di Carlo Di Stanislao

Così ammoniva Marziale molti secoli fa per avvertire che dietro cose apparentemente troppo facili si nascondono spesso pericolose insidie. L’abbazia di Santa Bona è un posto fuori del tempo. Un feudo nel feudo delle colline dell’Unesco. Affacciata sul Piave, con quelle grandi muraglie che arrivano fin nelle acque del fiume sacro alla Patria, il Piave, creando lo sghirlo, come lo chiamano lì, quel vortice che tutto risucchia e che tutti tiene lontani. Tranne Alex Marangon che non poteva conoscere le insidie che quelle placide acque nascondono.

Arrivato qui, ai margini di un territorio dedito al Prosecco, il giovane di Marcon non può non essere rimasto incantato dall’aria di nobiltà mescolata a misticismo che quel posto emana: la semplice eleganza della chiesa abbaziale, il chiostro con le sue colonne annodate, il parco con quel verde che acceca e quel silenzio che accoglie.

Il regno del conte Giulio Da Sacco, ereditato dal padre Alberto, è un luogo raro. Ma chiuso. Un feudo nel feudo, appunto. Lontano dalla gente del paese. Più d’uno non nasconde di non esserci mai entrato. Sull’onda di miti e leggende, che tanto non sono, di ritrovo di templari e di massoni, e ora anche di alternativi, creava uno scudo per le persone del luogo. Sarà per questo che il conte ha deciso di aprire le porte con visite guidate ed eventi culturali. Come quello di Musica Medicina.

Un concerto al sole sotto i cedri guardiani dell’abbazia, musiche e canti originali ispirati dalla tradizione curandera, come si legge nel sito web dell’abbazia, andato in scena proprio il sabato prima della tragedia, il 22 giugno, sempre a cura di Andrea Zuin, il guru che ha organizzato la due giorni sciamanica nella quale ha perso la vita Alex.

Tati e Zu, insieme ZuMusic Project, o meglio Andrea Gorgi Zuin e la compagna Tatiana Marchetto, qui sono di casa. Dopo aver lasciato il giardino di un centro olistico nella campagna pievigina, le querce bianche, a Barbisano, con il loro camper si sono trasferiti nel parco dell’abbazia. E con i conti hanno legato, o comunque a quel che dicono quelli che hanno partecipato all’evento del 22, c’era un comune sentire: «La moglie romena del conte, Alexandra, suonava con loro e si respirava una bella empatia». Insomma Tati e Zu avevano trovato una simil casa, un posto dove fermarsi.

Dall’ultimo luogo, pare, non se ne fossero andati proprio bene: quelle cerimonie non piacevano. Troppi rischi, per tutti. E già allora sembrerebbe, riferisce più d’uno, «che qualche partecipante si fosse sentito male». Ma la coppia non ha mai rinnegato la sua visione. La morte di Alex dopo la riunione a pagamento da 200 euro con lo sciamano dal Sudamerica.

Una piccola incisione sulla pelle con veleno di rana amazzonica. Questa potrebbe essere una delle cause dei malori di Alex che aveva partecipato a una festa a base di allucinogeni, tra cui l’ayahuasca, al centro di riti degli sciamani e che provoca reazioni psichedeliche e allucinogene. Durante la riunione Alex si è allontanato dalla chiesa sconsacrata, seguito da “Zu”, ovvero Andrea Gorgi Zuin, e la compagna Tatiana “Tati” Marchetto.

Marangon soffriva anche di una forte forma di asma. Al Corriere della Sera il tossicologo Guido Mannaioni dice che «l’ayahuasca è una bevanda realizzata con un mix di piante che vengono macerate e bollite. Contengono principi attivi prettamente allucinogeni e psichedelici». La bevanda «può provocare un’intossicazione acuta. Dipende molto dalla dose assunta e dalle capacità metaboliche dell’individuo». Il professore, ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Firenze, aggiunge però che «innanzitutto, prima di puntare il dito contro l’ayahuasca, bisognerà accertare se davvero questi principi sono presenti nel corpo della vittima».

Gli effetti sono «essenzialmente di tipo psichedelico. I principi attivi presenti, come la dimetiltriptamina, hanno effetti simili all’Lsd. Tendono ad aumentare la neurotrasmissione stimolante del sistema nervoso centrale, possono creare disorientamento spazio-temporale e difficile percezione di una situazione pericolosa. Come potrebbe essere accaduto al ragazzo.

Nel panorama contemporaneo, assistiamo a un paradosso: da un lato, l’Occidente si tinge sempre più di ateismo, mentre dall’altro cresce il fascino per spiritualità alternative e pratiche sciamaniche. Se da un lato il materialismo dei consumi e della tecnologia regna sovrano, dall’altro si avverte un crescente bisogno di evadere da questa gabbia. La ricerca di una “salvezza” individuale e immediata spinge molti a esplorare sentieri alternativi, spesso mescolando in maniera eclettica diverse tradizioni e rituali. Come sottolinea Stefano De Matteis nel suo libro Gli sciamani non ci salveranno, questa ricerca di spiritualità può sfociare in un “doppio gioco” di appropriazione e banalizzazione delle pratiche sciamaniche. Da un lato, si tende a mercificarle, trasformandole in prodotti da consumare; dall’altro, le si svuota del loro significato originario, adattandole a una sensibilità occidentale spesso individualista e superficiale.

Emerge quindi la necessità di un approccio più consapevole e rispettoso di queste antiche tradizioni. Occorre evitare di ridurle a mere curiosità esotiche o a strumenti per la fuga dalla realtà. Piuttosto, dovremmo impegnarci a comprenderne la complessità e il valore intrinseco, per attingere alla loro saggezza e applicarla alla nostra vita in modo autentico e profondo. Copricapi fantasiosi o esibire capelli arruffati in dread lock naturali, ma in tutti i casi è espressione di alterità, capace di incarnare immediatamente, a una rapida occhiata, la figura del signore del limite, che sa gestire forze terrene e spirituali, governare l’aldilà, spesso facendo ricorso a crisi estatiche.

Lo sciamano è il rappresentante di un mondo estraneo più che marginale, abile nell’oscillare tra la ricchezza dei suoi ornamenti e la povertà di un drop out, ma sempre accompagnato dal tamburo che utilizza per le pratiche magico-religiose dedicate alla guarigione o per attivare i viaggi fuori dal corpo. Nello stesso tempo, è capace di gestire la scena rituale come un attore provetto, un giocoliere o un prestidigitatore che guida a suo piacimento lo sguardo e l’attenzione dei suoi clienti-spettatori in modo da agire sulla loro emotività psicofisica e, grazie al suo grande carisma, operare su di essi per portare a termine le operazioni che gli sono state richieste: dalle guarigioni, alle protezioni, alla risoluzione di controversie sociali. Ha familiarità con l’occulto e con le trame profonde della vita, ma è anche un operatore dell’immaginario, conoscitore dei soggetti e dei contesti e, soprattutto, un grande stratega delle occasioni, per cui mai chiedergli una danza della pioggia a ferragosto…

Ma lo sciamano non prende soldi e non opera mai al di fuori del territorio in cui vive, ci insegna il massimo esperto italiani di sciamanesimo andino, il prof. Mario Polia ne Il Sangue del Condor. Le persone che si avvicinano a queste nuove realtà sono alla ricerca di significati che sappiano colmare vuoti di senso al cui cospetto – a loro sembra – le religioni tradizionali non riescono a dare risposte soddisfacenti. Una delle caratteristiche distintive delle nuove spiritualità è di fatto la matrice fortemente emozionale. In altre parole, siamo di fronte a fenomeni in cui emerge il primato dell’emotivo. E in nome di questa ricerca di spiritualità si vogliono vivere delle ‘esperienze’ – altra parola chiave di questa peculiare forma di relazione con il sacro – che siano il meno possibile mediate dalle istituzioni religiose a cui non si crede più. Questo vuol dire che molte persone vivono un senso di smarrimento a causa di una vita che non riesce più a essere significativa per loro e che viene puntellata da disagi, stati d’ansia sempre più diffusi. Per cui i soggetti cercano di rintracciare all’interno del proprio mondo vitale dei cosiddetti ‘cosmi significativi’ (per dirla con Max Weber), all’interno dei quali riuscire a sperimentare delle sensazioni che colmino il senso di vuoto della loro esistenza.

Ed ecco quindi che la realtà dell’esperienza sacra – come nel caso della spiritualità postmoderna – si popola di figure invisibili, come quelle che riguardano il mondo dei morti, per esempio, ma non solo. Il problema è che questi ‘cosmi’, proprio in quanto sacri e dunque potenti, risultano difficilissimi da gestire. A ogni modo – sociologicamente parlando – il solo fatto di prender parte a esperienze comunitarie come queste, caratterizzate da una forte carica emotiva, produce un’intensificazione del senso dell’esistenza, altrimenti percepita come vacua nella sua grigia ordinarietà. Ciò costituisce certamente un motivo di profonda fascinazione per gli individui postmoderni. Michel Maffesoli a tal proposito parla di dimensione ‘neotribale’, espressione che mi pare particolarmente efficace.

Nell’ambito di queste esperienze, che in letteratura sociologica sono definite ‘trasformative’, c’è sempre un’ambivalenza fortissima. Più in generale, nel momento in cui i soggetti vivono queste esperienze dal carattere fortemente emotivo (talvolta amplificato dall’uso di determinate droghe) essi affermano di riscontrare un radicale cambiamento nella percezione della loro esistenza: l’identità subisce un profondo mutamento. Quando parliamo della relazione col sacro tipica di queste forme di spiritualità facciamo riferimento a un’esperienza potente dai risvolti assai rilevanti e al contempo difficili da prevedere e da gestire (come tutto quanto attiene al rapporto col sacro, d’altra parte).

Nelle culture tradizionali è previsto l’uso legittimo di sostanze naturali con effetti sulla psiche molto forti: grazie a queste sostanze e a riti specifici gli individui sono introdotti nella comunità di riferimento, soprattutto in momenti specifici e significativi della propria traiettoria biografica. Detto questo, tuttavia, sconsiglio fortemente l’uso di droghe anche quando ci si affida a mani di guide ‘esperte’ o sedicenti ‘esperte. In definitiva bisogna arrivare preparati e accompagnati da persone fidate, in piccoli gruppi. Il mercimonio della spiritualità sacra è sempre più diffuso e sempre più pericoloso. Recuperiamo la coscienza per riempire il vuoto esistenziale di un’era scientista, senza bisogno di riti fatti di pericolose sostanze che non appartengono alla nostra tradizione.

 

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