Di Apostolos Apostolou
Socrate illustra a Glaucone, secondo la Repubblica di Platone, l’alimentazione ideale per gli uomini della città, o come dice Socrate, per gli uomini del futuro. Ecco che cosa dice Socrate per l’alimentazione ideale. Olive, formaggio di capra, focacce di frumento e orzo, cipolle, legumi, pasticcini di fichi, bacche di mirto e ghiande arrosto, e sempre un poco di vino. Secondo Glaucone questi prodotti alimentari vengono mangiati dai poveri e domanda a Socrate: “E la carne?” E Socrate dirà, “per la carne avremo bisogno di molti maiali e di guardiani e poi, Glaucone, saremo costretti a ricorrere più spesso ai medici. Anche gli allevamenti richiederanno spazi nuovi, sottraendo terreno all’agricoltura.
E così la città sarà costretta a invadere i paesi vicini e a fare la guerra”. (Repubblica, Libro 2, capitolo 13 e 14).
Platone eredita da Pitagora una predilezione per l’alimentazione vegetariana. Secondo Pitagora “mai sacrificare animali agli Dei o ferire animali, ma promuovere in tutti i livelli una cultura di rispetto e protezione nei loro riguardi”. Anche secondo Platone nella Repubblica non era ammesso mangiar carne, i soldati erano esentati dal divieto, essendo per definizione gente rozza e violenta. Il filosofo Pitagora del VI sec. a.C, nella sua scuola di Crotone, predica che oltre a carne, pesce e derivati animali, Pitagora proibiva anche l’uso di legumi, funghi, aglio e tutti i cibi ricchi di proteine.
Così l’alimentazione vegetariana viene teorizzata dagli uomini di cultura. Anche qui possiamo vedere l’ «effetto Platone».
Nella Repubblica solo gli uomini senza cultura mangiano carne. Che cosa mangiava Socrate? Secondo Platone, Socrate mangiava pane di grano e torte di farina, formaggio di capra, fichi secchi, olive, bulbi, verdure.
Gli allievi di Pitagora aborrivano qualsiasi forma di uccisione e gli uccisori si astenevano dal mangiare “essere animale”, e non si accostavano né a macellai, né a cacciatori, per motivi igienici, come dice Nico Valerio, soprattutto per raggiungere quello stato di purezza e ascetismo che per gli Orfici è il massimo grado dell’iniziazione, perché l’uomo possa liberarsi dal carcere del corpo e riacquistare l’originaria condizione divina.
Anche il filosofo teologo, astrologo, Porfirio, allievo di Plotino, seguace della dottrina neoplatonica, scrisse un pamphlet contro i carnivori. L’alimentazione in Grecia antica si basava quindi su zuppe di cereali e di pane, accompagnate da olio d’oliva, ortaggi, vino e qualche pezzetto di formaggio di pecora o di capra.
Marco Casareto in “Come mangiavano gli antichi Greci”, aggiunge al menù pesci o crostacei. Un trattatello di G. J. Barthélemy del 1788 conferma la presenza, nei banchetti, di ostriche, selvaggina, uccelli, uova, pesci e crostacei, olive, uve di vari tipi e tutti i condimenti ancora oggi in uso: sale, pepe, olio, erbe, aceto, miele.
Marco Casareto scrive che “Per i Greci era dunque impossibile fare a meno del grano, dell’orzo o delle verdure“: sono queste peraltro le derrate alimentari che nelle città venivano anche accantonante per far fronte all’eventualità di un assedio. Si deve a un medico greco, Ippocrate, l’importanza del concetto di dieta e alimentazione all’interno della dottrina degli umori, nonché un’analisi completa dell’alimentazione dei suoi contemporanei. Nel trattato Della dieta nel Corpus hippocraticum, che comprende una settantina di scritti composti tra la metà del V sec. e la metà del IV a.C., il padre della medicina cita in prima battuta l’orzo e il pane d’orzo, assieme alle zuppe che avevano come base tale cereale, come la maza (farina d’orzo stemperata con acqua, olio, miele o latte) e il cyceon, la bevanda sacra del santuario di Eleusi, a base di farina d’orzo precotto con aggiunta d’acqua, di miele o di latte di mucca, capra, pecora, asina o giumenta e profumata con della menta. Seguono il grano e il pane di grano, cotto al forno, sotto la cenere o alla griglia, poi il farro e l’avena. Poi ancora le fave, gli altri legumi (piselli, ceci, lenticchie o vecce), i semi (miglio, lino, sesamo, cartamo, papavero).
Poste in tal modo le basi dell’alimentazione, Ippocrate parla dei contorni: carni (non mancando comunque di sottolineare quanto sia indigesta quella di bue), pesce, uova, formaggio e miele. Passa poi al vino, a suo avviso il migliore tra i beveraggi, mentre invece l’acqua non è raccomandabile: la si dovrebbe addizionare con un po’ d’aceto per renderla più “digeribile”. Si tratta comunque di diffidenza verso condizioni igieniche presumibilmente non impeccabili. Vengono poi gli ortaggi, fra cui al primo posto troviamo l’aglio e la cipolla, e per finire le piante aromatiche.
Anche i primi Cristiani per 300 anni non mangiarono carne. Nel 1700 i medici Inglesi sostengono il Vegetarianismo, per la salute dell’uomo. Anche la Francia stimola il Vegetarianismo, con Voltaire, che si batte contro la crudeltà sugli animali. Nel 1847 nasce a Ramsgate, in Inghilterra, la prima Società Vegetariana.
La tavola pitagorica esiste anche oggi, nell’Italia meridionale. Per esempio, a Salerno ci sono ancora oggi piatti tipici che provengono dall’alimentazione pitagorica: il pane dei pescatori, antico pane di lunga conservazione, prodotto a Sapri e adatto per le lunghe permanenze in mare; il pane di Morigerati, cioè pane cotto nei forni a legna e preparato con il “crisitu”, un antichissimo lievito naturale; fichi bianchi del Cilento; i marroni di Roccadaspide, che sono raccolti a Roccadaspide da oltre 1.000 anni; l’oliva Salella ammaccata del Cilento, cioè olive dell’alto Cilento battute sulla pianta con pietra di mare e messe in salamoia. Anche in Puglia e nel Salento abbiamo olio santo e filetti di peperoncini in vaso coperti di olio, orecchiette con salsa di noci, fave e cicorie, ecc.
L’Ottocento romantico riscopre la tavola di Pitagora con il poeta P.B.Shelley e la tavola di Pitagora è oggi ancora viva. Una grande parte dell’alimentazione dell’Italia meridionale è in grado di fornire l’alimentazione più completa ed energetica di Pitagora.
*Scrittore e professore di filosofia.