Di Raffaele Romano 

“La normalità è un attributo eccezionale piuttosto che regolare nella vita di ogni individuo” così esordì decenni fa un professore americano di psicologia per l’esame di “Psicologia 1”. Ammetto che quell’espressione non l’ho più dimenticata e mi ha molto aiutato a comprendere i limiti umani. La rappresentazione più precisa ed indovinata di chi fossero realmente gli italiani me la diede, però, Dino Risi quando, nel 1963, uscì il suo film “I Mostri”. Insieme a Mario Monicelli, Luigi Comencini ed Ettore Scola sono stati i massimi esponenti della “Commedia all’italiana” dove i molti vizi e le poche virtù furono rappresentate in modo egregio.

Il film curato in 20 episodi da Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman uscì nel periodo d’oro per gli italiani: il boom economico ed è l’esatta fotografia del falso mito degli “italiani brava gente” molto abusato e raramente attuato. Come ha scritto la giovane collega Isabella De Silvestro in perfetta simbiosi sociologica “sembrava ormai chiaro che il progresso e l’arricchimento sarebbero stati inarrestabili e alla portata di tutti, qualcuno abbia avuto l’acutezza di capire e dichiarare, che non solo i mostri erano in mezzo a noi, ma in molti casi eravamo proprio noi.” L’arte di Risi sta nella capacità di raccontare l’italica furbizia agli italiani stessi. La condanna è senza appello e qui mi permetterò, senza voler emulare il maestro Risi, di aggiornarla al XXI secolo.

Chi non ha per niente tenuto conto della valenza scientifica di quella espressione è l’Italia nel suo insieme. Infatti siamo pieni di assurdità elevate a sistema, partiamo dalla comunicazione: molti dicono che se non leggi i giornali non sei informato e se li leggi sei informato male visto il livello cui è scesa tutta la comunicazione stampata e parlata. Siamo sommersi da una montagna di “informazioni” o presunte tali. Lo scopo è solo quello di arrivare per primi su una “presunta notizia” la verità non conta nulla, infatti invece di raccontare la verita’ pensano ad arrivare per primi.

Far uscire la notizia, questo è il dogma, non interessa se puo’ danneggiare qualcuno perche’ lo scopo è vendere la notizia! Il giornalismo sensazionalista è oggi quasi totalmente praticato. Giustamente Turone “lo considerava il tristo espediente di sedicenti giornalisti senza altre risorse per rendersi utili alla società. Giornalismo adatto a certe politiche editoriali di basso profilo. Un paragiornalismo per sala d’attesa.”
“I tempi duri e difficili creano uomini forti, gli uomini forti creano tempi facili, ma i tempi facili creano uomini deboli e gli uomini deboli creano tempi molto difficili” ed è quello che abbiamo raggiunto nelle due ultime generazioni. Provate a suggerire ad un genitore di imporre per un periodo ad un loro figlio: “niente internet, niente cell, niente uscite, niente paghetta, niente motorino” la reazione sarebbe un forte “NOOOO!!!!! Come si fa!”.

Nel lontano Giappone affermano che “la vita è cadere 7 volte e rialzarsi 8” ma qui, invece, per molti basta essere lasciati dal fidanzato/a per trovarsi in depressione causa di molti “autoannientamenti” oppure nel caso opposto di “annientamenti altrui”. La sofferenza amorosa per essere stati lasciati è una grande esperienza in cui si incorre nel percorso della propria vita dalla quale sono nate grandi opere della letteratura e della pittura. Oggi lo fanno molte sedicenti case editrici che pubblicano qualsiasi libro/romanzo/poesia purchè l’autore paghi che, oltre ad indagini giornalistiche personali, è conclamato dai dati. Infatti Nel 2019, in Italia dati ISTAT, sono stati pubblicati in media 237 libri al giorno ben 86.475 i titoli pubblicati a stampa solo in quell’anno. Lascio ai lettori calcolare quanti libri ognuno di noi dovrebbe leggere.

Sono un’enormità, per cui la domanda sorge spontanea: ma allora quanti libri verranno davvero letti e, soprattutto, comprati?Le assurdità abbondano nel campo artistico italico. A tal proposito proporrò, con forti reazioni negative suppongo dei fans di costoro, e partirei da lontano ad esempio da Adriano Celentano che ammiravo da giovane e di cui conoscevo tutte le canzoni ma, poi, si mise a fare il capopopolo populista qualche decennio prima di Beppe Grillo e finì col “recitare” nel cinema.

Senza entrare nel merito della critica mi sono sempre chiesto come abbia potuto recitare lui, con quella forte cadenza milanese, in romanesco in film come “Er più”, “Serafino” e addirittura “Rugantino”. Senza dimenticare l’osceno e quasi oltraggioso napoletano in “L’Emigrante” fino ad arrivare al flop del cartone animato “Adrian” andato in onda su Canale 5. In tempi più recenti si potrebbe citare Enrico Brignano che sparla lasciando le prove sui social. Ha attaccato volgarmente il neomelodico napoletano Mario Forte definendo le sue performance “pattume “. Ma pochi mesi prima, marzo 2023, al Teatro Verdi di Brindisi si era lanciato in un attacco all’architettura del teatro brindisino, aveva addirittura attaccato la scala di collegamento tra il palcoscenico e la platea, fatta di legno non pregiato secondo lui come fosse Renzo Piano.

Brignano non risparmia neppure l’area archeologica preservata da opere di conservazione al di sotto del teatro, dallo stesso definita “pietre”. Anni prima L’Unità aveva definito la sua esibizione “neo sessista e veteromaschilista,” sostenendo poi che “una parte di noi—parlo dei maschi, naturalmente—continua a sognarsi come l’ha dipinto Brignano.” In conclusione mi bastano le poche ma efficaci parole di Aldo Grasso che sbriciolò letteralmente il mal riuscito allievo di Gigi Proietti: sul presunto spettacolo pagato coi soldi dei contribuenti “Brignano tutto casa e teatro!” trasmesso su Rai2 lo definì: “l’affettuoso mormorio del nulla”. Ultimamente, dopo 50 anni da Celentano e 25 da Grillo è passato, anche lui, all’attacco della politica tout court.

 

 

 

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