Editoriale di Daniela Piesco Direttore Responsabile

Quando un governo cancella dei reati che riguardano i colletti bianchi è chiaramente un governo in malafede per l’ ovvia ragione che va contro i cittadini.

Quando uno Stato abolisce i reati per fermare i pubblici ministeri, invece di riformare l’azione penale e di migliorare la formazione e la cultura dei magistrati, ha raggiunto un livello di crisi istituzionale tanto inconfessabile, che neppure può ammettere l’inusitata scelta di cancellare i precetti penali e amnistiare il passato per ragioni del tutto strumentali di lotta non contro gli illeciti, ma contro il potere giudiziario.

A nulla rileva la giustificazione che i sindaci sono vittime dell’ abuso d’ ufficio perché esso reato non riguarda solo loro ma una cerchia molto più ampia di soggetti pubblici.Un esempio immediato è quello delle forze dell’ordine o dei magistrati ( si pensi a Palamara e al traffico di influenze.. che adesso avrebbe potuto farla franca)

Ritornando ai sindaci : ce ne sono quasi 8 mila in Italia e se una parte di questi sono imputati e condannati di abuso d’ ufficio non vuol dire che il reato è sbagliato, vuol dire che questi sindaci favoriscono parenti e sistemano nelle istituzioni i loro amici .Secondo i dati più aggiornati del Ministero della Giustizia, nel 2021 erano stati definiti 5.418 procedimenti per abuso d’ufficio davanti alle sezioni Gip/Gup dei tribunali. Le condanne sono state solo nove, a cui si sono aggiunte 35 sentenze di patteggiamento.

Orbene se un problema riguardo l’abuso d’ufficio esiste, il governo avrebbe potuto valutare di affrontarlo diversamente, magari circoscrivendo l’ambito di applicabilità del reato

Ma vi è di più!

Si è detto dell’esiguo numero di sentenze di condanna sottacendo che la tutela penale non si misura con le condanne. Solo un analfabeta della giustizia penale può pensarlo.

È evidente che col tempo le sentenze sono diminuite perché si sono ritagliati spazi di rilevanza penale sempre più esigui, descritti in modo sempre più tassativo, rispetto alla genericità originaria o precedente della regola penale prevista dall’art. 323 c.p. nelle sue diverse versioni, e rispetto ai principali esempi europei e internazionali di analoghe incriminazioni.

Tuttavia, non sono diminuite le denunce, e dunque i procedimenti avviati, che toccano soggetti pubblici più vari, dalle forze dell’ordine alla magistratura, dai professori universitari ai docenti delle diverse scuole, ai medici ospedalieri, dalla materia edilizia a quella dei concorsi e degli appalti.

Solo una parte di questi procedimenti avviati colpisce i c.d. pubblici amministratori, i quali, e tantomeno i soli sindaci, sono una piccola schiera di quel circa un milione di pubblici ufficiali destinatari degli obblighi di legalità e imparzialità che quella incriminazione protegge in via sussidiaria, quando non sussistano reati più gravi (corruzione, concussione ecc.).

Invece di misurare le condanne e di castigare, un sistema giuridico laico e garantista ha l’obiettivo di prevenire

E se la prevenzione è più difficile da misurare, l’effetto preventivo delle leggi penali costituisce l’essenza politica del loro esistere, dall’illuminismo in poi.

Come accadde per il falso in bilancio, in relazione a un ingestibile uso della norma (art. 2621 c.c.) per la verifica della legalità degli amministratori privati, anche ora si abolisce il reato-mezzo di quel controllo. Poco importa che i fatti-reati si commettano davvero, perché il bilanciamento attuato dal governo (e dal Parlamento che ne esegue i dettami) privilegia la vittoria sui pubblici ministeri.

Vien da se , a prescindere da qualsiasi colore politico,che il reato costituiva una nostra tutela.

Se ci si mette in gioco assumendo ruoli pubblici contestualmente si dovrebbe assumere il rischio di essere processati e se non si commettono illeciti c’è l’assoluzione.

Ma quali saranno le conseguenze dell’abrogazione di questo reato dal codice penale?

Ci sono almeno tre situazioni in cui un pubblico ufficiale, quindi,come dicevo, non solo un politico, ma anche un medico o un professore universitario , potrebbe non essere più sanzionato per una condotta scorretta a causa dell’abolizione dell’abuso d’ufficio.

La prima condotta è il cosiddetto “abuso di vantaggio”, ossia quando il pubblico funzionario agisce intenzionalmente per ricevere o dare un vantaggio ad altri. È il caso per esempio di chi vuole truccare un concorso, per assumere magari in un ente pubblico la sua amante o il figlio di un amico, e per questo viola le procedure di concorso.

L’anno scorso la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per abuso d’ufficio nei confronti di un direttore di un ente pubblico che aveva assunto una candidata con cui aveva un rapporto sentimentale.

La seconda situazione che potrebbe restare impunita è “l’abuso di danno”, ossia quando un funzionario pubblico procura ad altri un danno, come quando un cittadino che ha il diritto di costruire su un terreno si vede negato questo diritto da un amministratore locale per un motivo futile o ingiustificato. Oppure è il caso di un magistrato in malafede che fa sparire un elemento di prova a favore di un indagato, recandogli quindi un possibile danno.

Si è tanto parlato dell’irresponsabilità dei magistrati, ma l’abuso d’ufficio serviva anche per punire casi di magistrati irresponsabili.

La terza situazione di rischio riguarda l’ abuso circa  il conflitto di interessi, dal momento che l’abuso d’ufficio punisce anche il pubblico ufficiale che compie atti in un ambito nel quale ha degli interessi personali. Sul tema del conflitto di interessi è intervenuto l’11 luglio il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) Giuseppe Busia, secondo cui l’abrogazione dell’abuso d’ufficio potrebbe lasciare dei vuoti nel controllo dell’imparzialità delle amministrazioni pubbliche, dal momento che senza questo reato potrebbe non essere punito «chi favorisce senza un corrispettivo economico una persona in un concorso, o chi assegna direttamente un contratto».

In sintesi il vero e grave un problema di costituzionalità è che di fronte alle prevaricazioni di pubblici ufficiali il cittadino non avrebbe più la garanzia che queste siano punite dal punto di vista penale e tutte le condotte citate potrebbero essere sanzionate solo dal punto di vista amministrativo.

Il cittadino che subisce situazioni del genere può solo rivolgersi,a proprie spese , alla giustizia amministrativa, e quindi al Tribunale amministrativo regionale (Tar), per cercare di annullare gli atti considerati illegittimi.

Siamo abituati all’idea che i politici mentano. Non solo. Lo tolleriamo a livello di comportamento collettivo ed elettorale. Tanto che neppure ci si attende più un vero programma anticipato al voto. Nel paese del cattivo machiavellismo, poiché la politica non si fa con i pater noster, chi rimprovera al politico scarsa sincerità appare solo un moralista, o un oppositore, magari di sinistra. Uno che di politica non ne capisce molto.

Su tali basi ogni discorso risulta inquinato: se tutti i cretesi mentono, nessun cretese potrà obiettare nulla in termini di verità.

Per tale cortocircuito comunicativo, rimane la necessità di sostenere che fondamentalmente i discorsi pubblici rispondano a un’etica della verità e che il suo tradimento costituisca una eccezione. Quasi un postulato della ragion pratica.

Rimane la necessità di  ribadire che il politico ha un rapporto con la verità diverso dallo studioso, dallo scienziato o dal tecnico di qualche sapere.

Egli si occupa di consenso.

Sveglia italiani.

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