“Conosco che tipo di persona è Donald Trump. Ne ho conosciuti quando facevo la procuratrice in California e ho messo sotto inchiesta truffatori e predatori sessuali”. Così Kamala Harris nel suo primo comizio da candidata in pectore a Milwaukee, Wisconsin, dipingendo in maniera sintetica il suo avversario, inquadrandolo anche nel suo ruolo di ex procuratrice dello Stato più importante con un PIL (Prodotto Interno Lordo) che rivaleggia quello delle nazioni più ricche al mondo.
La Harris non ha incluso il fatto che Trump è già stato condannato in due cause civili, una per aggressione sessuale e poi diffamazione, e l’altra per frode fiscale. Inoltre l’ex presidente è stato condannato in una causa penale la cui sentenza sarà pronunciata a New York nel mese di settembre. La pena potrebbe includere 4 anni di carcere oltre che ingenti multe.
In effetti, Trump, il candidato del Partito Repubblicano, è un condannato con una fedina penale che al momento non gli permetterebbe nemmeno di votare in alcuni Stati. In un’udienza a Washington di questi giorni il direttore dell’Fbi Christopher Wray, rispondendo alle domande del parlamentare democratico della California Adam Schiff, ha chiarito che un individuo con trentaquattro capi di imputazione non qualificherebbe per entrare nell’Fbi. Trump, però, se eletto qualifica per divenire presidente, e se eletto nominerebbe il direttore dell’Fbi e tantissime altre agenzie che richiedono una fedina penale pulita.
Per il Partito Repubblicano nominare un condannato come portabandiera rientra nell’ordine del giorno. Difatti il Gop (Grand Old Party) in grande misura non esiste più essendo divenuto il Partito di Trump. Ci si domanda quanto tempo dovrà passare finché si cambi il nome a quello del tycoon con lettere cubitali come fosse una sua proprietà.
Difatti il Partito Repubblicano è già proprietà quasi esclusiva dell’ex presidente cominciando dal fatto che il 30-35 percento degli elettori del GOP lo seguirebbe in tutto. Trump aveva già intuito questa fedeltà assoluta poco tempo dopo il suo annuncio della sua candidatura alla nomination del GOP. Poche settimane prima del caucus in Iowa nel 2016 il tycoon dichiarò che “potrebbe sparare qualcuno nel mezzo della Fifth Avenue e non avrebbe perso voti”. Aveva ragione, una buona parte del suo elettorato lo venera, lo seguirebbe in qualunque cosa, e gli perdonerebbe qualunque difetto o comportamento.
Trump usa questa fedeltà dei suoi seguaci per sottomettere politici del Partito Repubblicano, minacciandoli di incoraggiare avversari alle primarie. L’endorsement di Trump spesso significa la vittoria alle primarie dove non molti votano che poi si traduce in vittoria all’elezione. Avviene per quanto riguarda i seggi alla Camera. L’esempio più eclatante ce lo dimostra la situazione di Liz Cheney, figlia del già vice presidente Dick Cheney, nell’amministrazione di George W. Bush (2001-2009). Il nome Cheney corrisponde a “nobiltà” politica nello Stato del Wyoming e dovrebbe garantire successi elettorali. Nel 2022 però la carriera politica di Liz Cheney finì. La Cheney, dopo l’insurrezione incitata da Trump il 6 gennaio 2021, ebbe il coraggio di votare per l’impeachment di Trump e divenne paladina dell’anti-Trumpismo. Per vendicarsi l’ex presidente incoraggiò Harriet Hageman a sfidare la Cheney alle primarie sconfiggendola e poi vincendo l’elezione politica a novembre.
La capacità di influenzare e infatti determinare le primarie è potentissima poiché nella maggioranza dei seggi c’è una netta separazione fra distretti repubblicani e distretti democratici che la vittoria alle primarie del partito significa vittoria quasi garantita. Nel 2022 solo 30 dei 435 seggi alla Camera furono considerati in bilico. Dunque la stragrande maggioranza erano già garantiti al partito che vinceva le primarie. Questa paura di essere sfidati alle primarie costringe i parlamentari repubblicani a stare zitti e non dire nulla che potrebbe essere interpretato da Trump come uno “sgarro”.
La stessa paura di essere sfidati alle primarie avviene al Senato ma in maniera più leggera. Succede però che negli Stati in bilico vincere le primarie non garantisce vittoria all’elezione generale. Trump però ha il brutto vizio di scegliere male usando la fedeltà al capo ed ecco perché nell’elezione del 2022 i “suoi” prescelti in Pennsylvania, Georgia, e Arizona erano molto deboli, il che ha regalato la maggioranza della Camera Alta ai democratici. La paura della sfida alle primarie mantiene i repubblicani compatti seguendo la linea di Trump. Il caso più evidente è quello del senatore del Texas Ted Cruz. Trump lo riempì di insulti nella campagna elettorale del 2016, attaccando persino la moglie del senatore texano. Cruz ha incassato le umiliazioni ed è divenuto uno dei più grandi sostenitori di Trump.
In effetti, Trump è divenuto il “dittatore” del suo partito che amplierebbe anche al resto del Paese, secondo il programma del Progetto 2025, elaborato dalla Heritage Foundation. Una delle caratteristiche di questo piano consiste dello smantellamento dei dipendenti federali che verrebbero sostituiti da Trump con individui fedeli a lui invece di essere assunti secondo regole stabilite da decenni.
Trump ha già dato indicazioni che in un secondo mandato agirebbe senza freni mettendo a rischio il sistema democratico americano che dura da più di due secoli. Il pericolo di Trump ha spinto Joe Biden a ritirarsi passando la torcia alla Harris. La sue vice ha già creato entusiasmo e la sua nomination sembra già in tasca. Inoltre l’annuncio ha generato notevole entusiasmo come si è visto dai contributi storici ricevuti dagli elettori democratici. La Harris ha anche scombussolato la strategia di Trump le cui preoccupazioni sono visibili.
Il manuale dell’ex presidente è stato di attaccare ferocemente la sua rivale a novembre con i soliti insulti e falsità. La Cnn ha calcolato che Trump nel suo più recente comizio da quando la Harris ha iniziato a fare campagna politica per la presidenza l’ha attaccata con una decina di menzogne. Anche Tony Fabrizio, il sondaggista di Trump, ha indicato che la Harris avrà una luna di miele all’inizio. Infatti la luna di miele dovrebbe essere stata di Trump poiché dopo quattro giorni di televisione gratis della convention il candidato ottiene una spinta. In questo caso sembra che la Harris gliel’abbia rubata. Gli ultimissimi sondaggi danno indicazioni che Trump dovrebbe preoccuparsi poiché secondo il New York Times il suo vantaggio a livello nazionale è sceso da 6 a 1 punto. Un altro sondaggio avrebbe la Harris avanti di due punti. Ad aiutare la Harris sarebbero i contributi dei giovani, afro-americani, e ispanici ma non si sa l’effetto degli anziani che sostenevano Biden. Il vice di Trump, JD Vance si sta rivelando poco abile in campagna elettorale, aggiungendo altre ombre. Secondo alcune voci potrebbe essere sostituito dal sempre volubile Trump.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.