Una certa tradizione giuridica ottocentesca concepisce il diritto come una sorta di divinità astratta e crudele, cui offrire sacrifici umani.
L’ osservanza delle norme costituisce un imperativo categorico; la violazione comporta la necessità di “retribuire il male col male” per soddisfare la divinità offesa.
Una simile visione concepisce il diritto, l’osservanza delle norme, più come un fine che come uno strumento necessario al vivere civile.Si perde così di vista il fine ultimo che resta l’armoniosa convivenza fra esseri umani, il benessere della Comunità.Queste scarne osservazioni di filosofia del diritto possono introdurre ad una visione diversa del diritto e della sanzione.
La necessità non appare più quella di “retribuire il male del reato col male della pena”, ma quella di ripristinare quella armonia sociale, quel benessere della Comunità che il reato ha rovinato.
Questa visione sta emergendo con fatica nella cultura giuridica moderna, ed ha già prodotto conseguenze legislative (la cd. Giustizia Riparativa).Essa può produrre nuovi effetti non solo sulla individuazione degli strumenti per combattere la illegalità, ma anche sulla disciplina della pena.
Quanto al primo tema, occorre abbandonare l’ idea della pena come unico o principale presidio per garantire la legalità.In realtà il rispetto delle norme deve essere perseguito in modo prioritario con giustizia ed inclusione sociale.Se una persona si sente pienamente riconosciuta ed integrata in una Comunità, sarà molto difficile che ponga in pericolo le condizioni di convivenza di quella Comunità.
Se al contrario avverte di essere ai margini, discriminato e osteggiato perché proveniente da una famiglia o da ambienti sbagliati; se avvertirà il disprezzo di chi vive pienamente integrato; se non avrà la fortuna di fare gli incontri ” giusti”, non ci sarà pena, per quanto dura, che potrà allontanarlo dalla tentazione del crimine.In altre parole, lavorare sulla piena integrazione di tutte le fasce sociali, sulla più equa distribuzione della ricchezza, sulla piena inclusione soprattutto dei ragazzi, è strumento di legalità molto più efficace della minaccia di una sanzione.
Da questo punto di vista invocare una scuola ” selettiva”, che escluda ed emargini i ” non meritevoli” è discorso miope oltre che ingiusto.Non spiega cosa fare con gli ” esclusi” ( dei probabili criminali?) e non considera che il concetto di merito prevede che si parta tutti dalla stessa linea di partenza.
Cosa che in concreto non accade.
La scuola ( soprattutto quella dell’ obbligo) deve educare, formare ed includere. Tutti. Non selezionare.
Così come, per il triste fenomeno della violenza di genere, l’ educazione a gestire dolore, abbandono e frustrazione è molto più utile della semplice repressione, che serve ma non basta.
Quanto al secondo tema (disciplina della pena) occorre che essa non sia diretta tanto a produrre sofferenza, come fosse una sorta di vendetta, ma che sia soprattutto UTILE a rieducare, a reinserire ed a riappacificare.
Quando si invoca la effettività o la severità della pena, si dimentica che la pena deve essere soprattutto UTILE al fine ultimo che il diritto persegue: il benessere della Comunità.
E per ottenere questo fine non è detto che una pena dura ed effettiva si dimostri strumento efficace più di una pena umana che punti a rieducare ed includere.
Sergio Pezza*
Presidente Sezione penale Tribunale di Benevento