Di Raffaele Romano 

In attesa del risultato finale per la nomina dei membri della Commissione europea dove, vista la nostra notoria e storica assenza dal 1994 fra i partiti socialisti popolari e liberali che governano dal 1958 l’Europa, troviamo la presidente del Consiglio quasi col cappello in mano nella speranza di entrare dalla porta di servizio nel governo UE e, dall’altra, la leader del partito democratico che urla e sbraita con adunate romane senza concludere granchè e non capendo che, così facendo, non colpisce solo la Meloni ma abbassa ancor di più il già scarsissimo peso politico dell’Italia. A queste signore, fra le tante cose, manca la conoscenza della Storia oltre al fatto che non sono né popolari e né socialiste. A tal riguardo, nella speranza che fra i loro rispettivi uffici stampa ci sia qualcuno che ci legga, vogliamo ricordare come dava le carte l’Italia allora facendo leva su due cavalli di razza, rispettivamente socialista e popolare: Gianni De Michelis e Giulio Andreotti.
De Michelis nel 1996 con un articolo dal titolo “La Verità su Maastricht”. Fra le tante cose che descrisse l’allora ministro degli Esteri del VII governo guidato
da Giulio Andreotti alcuni fatti storici per comprendere le verità sull’Europa e dell’Europa. Il crollo del muro di Berlino stava sconvolgendo gli equilibri mondiali con tutti gli effetti geopolitici: e, già al vertice straordinario di Parigi nel novembre 1989, si delineò quello che sarà lo scambio geopolitico implicito nel trattato di Maastricht: l’Europa diede via libera alla Germania per la riunificazione in tempi rapidi, ottenendo come contropartita l’europeizzazione del marco”. Di fatto la nascente moneta unica, l’euro, sarà il marco tedesco con una sostanziale e determinante novità in quanto a gestirlo non sarà più la grande Bundesbank, bensì la BCE dove, in un sistema paritario, i tedeschi avranno un solo seggio come tutti gli altri Paesi. Alla fine la Germania fu costretta ad accettare e perdere il suo forte “marco”. Accettò l’integrazione europea con l’impegno formale di rinunciare “persino alla sovranità sul marco a una data fissata, il primo gennaio 1999, pur di garantirsi l’appoggio dei partner alla riunificazione”. In questo passaggio di Gianni De Michelis che riproponiamo integralmente, si evidenziarono le grandi capacità di Giulio Andreotti e Gianni De Michelis:
“ho un ricordo personale molto vivo che può illustrare la sorda battaglia fra Kohl e gli altri leader europei … dopo cena ci raduniamo intorno al caminetto per un caffè Mitterand al centro, attorno a lui i capi di Stato o di governo disposti a semi cerchio, poi una seconda fila con i ministri degli Esteri. Io sono seduto alle spalle di Andreotti e Kohl. Mitterand parla e fa subito capire che per lui la questione dell’unità tedesca è un’eventualità storica, da verificarsi in un futuro abbastanza imprecisato. Sullo stesso
tono gli interventi degli altri, da Gonzalez alla Thatcher. Kohl diventa sempre più rosso di rabbia e quando tocca a lui sembra quasi che stia per piangere. Il succo del suo intervento è questo: voi non potete farmi tornare a Bonn, dal mio popolo, senza un messaggio chiaro di appoggio dell’Europa alla riunificazione tedesca. È emozionatissimo perché capisce che sta rischiando di restare a mani vuote.” De Michelis che gli è seduto dietro sa che a quel punto la parola tocca ad Andreotti e da valente ministro degli Esteri si china per parlargli all’orecchio: “Presidente, adesso
tutti si aspettano da te la stoccata finale. Sanno benissimo come la pensi sull’unificazione tedesca (amava così tanto la Germania da volerne due per inciso
Andreotti veniva da una riunione della Nato in cui aveva avuto uno scontro molto forte con Kohl nda), ma qui hai un’occasione unica. Qui non bisogna badare alle proprie idee, ma alla politica. Proprio perché tutti sanno come la pensi, se tu apri uno spiraglio a Kohl le tue parole varranno doppio. Io e Fagiolo (diplomatico e consigliere di De Michelis nda) abbiamo preparato una frasetta per fissare la posizione italiana. Con tutte le cautele diplomatiche, questa frasetta dichiara che l’Europa auspica e promuove l’unificazione della Germania. Niente di definitivo, ma è ciò di cui Kohl ha bisogno per superare l’impasse”. Andreotti colse al volo l’idea e lesse quella frasetta, immortalata poi nel comunicato finale. Tutti gli altri furono presi in contropiede. Se Andreotti aprì fu difficile per tutti gli altri non tenerne conto. Di colpo l’impasse fu superata e il vertice si chiuse con un esplicito appoggio della Comunità all’idea della riunificazione tedesca.
“Credo che Kohl non abbia dimenticato quel momento e che il nostro buon rapporto con i tedeschi nasca anche di lì.” concluse De Michelis lasciando intendere la creazione di un forte asse Roma-Berlino.
Da quel rapporto politicamente forte fra un vecchio democristiano, Andreotti, ed un vecchio socialista, De Michelis, si possono apprendere due lezioni: l’appartenenza politica internazionale è cosa vitale e che, a dispetto delle proprie idee, si devono ribaltare come nel caso del Presidente Andreotti, per ottenere un ruolo primario da poter gestire.

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