Di Daniele Piro 

“Uno sport feroce, che ti divora“. Lo ha scritto Niccoló Campriani nel suo libro “Ricordati di dimenticare la paura”.

All’improvviso, ogni quattro anni , ci accorgiamo che esistono numerosissimi sport sconosciuti alla maggior parte della platea televisiva che pero’ resta attratta dalla molteplicita’ di tali discipline delle quali non si conoscono ne’ gli interpreti , ne’ le regole. Fra queste sicuramente c’e’ una disciplina in cui vince chi è capace di usare i muscoli meno degli altri e che è solo per pochissimi competitors capaci di farsi statua e cancellare ogni manifestazione di qualsiasi emozione.

Non di cancellare le emozioni, ché sarebbe impossibile, ma annullare, quanto più possibile, il loro effetto.

Tirare al bersaglio è imparare a non farsi dominare dai pensieri. E si capisce che, visto così, è qualcosa di enorme, universale. Una scuola di vita, quasi.

Quel che vediamo sono sfingi. Automi che ripetono, in eterno, sempre lo stesso gesto. Il bersaglio è là, a 10 metri (o 25, o 50), è sempre grande uguale. Il centro, cioè il 10, a 10 metri è più piccolo di una moneta da un centesimo. La pistola (o la carabina) è sempre quella.
Sei tu che sei ogni volta diverso.

E quando devi tirare i 24 tiri più importanti della tua vita, in mondovisione, dopo che per anni hai sparato senza che nessuno ti avesse mai avuto nemmeno in nota, quando ti giochi una finale che vale una carriera, il cuore diventa una batteria, il pavimento sembra che si muova, la pistola sarà anche sempre quella ma sembra pesare un quintale. E tu niente, immobile. Non pensare, non muoversi, immergersi in un non-tempo, possibilmente in un non-luogo. Idealmente in un iperuranio in cui tutto è perfettamente in grado di ripetersi all’infinito

È filosofia. Spari e lo fai bene solo se hai imparato a conoscerti, ad accettarti.

Ecco, ieri mattina i migliori 8 al mondo nella pistola ad aria compressa sono arrivati a quei 24 tiri, a Chatouxroux, un posto in mezzo alla Francia, assurdamente scelto come sito olimpico a 290 km da Parigi e dal villaggio.
E di otto, due erano italiani.

Federico Maldini e Paolo Monna, carabinieri, 23 anni bolognese uno, 26 dalla provincia di Brindisi l’altro. In mezzo a due tedeschi, un serbo, un mongolo, un coreano, un cinese.

Sparavano e dopo 12 colpi è cominciato un hully-gully. Se prima eravamo in otto, ora siamo in sette a inseguire una medaglia. E poi sei, cinque, quattro. Fino alle medaglie.

E a due bandiere tricolori che salivano sui pennoni ai lati di quella cinese. Argento e bronzo.
Respirare, mirare, sparare, colpire.
Quattro verbi, quattro azioni che sono l’essenza di uno sport costretto a ritagliarsi uno spazio fugace di notorieta’ ogni quadriennio, ma caratterialmente e formativamente superiore a quelli piu’ blasonati e seguiti.

Scugnizzo69

 

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