fragile costa calabrese, sulla zona umida della laguna di Capo Peloro e sull’ecosistema botanico dei monti Peloritani.

Gli ambientalisti infatti hanno anche risvegliato la memoria di uno dei più grandi rimossi storici dell’area, e cioè che la Calabria meridionale (tutta l’area di Reggio Calabria) e la Sicilia Orientale (area del messinese), sono comprese nella zona sismica 1, nel più alto rischio di pericolosità. Rischio che diventò realtà in uno dei terremoti più feroci della storia europea – magnitudo 7,1 – che nel 1908 rase al suolo la città di Messina cambiandone per sempre i connotati e uccidendo 80 mila persone.

Ma cosa ne pensano i calabresi o meglio quanto può essere utile la realizzazione dell’ opera alla Calabria?

Come vivono in Calabria la possibilità di una gigantesca infrastruttura che non sarà certo meno clemente tanto dal punto di vista ambientale quanto sotto l’aspetto del traffico?

Recandomi in questa terra meravigliosa in occasione del periodo estivo, ormai da parecchi anni, ho voluto raccogliere il comune sentire sulla faccenda.

È bene chiarire, sin da subito, che non si hanno pregiudizi sull’opera ma si avvertono emergenze sulle quali intervenire prima del Ponte.

Ci sono, infatti, infrastrutture di grande rilievo strategico già programmate (ferroviarie, stradali, autostradali e sistemi urbani) e grandi opere commissariate che non possono continuare a passare in secondo piano. Ci sono,inoltre,cantieri mai terminati e altri che attendono da tempo di partire, strade colabrodo, viadotti che cadono e lasciano aree interne isolate e treni vetusti.

Si ripete, come un mantra, tra la popolazione calabrese, che “ciò che per altre regioni è ordinario, per la Calabria sembra straordinario”. “Pensare al Ponte sullo Stretto senza adoperarsi per mettere mano alla linea ferroviaria da Roma in giù, in alcuni tratti non elettrificata, o a un binario, a un’Alta Velocità traballante e ad aree quasi isolate, appare poco sensato”.

Inoltre, a ben guardare, anche la rete stradale non è meglio, basti pensare all’eterna incompiuta statale 106 e alla mole di automobilisti che vi hanno perso la vitae all’ A2 che è un susseguirsi di cantieri che creano disagio al traffico.

Appare evidente che i calabresi vorrebbero che si lavorasse su ferrovie e strade per ridare slancio al Sud e per creare nuovo appeal sui porti.

Ma le preoccupazioni della popolazione vanno oltre e si focalizzano anche sul rischio di infiltrazioni criminali che l’avvio di lavori mastodontici come quelli per il Ponte potrebbe portare.

Difatti l’uso sconsiderato dell’affidamento diretto della procedura negoziata senza bandi di gara, dell’appalto integrato, può, nel volgere di poco tempo, determinare aspetti degenerativi, inficiare la capacità di realizzazione e la stessa qualità della spesa, un peggioramento delle condizioni di lavoro e un restringimento dei diritti dei lavoratori per quanto concerne la corretta applicazione dei contratti nazionali e la prevenzione antinfortunistica.

Questo però, sostengono,non vuol dire che le opere pubbliche non si possono fare al Sud perché ci sono le mafie: vanno fatte se sono utili perché il problema dei possibili interessi della criminalità organizzata per le grandi opere non può diventare un alibi per non realizzarle. Non si può pensare che le opere pubbliche importanti, come l’Alta velocità, non si possono fare in Calabria perché c’è la ‘ndrangheta. Le opere pubbliche si devono fare eccome. Così come l’ammodernamento della statale 106 ionica tra Reggio Calabria a Taranto, una strada che oggi è la stessa che realizzò Mussolini.

In buona sostanza i calabresi non vogliono essere presi in giro con alibi secondo cui il mancato sviluppo del nostro Mezzogiorno è stato dovuto all’assenza di un’opera chimerica e del tutto immaginaria. Alibi offensivi se a muoverli sono gli stessi che stanno per dividere l’Italia con l’autonomia differenziata.

L’idea del ponte di mezzo appare secondaria rispetto alla necessità di collegare la Calabria a se stessa.

 

Info Daniela Piesco
Avvocato, giornalista pubblicista, condirettore del giornale internazionale on line “Radici”, editorialista dell’ Eco di Milano e Provincia. Appassionata di cultura, politica e attualità scrive altresì sul Corriere Nazionale,sul Corriere di Puglia e Lucania e su Stampa Parlamento.Da maggio 2024 è Direttore Responsabile dell’Eco del Sannio .

“Sono fermamente convinta, prendendo a prestito le parole di Moravia, che quando le informazioni mancano, le voci crescono.”

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