Editoriale di Daniela Piesco Direttore Responsabile
Esiste ancora il ruolo di “cane da guardia” dei giornalisti, i quali non devono mai, anche davanti a una inchiesta con indagati dai ruoli rilevanti, svendere il valore superiore del racconto della verità?
Difficile rispondere perché quello del giornalista è sempre stato un mestiere pericoloso, inviso ai potenti, ai corrotti e ai malfattori.
Qualche esempio?
Il 7 ottobre 2006, a Mosca, la giornalista russa Anna Politkovskaja fu uccisa in un agguato a colpi di pistola mentre rincasava. Aveva 48 anni. Nelle sue inchieste per il giornale indipendente “Novaja Gazeta” e nei suoi libri, tradotti anche all’estero, denunciava le violazioni dei diritti umani in Russia e in Cecenia e criticava apertamente il presidente russo Vladimir Putin (il cui compleanno, per una coincidenza probabilmente non casuale, cade proprio il 7 ottobre).
La mattina del 7 gennaio 2015, a Parigi, due terroristi islamici vestiti di nero e armati con kalashnikov e fucile a pompa fecero una strage nella redazione del settimanale satirico “Charlie Hebdo”: uccisero otto giornalisti (tra cui il direttore Stéphane Charbonnier e il popolare disegnatore Georges Wolinski), un uomo delle pulizie, un ospite e due poliziotti, ritenendo di aver vendicato così il profeta Maometto, raffigurato dal settimanale in vignette per loro blasfeme.
Il 16 ottobre 2017, a Malta, la giornalista Daphne Caruana Galizia, 53 anni, che indagava su casi di corruzione in cui erano coinvolti politici locali, fu uccisa in un attentato dinamitardo.
Il 2 ottobre 2018, nel consolato saudita di Istanbul, il giornalista saudita Jamal Khashoggi, 60 anni, autore di articoli sul “Washington Post” contro la stretta repressiva attuata a Riad dal principe ereditario Mohammed bin Salman, fu assassinato e smembrato e il suo corpo fatto sparire.
Oggi il governo degli Stati Uniti , nell’ambito dell” ‘ordine internazionale basato sulle regole’ ha de facto stabilito che Julian Assange è colpevole di praticare il giornalismo.
Julian è stato sottoposto a un’implacabile tortura psicologica e quasi crocifisso per aver pubblicato fatti che dovrebbero sempre rimanere invisibili all’opinione pubblica.
Ma non è forse questo il senso del giornalismo di alto livello?
Non c’è dubbio che Julian tornerà al timone di WikiLeaks. Mentre parliamo, gli whistleblower potrebbero essere in fila per raccontare le loro storie, supportate da documenti ufficiali.
Tuttavia, il messaggio crudo e minaccioso rimane pienamente impresso nell’inconscio collettivo: lo spietato e onnipotente apparato di intelligence degli Stati Uniti andrà senza esclusione di colpi e prenderà prigionieri per punire chiunque, ovunque, osi denunciare i crimini imperiali.
Una nuova epopea globale inizia ora: la Lotta contro il Giornalismo Criminalizzato.
E in Italia?
Beh qui si ritorna direttamente verso il regime … Perché?
Riguardo alla gioventù bruciata nazionale, per Meloni il vero problema sono i giornalisti “cattivi” colpevoli di svolgere il proprio lavoro , spostando il focus dal merito al metodo e ribaltando,come al solito, totalmente la realtà.
Dopo l’ inchiesta fanpage, infatti, dichiara che non è mai successo nella storia della Repubblica Italiana quello che fanpage ha fatto con fratelli d’ Italia. Non si è mai ritenuto , sostiene,di infiltrarsi in un’ organizzazione, riprenderne segretamente le riunioni,riprendere i fatti personali di minorenni , selezionare cosa mandare o non mandare in onda.
Per lei,dunque,sarebbe questo il grosso scandalo.
Cosi argomentando, però, dimostra di ignorare cosa sia il giornalismo investigativo.Magari sarebbe appena il caso di ricordarle che nei paesi democratici le inchieste come quelle di fanpage sono la normalità . Ci si è infiltrati in organizzazioni di ogni genere qualora c’è stata nell’aria la puzza di bruciato e soprattutto l’ odore di notizie di interesse pubblico.
Ci si è infiltrati nelle aziende , tra i migranti,nei cantieri ,negli allevamenti,nelle filiere produttive .
Asserire che ci sia un problema di metodo rappresenta una pericolosa mistificazione della realtà.
Meloni dovrebbe occuparsi del suo partito e dell’esclusione delle nomine Ue invece che del giornalismo perché a quest’ ultimo, fortunatamente ci pensano i giornalisti.
Quelli veri .
Se così non fosse mi domando dove siano finiti gli insegnamenti di Mario Borsa primo direttore del “Corriere della Sera” dopo la Liberazione (25 aprile 1945), che aveva combattuto il fascismo e difeso strenuamente la libertà di stampa, “l’anima e l’animatrice di tutte le libertà”, diceva. Ai giornalisti che si occupavano di politica raccomandava:
Dite sempre quello che è bene o che vi par tale anche se questo bene non va precisamente a genio ai vostri amici: dite sempre quello che è giusto, anche se ne va della vostra posizione, della vostra quiete, della vostra vita. […] Siate dunque indipendenti ed inchinatevi solo davanti alla libertà, ricordandovi che prima di essere un diritto la libertà è un dovere e che per vivere liberi voi dovete imporre a voi stessi più freni di quelli che, per farci suoi schiavi, vi aveva imposto il nostro duce. Punto e basta
E allora inaudita altera parte, i giornalisti non devono chiedere permesso a nessuno per fare il proprio lavoro.
A nessuno.