Di Paola Francesca Moretti 

L’omicidio si è consumato a Roma. Gelosia ossessiva e incapacità ad accettare la fine della relazione sarebbero le ragioni che hanno armato la mano di D. O. contro la moglie, A. M., 72enne.Secondo le prime indiscrezioni investigative pare che l’uomo fosse ossessionato dalla compagna, sulla quale esercitava uno smisurato controllo fino a installare un GPS sull’auto per sapere sempre dove trovarla. In base ai primi risultati investigativi sembrerebbe che non fosse l’unico dispositivo di controllo di cui D. O si è servito per sorvegliare la moglie.

Per le mie riflessioni su questo raccapricciante delitto parto da tre domande: “Nonostante si parli tanto e ovunque di femminicidio, come mai il numero di donne uccise aumenta?”
“Gli uomini che uccidono la donna amata si possono far rientrare nello speciale elenco dei pazzi?”“Quando il proprio compagno mette in atto comportamenti ossessivi di controllo e gelosia bisogna preoccuarsi?”Le risposte non hanno pretesa di esaustività su un argomento tanto complesso quanto delicato sono solo il risultato delle mie personali constatazioni su un evento agghiacciante di cronaca nera.

In riferimento alla prima domanda. Di femminicidio si legge e si parla ovunque, sui giornali, nei salotti televisivi, in trasmissioni create ad hoc condotte da giornalisti coadiuvati da esperti psicologi e criminologi. Eppure non vi è giorno che una donna non sia costretta a subire violenze fisiche, psicologiche e nel peggiore dei casi si ritrova in una bara. Difficile per alcune tipologie di uomini accettare un NO. Ogni persona in grado di gestire le frustrazioni sa che il rifiuto di una donna – può anche essere di un uomo, non è in discussione il genere e l’età bensì il comportamento malvagio – va accolto e rispettato. Nei casi di delitti con movente passionale la parte razionale dell’agente cede dinanzi alla volontà di uccidere. Le conseguenze dell’orribile gesto commesso non lo sfiorano minimamente. Per l’omicida il lungo soggiorno nelle patrie galere è un effetto secondario, giacché, lo scopo primario è stato raggiunto, ovvero, sentirsi compiaciuto di aver eliminato per sempre chi ha osato respingerlo.

Per la persona che uccide, spesso, il legale rappresentante richiede la perizia psichiatrica per accertare la sua capacità di intendere e volere al momento del crimine. E, qui, entro nella risposta alla seconda domanda: “Chi uccide la persona che dice di amare è da ritenersi pazzo?” La parola pazzo viene largamente usata e spesso abusata nel linguaggio comune, invece, in psichiatria per indicare un soggetto incapace di eseguire un’esatta analisi della realtà circostante oppure chi è in preda a deliri si usa la parola psicotico. Sta di fatto che il soggetto che compie un femminicidio quasi mai è pazzo perché decide deliberatamente di cancellare dalla faccia della terra la donna. Nella maggior parte dei casi le indagini investigative ci rivelano che l’assassino ha pianificato l’omicidio addirittura mesi prima di commetterlo. In altre parole, chi uccide una persona non è quasi mai dissennato, bensì, manifesta attraverso il comportamento malevolo l’umiliazione che deriva dall’essere stato rifiutato e la mancanza di rispetto nei confronti della vita umana.

Ed eccomi arrivata alla riflessione sulla terza domanda, se il partner manifesta condotte di gelosia e controllo eccessivi, a mio avviso, è meglio darsela a gambe levate. Mica è da ritenersi normale il comportamento del partner che controlla il cellulare, pedina la propria compagna, o come nel caso specifico installa sull’auto un GPS per sapere dove trovarla. Sono da ritenersi insane pure le scenate di gelosia. Si tratta di segnali che non vanno sottovalutati ma attenzionati. E, quando, i comportamenti mutano in ossessione e violenza, allontanarsi e denunciare è tra le decisioni migliori, meglio salvarsi la vita oggi che per il domani si vedrà. Infatti, accade che queste donne non sono economicamente indipendenti e hanno dei figli, quindi, denunciare e abbandonare il tetto coniugale per loro, sovente, è un’incognita peggiore di quella che sono costrette a vivere nel quotidiano, sempre che riescano a viverlo.

 

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