di Pierfranco Bruni

È scomparso lo scrittore Ismael Kadaré. Lo scrittore che raccontò le diaspore. Che andò via dall’Albania dopo aver aderito, inizialmente, al comunismo. Soprattutto nella poesia. Capì che la letteratura non può andare d’accordo con l’ideologia. Forse il più italiano e occidentale degli scrittori che avevano attraversato le epoche del terrore. I suoi libri raccontano la sua terra. Studioso tra l’altro di un testo magistrale su Dante. I suoi scritto hanno restituito personaggi e luoghi. Ma il suo Dante resta fondamentale.

Scrisse Ismael Kadaré: “Il nostro pianeta è troppo piccolo per permettersi il lusso di ignorare Dante Alighieri. Sfuggire a Dante è impossibile come sfuggire alla propria coscienza. Nessun’altra creazione letteraria colloca a tal punto la coscienza umana, o meglio i suoi tramonti, nel proprio epicentro”. Lo scrittore, poeta, saggista e sceneggiatore albanese Ismael Kadaré pone subito un problema culturale che va oltre il semplice aspetto letterario. Egli considera Dante al centro di una rinascita e fautore di una nuova dimensione del pensiero europeo, in grado di sintetizzare Occidente e Oriente. Uomo di mezzo non solo dal punto di vista dell’età, ma anche in quanto il suo pensiero si colloca nel mezzo di un periodo storico che annuncia la modernità e antepone alla cronaca la questione profonda dell’identità, soprattutto nel momento in cui subisce l’esilio.

Kadaré lo trasporta nella sua vita e lo vive come compagno di strada nel momento in cui anch’egli subisce il dramma dell’allontanamento dalla sua Albania. L’Albania diventa l’inferno per lo scrittore albanese così come Firenze per Dante. “Non è da escludere, tra altro, che Firenze fosse il cuore del suo inferno” dirà Kadaré pensando a Dante. Ma dov’è il punto di incontro? Esso alberga proprio nel saper leggere Dante non solo attraverso l’analisi della “Commedia”, ma nella tragedia che si trova nella scrittura apocalittica di un Dante che vive la contraddizione dell’esilio non prevedendolo. Eppure Dante è considerato un profeta.

Kadaré legge Dante come un anticipatore di Giorgio Castriota Scanderbeg, con una forte componente cristiana, quale tutore di un Occidente che comprende le eredità mediterranee e degli Orienti. Ma come fece egli a non prevedere l’esilio essendo uomo politico dalle forti capacità intuitive, proprio nello scontro tra Guelfi e Ghibellini? Invero la stessa domanda potrebbe porsi riguardo a Kadaré, il quale fu un forte assertore del comunismo prima e successivamente un eretico molto critico tanto che fu costretto a fuggire in Francia.

Riferendosi ai versi che Dante scrisse su Maometto, Kadaré ebbe a sottolineare: “Il divieto della scrittura che avrebbe accompagnato Dante fino ai Balcani è stato la barriera più sicura che potesse essere eretta contro di lui“. Dante oggi è amato nei Balcani e soprattutto in Albania. Uno dei maggiori studiosi albanesi di Dante resta chiaramente Ernest Koliqi; anch’egli subì l’esilio e visse a Roma dove morì. Non solo portò Dante in Albania con una forza spirituale impressionante, ma lo tradusse e lo commentò in diverse occasioni, percependolo in modo fortemente identitario. Egli ebbe a dire che per gli albanesi Dante fu sempre molto familiare anche sul piano linguistico: le analogie di Koliqi diventano così fondanti per la letteratura del nuovo Rinascimento albanese, ponendo il Sommo Poeta come anticipatore della metafora del viaggio tra Pound e Joyce, in un attraversamento che vede Eliot al centro. In una sola battuta, crea un arco che va da Dante alla modernità.

Kadaré lo configura come un greco che naviga il Mediterraneo considerando l’Albania stessa parte integrante dell’intero mediterraneo. Inserisce nel mosaico della grecità il confronto tra Seferis e Dante auspicando l’Itaca di Kavafis, che è terra della geografia e dello spirito. Ma anche Firenze è tale per Dante. La “Commedia” è il lungo viaggio per giungere ad un esilio della morte, della dissolvenza, della dura nostalgia. In Dante riporta Omero, Shakespeare, Eschilo. Kadaré ha la sua Beatrice nell’Albania che abbandona, allegoria del gioco letterario nel quale non c’è solo Ovidio, bensì la completa interazione tra la profezia della “Commedia” e l’abbandono della Patria.

Dirà ancora Kadaré, forse mutuando anche da Koliqi, che Dante “Raccontando il suo viaggio solitario nel mondo dei morti, rivelava si suoi confratelli poeti – che fossero russi, albanesi, baltici o cinesi – che la condizione naturale di un grande scrittore consiste per l’appunto nel viaggiare vivo tra i morti“. Qui è la chiave che lo rende immortale anche nella storia culturale e civile dell’Albania. Tra i dubbi della politica sorge una sola verità, che è quella della poesia, ovvero della letteratura con la quale è possibile raggiungere pianeti che sembrano sconosciuti e segreti, ciò che ha fatto di Dante e fa di Dante il maestro della verità. Sia Kadaré che Koliqi lo hanno considerato tale. Si seppelliscono i morti per renderli vivi nel viaggio vivo del Dante profeta delle contraddizioni politiche che rendono la sua letteratura eterna.

Dante identitario?

Certo, egli è il segno di una perenne forza identitaria. I suoi testi lo testimoniano. Più volte ho avuto modo di incontrarlo. Tra Parigi e Grottaferrata. Amico dell’Italia e del mondo Italo-albanese. Tra i suoi libri vanno ricordati: “Il generale” dell’armata morta”, “I tamburi della pioggia”, “La città di pietra”, “L’inverno della grande solitudine”, “Il crepuscolo degli dei della steppa”, “Il palazzo dei sogni”, “L’occhio del tiranno”, “Tre canti funebri per il Kosovo”, “Freddi fiori d’aprile”, “L’aquila”, “Un invito a cena di troppo” fino “La bambola”. In saggistica si occupa di Omero, di Amleto, di Eschilo, di Dante. Tra la poesia degli inizi e la narrativa la figura di Dante spicca notevolmente. Infatti credo che la sua lettura dantesca in Albania abbia contribuito a comprendere il tema del viaggio, dell’esilio e della diaspora. Era nato a Agirocastro nel 1936. Vissuto in Francia. E morto il 1 luglio a Tirana. Uno scrittore importante in alcune fasi e soprattutto nel suo Dante. Un libro che resta.

 

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