Di Domenico Maceri

“Non so nulla del Progetto 2025”. Così Donald Trump in un messaggio sulla sua piattaforma Truth Social su un piano radicale di ultra destra per rifare l’America. L’ex presidente, come spesso fa, si è contraddetto aggiungendo di non essere “d’accordo con alcune delle cose che dicono e che alcune cose sono assolutamente ridicole e terribili….. Io non ho niente a che fare con loro”.

Se Trump dissente con alcune delle idee vuole dire che ne sa qualcosa. Infatti, ne sa molto di più perché in grande misura il Progetto 2025 riflette non solo la sua ideologia ma anche la vicinanza degli autori. Più 150 di loro sono stati suoi collaboratori alla Casa Bianca ispirando, giustificando e amplificando le sue tendenze autoritarie.

Il Progetto 2025 creato dal think tank di ultra destra Heritage Foundation riflette anche la bellicosità espressa da Trump in non poche situazioni. Si ricorda il suo incitamento nel discorso a Washington poco prima degli assalti al Campidoglio nel 2021. In quell’occasione Trump disse che bisognava combattere “all’ultimo sangue” per mantenere in piedi il Paese. Questa bellicosità tipica di Trump è chiaramente riflessa anche in un’intervista rilasciata da Kevin Roberts, il presidente della Heritage Foundation. Roberts ha partecipato al programma di Stephen Bannon “War Room” (Sala di Guerra), poco prima che l’ex stratega di Trump si presentasse a un carcere in Connecticut per scontare 4 mesi di carcere per oltraggio al Congresso. Roberts ha dichiarato che sono nel processo di “una seconda rivoluzione americana” aggiungendo in tono minaccioso, che rimarrà “senza spargimento di sangue se la sinistra lo permetterà”.

Il Progetto 2025 eliminerebbe il Dipartimento di Pubblica Istruzione, farebbe approvare ingenti tagli alle tasse, limiterebbe ancor più il diritto all’aborto, darebbe grandi poteri al Dipartimento di Giustizia e apporterebbe grossi tagli ai 50 mila dipendenti del governo federale, sostituendoli con individui fedeli a Trump. Includerebbe deportazioni di massa persino di individui che hanno legami familiari con cittadini americani. In effetti questi progetti avvicinerebbero Trump a un leader autoritario il quale avrebbe anche il potere di invocare l’Insurrection Act in caso di manifestazioni contro la politica del presidente. Quando si aggiunge l’immunità presidenziale approvata dalla Corte Suprema ci sarebbero pochissimi contrappesi per limitare il potere del residente della Casa Bianca.

Se nel suo primo mandato Trump aveva, almeno inizialmente, dei collaboratori di un certo spessore fedeli alla tradizione, una rielezione di Trump escluderebbe questo tipo di paletti perché si circonderebbe di individui fedeli solamente a lui. Trump ha già detto in tono scherzoso che se rieletto non farebbe il dittatore eccetto per un solo giorno. In realtà, come si sa già, il 45esimo presidente ha dimostrato chiaramente i suoi “amori” per leader di regimi autoritari come Vladimir Putin, Kim Jong Un, e Viktor Orban, definendoli con ammirazione come dei duri per il loro stile di governare con poteri supremi.

Dopo il recente dibattito fra Joe Biden e Trump i media, il New York Times in primis, si sono concentrati a convincere il candidato democratico a dimettersi, dimenticando di vedere il vero pericolo. Questo è rappresentato da Trump non solo per le sue tendenze dittatoriali del Progetto 2025 ma anche dal fatto che l’ex presidente è inqualificabile. A cominciare dal fatto che è già stato condannato tre volte, due in casi civili e uno criminale. Da aggiungere anche il carattere dell’ex presidente che il suo partito gli ha perdonato come non avrebbero fatto in passato. Trump è un bugiardo e va ricordato che il Washington Post alcuni anni fa aveva un team di giornalisti che si occupavano di contare tutte le sue falsità. In 4 anni di presidenza il Post aveva calcolato quasi 31 mila bugie o affermazioni fuorvianti.

Nei 90 minuti del dibattito il mese scorso le menzogne di Trump furono calcolate a trenta dalla Cnn. Ma ciò non ha catturato l’interesse dei media che si sono invece buttati a capofitto sulla debole performance di Biden. Da aggiungere ovviamente il carattere di Trump che non solo ha tradito le sue tre mogli con altre donne e in almeno due noti casi ha pagato un totale di 280 mila dollari per silenziarle. Una è ovviamente la pornostar Stormy Daniels per la quale è stato condannato a New York. L’altra, Kathy McDougal, con cui Trump aveva avuto un rapporto extra coniugale di un anno nel 2006, è stata silenziata dal National Enquirer che comprò i diritti alla sua storia per 150 mila dollari senza però poi pubblicarla. In passato il Partito Repubblicano si dipingeva guardiano della moralità e della legalità e si era dichiarato scioccato dal rapporto tra Bill Clinton e Monica Lewinsky negli anni 90. Con Trump portabandiera il Partito Repubblicano è divenuto il partito dell’immoralità e dell’illegalità. Trump è stato dunque normalizzato dai membri del suo partito ma anche dai media. I suoi sgangherati comizi, spesso incoerenti, pieni di insulti come quelli lanciati recentemente contro Chris Christie, ex governatore del New Jersey, per i suoi problemi di obesità sono accettati senza batter occhio.

I riflettori dei media hanno sottolineato la mancanza di energia di Biden mentre la vera storia dovrebbe essere il Progetto 2025 e l’incandidabilità di Trump. Se Biden dovesse lasciare ci potrebbero essere dei vantaggi per i democratici ma anche pericoli. Il pericolo più grande rimane però Trump la cui ideologia è riflessa nel Progetto 2025. Trump ha intuito il problema e per questo ha cercato, senza successo, di prendere le distanze. I media hanno cominciato a interessarsi alla storia ma non in maniera sufficiente per mettere a nudo il pericolo che una rielezione di Trump rappresenta per il Paese e infatti anche per il resto del mondo. Proprio al momento di scrivere veniamo informati che il New York Times, dopo decine e decine di storie negative su Biden, ha pubblicato un editoriale in cui sostiene la troppo ovvia tesi che Trump, per i suoi comportamenti e idee, è completamente squalificato da essere presidente.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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