Di Sergio Pezza *

Alla fine il Ministro Nordio ha portato a casa la prima parte della sua riforma. Lo aveva ripetutamente annunciato ed ora è riuscito a far abrogare l’art.323 del codice penale.

Il testo di questo articolo era il seguente:
“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.”
I sostenitori della abrogazione osservano che i pubblici amministratori sono bloccati dalla cosiddetta ” paura delle firma” e che questo incide negativamente sull’ efficienza dell’ azione amministrativa.
Aggiungono che nella stragrande maggioranza dei casi questi processi finiscono con assoluzione.
L’ abuso di ufficio consiste nell’ uso distorto del potere attribuito all’ amministratore pubblico; potere che viene piegato a soddisfare interessi che nulla hanno a che vedere con quelli pubblici.

Le modifiche normative introdotte nel 1990, 1996 e da ultimo nel 2020 hanno tentato di tipizzare la fattispecie ( fino a svuotarla) al fine di ottenere una maggiore certezza del diritto.
Tuttavia l’uso distorto del potere pubblico è una condotta che merita una sanzione penale, perché crea danno rilevante alla credibilità delle Istituzioni, nonché ai cittadini che ne subiscono le conseguenze.
È nota la difficoltà di provare questo reato nei suoi aspetti anche soggettivi (è richiesto il dolo “intenzionale”) che spesso porta ad assoluzioni.
Ma un conto è riconoscere l’oggettiva difficoltà della prova, altro stabilire che condotte ignobili, dannose e contrarie ai principi di correttezza amministrativa, diventino all’ improvviso non rilevanti penalmente.

Si sarebbe dovuto intervenire, allora, sul diritto processuale, sul regime della prova necessaria per iniziare l’azione penale, non sul diritto sostanziale.
In altre parole servirebbe promuovere l’azione penale solo in presenza di un solido quadro probatorio, evitando così processi inutili.
Anche perché non viviamo in un contesto nordeuropeo, con una elevata cultura della amministrazione.
Talvolta ci si fa eleggere non per rendere un servizio ai cittadini, ma per farsi i fatti propri.

Non possiamo quindi eliminare il controllo di legalità, che tuttavia andrebbe utilizzato “cum grano salis” per non far perdere tempo agli amministratori ed ai giudici.

Sergio Pezza*
È Presidente Sezione penale Tribunale di Benevento ( in foto)

 

 

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