Di Domenico Maceri 

Lei ha detto a quattro parlamentari afro-americane, cittadine americane, di ritornare ai loro Paesi di provenienza. Ha usato parole come “animale”, “rabbioso” per descrivere procuratori afro-americani. “Perché dovrebbero gli elettori afro-americani avere fiducia in lei?”

Queste parole consistono della prima domanda fatta da Rachel Scott, una delle tre giornaliste durante l’intervista di Donald Trump alla convention della National Association of Black Journalists (NABL). L’ex presidente fu colto di sorpresa ma la risposta riflette il suo modo di comunicare che poco a che fare con le domande ma ricade sempre sui suoi punti standard che ripete nei suoi comizi. Trump si è rivolto alla Scott protestando per il ritardo dell’intervista, accusando i giornalisti di non sapere usare le loro attrezzature tecniche, sentendosi offeso dal tono della domanda. Ha proseguito ad accusare la Scott di fake news perché lavora per la Abc.

Si è saputo dopo che il ritardo che tanto aveva offeso Trump era dovuto in realtà al fatto che il candidato repubblicano esitava a partecipare quando fu informato che sarebbe stato soggetto al fact-checking dalle tre giornaliste (Scott, Kadia Goda di Semafor, e Harris Faulkner della Fox). In effetti, Trump si aspettava una ripetizione della condotta dei moderatori durante il suo dibattito con Joe Biden il 27 giugno scorso a Atlanta, Georgia. In quel caso, i due conduttori della Cnn, Jake Tapper e Dana Bash, si sono limitati, seguendo gli accordi stabiliti, a fare le domande, astenendosi dal fact-checking. Trump ne emerse “vincitore” poiché riuscì a ripetere sinteticamente le asserzioni false dei suoi comizi. Il giorno dopo la Cnn fece il fact-checking e classificò 28 asserzioni false uscite dalla bocca di Trump. Biden diede l’impressione di non avere l’energia per contestarlo, in parte per il raffreddore che lo acciaccava, ma anche per la mancanza di convinzione nelle sue risposte.

La performance di Biden al dibattito confermò ciò che il New York Times aveva rilevato per mesi—Biden è troppo vecchio per un secondo mandato. Una tesi proposta in particolar modo dal loro giornalista Ezra Klein, che nel suo podcast per mesi promuoveva il ritiro di Biden auspicando una open convention, una convenzione aperta per scegliere il candidato. Il New York Times però non aveva fatto quasi nulla per sottolineare l’incandidabilità di Trump ma poi dopo molte critiche il consiglio editoriale ha pubblicato un pezzo mettendo in risalto le lacune morali, politiche e comportamentali di Trump e la sua inadeguatezza alla presidenza degli Usa.

L’incontro di Trump con le tre giornaliste afro-americane ha sbilanciato l’ex presidente che non ama affatto quando qualcuno lo contraddice. Difatti, c’era molto da contraddire e due delle tre giornaliste non gli hanno dato respiro. Sulla questione dell’aborto Trump ha ripetuto la balla che i democratici vogliono usare la procedura persino dopo la nascita del bambino. Kadia Goba, cronista del sito di notizie Semafor, lo ha corretto immediatamente, dicendo che i democratici non hanno mai sostenuto l’accusa di Trump. Quando Trump ha dichiarato di amare gli afro-americani e di essere stato il loro miglior presidente la Scott ha controbattuto immediatamente domandando “meglio di Lyndon Johnson e la legge sui diritti civili?”. Sulla questione degli assalitori al Campidoglio il 6 gennaio Trump ha insistito che concederebbe loro la grazia. Dopo le insistenti repliche delle giornaliste Trump ha detto che concederebbe la grazia “agli innocenti” senza capire che la grazia va concessa ai condannati.

Trump non ha mai avuto buoni rapporti con gli afroamericani ma i sondaggi lo davano in ascesa in comparazione a Biden. Con il ritiro della candidatura dell’attuale presidente e l’entrata in campo della Harris le cose sono cambiate. Trump ha deciso di giocare la carta dell’intervista con i giornalisti afro-americani per ribaltare la situazione. Gli è andata male poiché due delle giornaliste non gli hanno permesso di dire quello che vuole senza essere contrastato. Trump fa spesso lo spavaldo e quando entra in un’aula vuole dominare la situazione con la sua presenza. Le giornaliste però con le loro assertive domande lo hanno messo al tappeto. Lui non se ne sarà accorto ma i dirigenti della sua campagna lo hanno capito. Ecco perché hanno contattato gli organizzatori e l’intervista è stata conclusa inaspettatamente in trenta minuti invece dell’ora prestabilita.

Da quando è entrato in politica nel 2016 Trump ha rivoluzionato il modus operandi delle campagne elettorali. L’ex presidente ha basato la sua metodologia sugli insulti verbali, il disdegno per i suoi avversari, visti come acerrimi nemici, usando le menzogne come propaganda elettorale. I media hanno fatto poco per contrastare questa condotta che in realtà consiste di un sistematico assalto alla verità. La debolezza nel contrastare questo tipo di campagna elettorale ha legittimato i comportamenti di Trump. Il fatto che lui attacchi a raffica chiunque vede come avversario politico non fa più notizia. Le giornaliste della NABJ hanno dato una lezione di come si contrasta un bugiardo seriale.

Commentando l’intervista di Trump concessa alla NABJ, Kamala Harris, la candidata democratica in pectore, ha dichiarato che si tratta del tipico “vecchio spettacolo” colmo di “divisione e mancanza di rispetto”. La Harris ha continuato asserendo che “Il popolo americano merita un leader che dice la verità, un leader che non reagisce con toni ostili e rabbia quando viene confrontato dai fatti”. Difficile darle torto.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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