Editoriale di Daniela Piesco Direttore Responsabile

Premesso che per Trump era molto meglio correre contro Biden che contro qualsiasi altro avversario immaginabile vista la sua incapacità di offrire performance convincenti, l’investitura data all’attuale vicepresidente Kamala Harris non determina automaticamente la sua candidatura ufficiale:la scelta spetta ancora alla Convention del partito, in programma dal 19 al 22 agosto a Chicago, in Illinois.

Dall’ altra parte,dopo la convention, Trump, si comporta come se fosse già presidente e come dargli torto dopo l’attentato fallito  una settimana fa e l’apoteosi della kermesse di Milwaukee nel Wisconsin.

Ma come tutti sappiamo Trump è il peggio nemico di se stesso e , alla fine, i suoi eccessi potrebbero impedirgli di vincere.

Va sottolineato però che Biden non è mai stato in grado di influenzare la politica aggressiva di Netanyahu, che incontrerà nelle prossime ore da presidente ormai uscente. Fra i due i rapporti sono stati sempre pessimi e molti prestano a Netanyahu il disegno di protrarre la guerra fino alle presidenziali statunitensi per restare in sella e giocare poi sul ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, suo sodale.

Ma anche nella crisi ucraina la sua posizione diventa più debole ora che rinuncia alla corsa.Invece Trump si è dato da  fare scambiando convenevoli a telefono con Zelensky e concordando d’incontrarsi di persona per discutere quali passi possano rendere la pace equa e veramente duratura senza però indicare, a noi che aspettiamo ansiosi, data e luogo dell’eventuale incontro.

A questo punto due domande. . .

Ma se il nuovo competitor per la Casa Bianca non dovesse essere Kamala Harris, quali sono le alternative a disposizione del partito democratico? I nomi circolati in queste settimane sono quelli del governatore della California Gavin Newsom o Gretchen Withmer del Michigan (quest’ultimo uno degli stati «in bilico»).

Ad ogni modo una volta scelto il candidato o la candidata, resterà un grosso problema: condurre una campagna elettorale in tre mesi per farsi conoscere dagli oltre 250 milioni di statunitensi che hanno diritto di voto e, soprattutto, riuscire a convincerli.

La ricorrente suggestione è invece quella di una discesa in campo di Michelle Obama, al momento,diciamolo,una possibilità più che remota.

Un interrogativo ulteriore riguarda l’uso dei fondi fin qui raccolti per la campagna presidenziale di Biden. I donatori hanno messo mano al portafogli pensando che l’uomo su cui puntare fosse il presidente uscente e non un outsider.

Per la verità, proprio molti finanziatori del partito democratico, nelle ultime settimane avevano espresso perplessità sulla riconferma di Biden al punto di congelare le loro erogazioni economiche..

Alla fine anche la ristretta cerchia di familiari e fedelissimi collaboratori ha abbassato le armi, preparando la resa di Biden.

A novembre sapremo come è andata a finire

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