Di Michele Santulli
Tra breve si avrà l’occasione di rivedere alla televisione La Ciociara, presentata come si sa da tre giganti dell’arte e della cultura: Alberto Moravia, Vittorio de Sica e Sofia Loren. Una pagina di storia, di storia comune purtroppo, vissuta e rivissuta tante volte nelle vicende umane: la violenza dell’uomo sull’uomo, in questo caso quella ancora più nefanda ed imperdonabile, dell’uomo assatanato sulla donna inerme, uno dei crimini peggiori, mai abbastanza punito, nemmeno oggi: solo nella Bibbia, quindi già migliaia di anni fa, per la violenza sessuale era normale la lapidazione, senza pietà.
Che cosa è stato il famoso ratto delle sabine della storia di Roma antica se non un episodio di stupro collettivo, pur se una storiografia ipocrita e falsa lo ha rivestito di un paludamento quasi romantico e sentimentale?
Tratta dal romanzo La Ciociara di Alberto Moravia, la versione cinematografica prodotta da Vittorio De Sica illustra e documenta un episodio di violenza avvenuto dopo la distruzione e presa di Cassino, quasi in contemporanea allo sbarco in Normandia, cioè verso maggio 1944, a sconfitta ormai avvenuta del Nazismo: lo stupro che il film ricorda viene perpetrato sulle montagne intorno a Fondi in Ciociaria: impareggiabile quasi miracolosa la interpretazione, premiata col Nobel, di Sofia Loren che, le primitive cioce ai piedi, assiste al martirio della figlia Cesira!
E’ uno scherzo della storia che queste medesime montagne abbiano assistito, un secolo prima, per anni e anni, alle imprese dei famigerati briganti di Sonnino, Itri, Monte S.Biagio, di Lenola, ecc. per i quali anche la violenza sulle donne era un ingrediente quasi normale delle loro imprese!
Alberto Moravia fa scorrere sotto gli occhi un episodio della seconda guerra mondiale di cui attori e protagonisti sono i nordafricani del Maghreb, in gran parte tribù marocchine, adibite ad assalti di prima linea o ad azioni particolari dell’esercito francese: oggi di migliaia di soldati sul fronte terribile di Cassino restano le croci coi nomi nei cimiteri della zona: quello dei Tedeschi, degli Inglesi, dei francesi, dei Polacchi, degli Italiani….
E se si percorre la statale tra Venafro e Isernia nel Molise ad un certo punto si incontra un cimitero francese, molto ben tenuto, rivolto verso la Mecca: qui infatti sono sepolti nordafricani delle varie etnie, in numero di sei-settemila, il destino finale di questa tragica umanità di cui si parla nel film e nel libro.
Le ormai tristi marocchinate ancora oggi sono storia di vita indimenticabile in certe località del Basso Cassinate e non solo.
Il libro di Alberto Moravia ha anche un risvolto geografico molto significativo e cioè è la prima volta che il termine ‘ciociaro’ pur conosciuto e sperimentato nella storia dell’arte da anni, ora grazie a Moravia irrompe nel pubblico con risultati quasi rivoluzionari: infatti è la prima volta, grazie anche al successo strepitoso e planetario della pellicola cinematografica, che il termine assume una connotazione identitaria e quasi assiomatica, è la prima volta che quelle zone vengono riconosciute, anzi riappropriate, in modo ormai indiscutibile come ‘Ciociaria’.
In realtà certe contingenze politiche della Storia, alludiamo all’epoca mussoliniana, hanno in qualche modo stravolto e fatte cadere quasi nell’oblio le comuni radici e tradizioni e storia plurisecolari di questi luoghi: anche personaggi di rilievo hanno dato il loro apporto culturale alla ciociarità di questi luoghi, come il regista Giuseppe De Santis di Fondi coi suoi indimenticabili films -Riso Amaro e Non c’è pace tra gli Ulivi- e Libero de Libero pure di Fondi, scrittore e poeta, coi suoi scritti e poesie e non per ultimo il pittore anche fondano Domenico Purificato.
Michele Santulli