Di Daniela Piesco Direttore Responsabile 

Il punto sul numero dei ‘Neet’ presenti in Italia è sato fatto in occasione della Giornata mondiale delle competenze dei giovani, celebrata ogni anno dalle Nazioni Unite il 15 luglio

L’Italia resta ai primi posti a livello europeo per il numero di Neet, ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono in formazione: sono il 16,1% nel 2023. Nonostante il dato sembri negativo se paragonato alla media Ue (11,2%), risulta fortemente in calo rispetto a quello riferito al 2020, anno della pandemia da Covid-19 (23,5 per cento).

La rilevazione OpenPolis e Impresa sociale Con i Bambini è stata formulata in occasione della giornata mondiale delle competenze dei giovani, celebrata ogni anno dalle Nazioni Unite il 15 luglio.

Facile,a questo punto,pensare al film di Giovanni Veronesi del 2017 “Non è un paese per giovani ” in cui si raccontava la storia di due ventenni che, non per rabbia ma per disillusione, decidevano di abbandonare l’Italia accompagnati dalla consapevolezza che proprio il loro paese , il luogo dove avrebbero voluto veder realizzati i propri sogni aveva invece calpestato speranze e ambizioni.

Ma se da un lato c’è il problema dei giovani italiani e della loro fuga all’estero in cerca di un lavoro dall’ altro ci sono i neet

La cosa che più colpisce è che i ragazzi che decidono di trasferirsi all’estero per mancanza di opportunità in Italia sono quelli di cui si ha maggiormente bisogno, perché con la loro decisione dimostrano coraggio, determinazione e voglia di mettersi in gioco. E queste sono le caratteristiche più preziose in un giovane.

Spesso lo sguardo esterno si ferma ad un’analisi superficiale e diviene semplice definirli sbandati o fannulloni.

Nessuno riesce o può vedere nel profondo il disagio dei giovani, anche se, dati alla mano, non possiamo far finta che non esista.

Pensiamo all’aumento dell’uso delle droghe e dell’alcol (oltre il 50% tra i 15 e i 24 anni fa uso di cocaina), o ai problemi sessuali che colpiscono il 70% dei giovani italiani; per non parlare dello stato di sofferenza spesso estrema che si vive all’interno delle famiglie, che traspare nel fatto che800.000 ragazzi in Italia soffrono di depressione .

Parliamo di persone che proprio nel passaggio decisivo verso l’autonomia della loro vita non hanno acquisito la maturità necessaria per saper ben amare e ben lavorare, e si trovano disorientati e in balia dei propri istinti o di qualsiasi evento.

Cosa c’è dietro tutto questo e come aiutare i giovani di oggi a trovare la strada per esprimere in pienezza tutte le meravigliose potenzialità della loro vita?

Non possiamo negare che le famiglie sono in forte difficoltà (oramai quasi il 50% di quelle italiane sono separate), che la scuola non riesce a incidere su una crescita che vada al di là dello sviluppo razionale dell’individuo, e che la cultura corrente che passa in gran parte attraverso i mass media rispecchia e perpetua il vuoto proprio della società italiana di oggi, definita dal Censis “poltiglia e mucillagine”

Eppure non sono i giovani ad essere in difetto, è una cultura come “vita”che manca.

Occorre stimolare la loro consapevolezza, la loro capacità di cercare il proprio posto nel mondo che cambia e di rafforzare competenze ed esperienze utili a raggiungere obiettivi professionali e di vita desiderati. Al di là del titolo di studio, come mostra la recente indagine di Unioncamere, sono proprio esperienze e competenze a fare la differenza.

Il futuro di un paese si può allora misurare dal numero di giovani che mettono in relazione positiva il binomio “imparare” e “fare”, all’interno di un processo che porta a migliorare continuamente non solo conoscenze e abilità tecniche ma alimenta anche la fiducia in sé stessi e il desiderio di capire e saperne di più per provare a fare ancora meglio.

Solo quando il coraggio dei giovani si affianca all’esperienza dei “vecchi”, una nazione può prosperare, soprattutto sotto il profilo economico. L’alternativa purtroppo vissuta è la loro fuga verso Paesi che offrono loro di più dell’Italia .

Un Paese che non investe sui giovani è un Paese senza futuro

La strada che bisogna necessariamente percorrere è quella di convincere le banche a sostenere maggiormente le aziende avviando progetti che possano definirsi reali.

Per essere “veri” tali progetti devono accompagnarsi ad un aumento di quantità e qualità del lavoro. Per essere “solidi” devono inserirsi nei percorsi più promettenti di sviluppo di questo secolo. Entrambi questi elementi convergono nel portare al centro il capitale umano delle nuove generazioni. Non è un caso che le economie avanzate che stanno crescendo di più siano quelle con più elevati livelli di formazione dei giovani e più bassa disoccupazione giovanile

L’Italia ad esempio è un Paese in cui si investe ancora poco in startup rispetto a Paesi anche confinanti, poiché la burocrazia rende difficile la vita di un’impresa e la conquista d’investitori esteri.

Occorre dunque una seria politica degli investimenti pubblici e privati che superi la logica dell’assistenzialismo e spenda i fondi che la Comunità Europea mette a disposizione.

Il Paese ha bisogno di un radicale cambiamento: la risposta non può che venire da governo e regioni

Politiche di sviluppo, formazione e inclusione attiva nel mercato del lavoro devono quindi essere parte di una stessa strategia. L’investimento dei giovani sulla propria formazione e sulla crescita personale, deve essere aiutato a diventare vincente in termini di ritorno occupazionale e remunerativo. Così come l’investimento pubblico sulle nuove generazioni deve diventare vincente per la collettività in termini di nuova ricchezza economica prodotta e nuovo benessere sociale generato.

L’opposto di un paese in cui più si studia e più aumenta la probabilità di andare all’estero e non tornare.

E allora cresce parallelamente il fenomeno dei neet

Basti pensare che in Italia l’incidenza dei giovani cosiddetti ‘neet’ è sempre stata più elevata rispetto agli altri Paesi Ue. Guardando all’ultimo decennio, i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che nel 2014 non studiavano, non lavoravano ed erano fuori da programmi di formazione erano il 26,3% del totale.

Nel 2019 si è passati al 22,3 per cento (a fronte di una media Ue del 12,8% ) raggiungendo il picco negli anni 2020-2021 (sopra il 23%) e arrivando all’attuale 16,1 per cento.

Un calo importante, ma che colloca ancora l’Italia ai vertici in Europa per incidenza del fenomeno: è seconda dietro alla Romania (19,3%) e precede nazioni come Grecia (15,9%), Cipro e Bulgaria (13,8), Lituania (13,5), Francia (12,3%), Spagna (12,2), Croazia (11,8%) e Slovacchia dove l’incidenza (11,2% ) è in linea con la media Ue. Agli ultimi posti per incidenza di neet i Paesi Bassi (4,8%), la Svezia (5,7) e Malta (7,5).

Il Sud è l’area del Paese dove anche i neet risultano in percentuale maggiore rispetto alla media Italia

Su 15 capoluoghi dove il fenomeno incide di più – Catania, Palermo, Napoli, Messina, Caltanissetta, Agrigento, Trapani, Siracusa, Frosinone, Enna, Crotone, Reggio Calabria, Taranto, Como e Cosenza -, 14 sono nel Mezzogiorno. Undici di queste città si trovano nelle province con le competenze più basse in italiano in terza media: infatti – risulta da una elaborazione Openpolis-Con i Bambini su dati Istat (censimento permanente) e Invalsi – nei test Invalsi dell’anno scolastico 2022-2023 è emerso come i territori con i punteggi medi più bassi nelle prove di italiano in terza media fossero le province di Crotone, Caltanissetta, Agrigento, Ragusa, Vibo Valentia, Palermo, Enna, Trapani, Siracusa, Prato, Reggio Calabria, Napoli, Catania, Sassari e Cosenza.
Per Openopolis e Con i bambini si tratta di “un problema da mettere a fuoco nelle sue possibili relazioni, non solo nelle città maggiori, ma anche nei tanti piccoli centri, del Mezzogiorno e non solo, colpiti da un fenomeno che limita le potenzialità di crescita dei giovani e dei territori stessi”.

L’emergenza neet, inoltre, va affrontata anche alla luce di una condizione giovanile che molti indicatori (dopo il Covid e non solo )descrivono come “critica”, tanto dal punto di vista socio-economico, con il peggioramento nell’incidenza della povertà minorile, quanto in termini educativi, con l’aumento di fenomeni come la dispersione implicita, soprattutto tra gli studenti svantaggiati.

Si pensi che l’incidenza di povertà assoluta tra i minori nel 2023 raggiungeva quota 14%: in base alle stime preliminari di Istat, risulta il valore più alto della serie storica dal 2014.

Come arginare questo problema?

Sviluppare meglio il sistema educativo e l’accesso al mercato del lavoro sono i primi passi da compiere per arrestare gradualmente il problema. Ascoltare i giovani e i loro disagi è assolutamente indispensabile per capire da dove ripartire.
È necessario che i NEET ritrovino la voglia di lavorare, studiare e di vivere appieno i contesti sociali che le nostre città offrono. Migliorare questa condizione che porta ad uno spreco del potenziale produttivo è difficile ma non impossibile.
Promuovere attività come tirocini e stage giustamente retribuiti potrebbe essere una delle manovre da intraprendere per uscire da questa fase di stallo. Il passaggio più problematico è senza dubbio quello dalla scuola al lavoro, ed è qui che bisogna intervenire per fornire una spinta adeguata verso il giusto impiego o verso il prosieguo degli studi.
Questi obiettivi dovrebbero diventare priorità dei governi per far sì che i giovani NEET abbiano la possibilità di mettere in gioco il loro potenziale e possano finalmente sentirsi a tutti gli effetti cittadini di questo paese .

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