Di Paola Francesca Moretti
Non fa mistero di sé questo mito della letteratura italiana, infatti, in una lettera scritta a una delle sue tante amanti Gabriele D’Annunzio si presenta come “Prodigo, scialacquatore, temerario, generoso e affettuoso, triste, gaio, da un’ora all’altra indomabile e indomato”.
Che dire…tutto il contrario di tutto!
Certamente all’epoca i cronisti hanno avuto molto materiale su cui scrivere, giacché, D’Annunzio uomo più che poeta, ha offerto loro, su un bel piatto d’argento, tanti gossip sulla sua vita privata.
D’altra parte solo un tipo come lui poteva donare ai posteri questa chicca di saggezza: “Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte”.
Come non riconoscere al nostro Gabrielino l’energico impegno profuso a vivere ogni giorno della sua esistenza come una vera e propria opera d’arte?
Scrittore molto fecondo, D’Annunzio ha scritto per il teatro, in prosa e in poesia, collocandosi in quel movimento decadentistico che si era diffuso nel continente europeo e in Italia aveva avuto il suo inizio con il Pascoli, anche se in toni del tutto diversi.
Le opere dannunziane si fondano sull’estetismo, sul culto della parola infiocchettata. Egli restituisce al lettore un mondo poetico fatto di sensazioni, sensualità, qualche critico ha avuto l’ardire di affermare privo di sentimenti e di pensiero, ma personalmente non concordo. Verosimilmente si può forse criticare a D’Annunzio l’aver troppo calcato sui versi e su alcune pagine di prosa di musicalità e magnificenza esteriore, ma d’altronde questa modalità espressiva è la caratteristica principale dell’arte del poeta.
Segno grafico e stile di scrittura rivelano molto della personalità di un individuo e quelli di Gabriele D’Annunzio non fanno eccezione.
Il segno grafico agile e grandioso ci svela due aspetti del suo carattere: grintoso ma soprattutto bramoso di esibire la propria superiorità intellettuale. Chissà, durante la giornata, quanto tempo trascorreva a lambiccarsi il cervello per escogitare i modi al fine di riuscire ad attirare su di sé l’interesse altrui e suscitarne al contempo una duratura ammirazione.
Gabriele D’Annunzio non era certo il tipo da sottrarsi ai riflettori mediatici, anzi, più erano puntati su di lui, maggiore era la sensazione di piacere, un sano nutrimento per un tronfio Ego narcisistico.
Una personalità dai tratti camaleontici, a volte abbondavano gli atteggiamenti passionali e decisi, in altre il poeta rivelava il proprio lato docile e convincente per raggiungere gli scopi che si era prefissato.
Tra un sano egoismo, un’evidente vanità e amore di sé, mi chiedo: “Gabriele D’Annunzio era un uomo che si sentiva appagato? Oppure quel suo comportamento irrequieto trae origine da una sorta di insoddisfazione?”