Rispetto ad un fenomeno criminale, la cosa più facile ma meno utile da fare è sputare veleno contro i colpevoli ed invocare pene severissime (“mettiamoli dentro e buttiamo la chiave”).
In realtà, soprattutto quando il fenomeno è molto diffuso, tanto da assumere carattere di emergenza sociale, assieme alla repressione, occorre cercare di capirne le ragioni, ed intervenire su di esse.
Se l’emarginazione, la ingiusta distribuzione della ricchezza e l’ assenza di modelli educativi, sono le cause principali dei ” reati predatori di strada” e dei reati legati alle tossicodipendenze, non vi è dubbio che la violenza di genere sia conseguenza di un cambiamento repentino del modello dei rapporti uomo/donna, che molti uomini non hanno fatto in tempo a digerire.
Basti pensare che, fino al 1975, il codice civile stabiliva che l’uomo è il capo della famiglia. 50 anni sono davvero pochi per un cambiamento così importante e radicale.Vi è la tendenza a replicare nella famiglia che andiamo a formare, il modello vissuto e sperimentato nella famiglia di origine.
Molti mariti pretendono, pertanto, di vivere il loro rapporto coniugale così come hanno visto fare ai propri genitori.
Non tutti hanno gli strumenti culturali per comprendere il veloce cambiamento che si è verificato e per adeguarsi ad esso. E per questo, di fronte alla giusta pretesa di libertà sentimentale della donna, al suo nuovo ruolo sociale anche in ambito lavorativo, si sentono defraudati, umiliati, sconcertati.
Questo significa che dobbiamo giustificare questi ” poveretti”? Oppure non punirli? Ovviamente no, ma occorre CAPIRE perché certi fenomeni si ripetono in maniera così diffusa per poter intervenire efficacemente sulle cause.Non basta aumentare le pene. Immaginate quanto spazio può avere, nella mente di un femminicida, la paura della pena: il suo pensiero è troppo preso da una congerie di sentimenti negativi che lui non riesce a gestire.
Occorre allora educare alla relazione, ma soprattutto alla utile gestione dei sentimenti negativi, come frustrazione, abbandono, sconfitta.Serve spiegare che una sconfitta non è la fine di tutto, non è definitiva ,ma solo una tappa di un cammino di crescita.Sarà la qualità della reazione che deciderà se da quella sconfitta potrà nascere un bene più grande o la fine di tutto.
Dare di matto è una forte tentazione; ma non è mai la soluzione.La partita vera si gioca quindi in famiglia, a scuola, sui media, nelle altre agenzie educative. Non solo e non tanto nelle aule di giustizia.