L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco
Parafrasando il grande poeta Paul Valéry, guardando ai massacri delle guerre in corso vicino e lontano da noi, la sua frase spiega tutto: “La guerra è un posto dove i giovani che non si conoscono e non si odiano, si uccidono, in base alle decisioni prese da vecchi che si conoscono e si odiano, ma non si uccidono”.
Oggi tutto sembra giocarsi, sulla logica suicida del colpire per primi. Un atteggiamento che, al contrario, rafforza proprio dittatori e autocrati che hanno assoluto bisogno di guerra per conservare il proprio dominio.
Siamo dentro a un corto circuito, in un vicolo senza uscita. Ma è proprio quando la voglia di distruggere sembra prevalere e non lasciare scampo che l’uomo, è capace di grandi cose.
E così esistono giovani che rifiutano l’arruolamento nell’esercito israeliano perché non vogliono partecipare al genocidio.
Una bolla di giovani e giovanissimi ebrei israeliani che stanno provando, controcorrente e faticosamente, a costruire una realtà immune all’identitarismo e al nazionalismo bellico imperante.
Questa settimana, infatti,tre obiettori di coscienza di 18 anni si sono presentati al centro di reclutamento dell’esercito israeliano di Tel Hashomer, vicino a Tel Aviv, e hanno espresso il loro rifiuto di arruolarsi nel servizio militare obbligatorio in segno di protesta contro l’occupazione e l’attuale guerra a Gaza. Yuval Moav, Oryan Mueller e Itamar Greenberg sono stati processati e condannati a una pena iniziale di 30 giorni di prigione militare, che probabilmente sarà prolungata.
Gli unici altri refuseniks che si sono opposti pubblicamente alla leva per motivi politici dal 7 ottobre – Tal Mitnick, Ben Arad e Sophia Orr – sono stati recentemente rilasciati dopo aver scontato pene detentive rispettivamente di 185, 95 e 85 giorni.
I tre ultimi refuseniks – che sono seguiti da Mesarvot [parola ebraica che significa “noi rifiutiamo”], una rete di giovani obiettori di coscienza israeliani – hanno rilasciato dichiarazioni prima di comparire davanti al tribunale militare. Greenberg, che è cresciuto nella città ultra-ortodossa di Bnei Brak, ha detto che all’inizio vedeva l’arruolamento come un modo per integrarsi meglio nella società israeliana, salvo poi rendersi conto che “la strada per entrare nella società israeliana passa attraverso l’oppressione e l’uccisione di un altro popolo”. Ha poi aggiunto: “Una società giusta non può essere costruita sulle armi”.
Moav ha rivolto la sua dichiarazione ai palestinesi. “Con questo mio semplice gesto, voglio essere solidale con voi”, ha detto. “Riconosco anche di non rappresentare l’opinione della maggioranza della mia società. Ma con la mia azione spero che la voce di quelli di noi che aspettano il giorno in cui potremo costruire un futuro comune [e] una società basata sulla pace e sull’uguaglianza, e non sull’occupazione e sull’apartheid, venga ascoltata”.
Lunedì mattina, mentre Moav riceveva la sentenza, alcune decine di persone sono venute a sostenere i refuseniks in una manifestazione davanti al centro di reclutamento. Nelle vicinanze, centinaia di ebrei ultra-ortodossi hanno manifestato animatamente nel primo giorno del loro obbligo di leva dopo la storica sentenza dell’Alta Corte del mese scorso, che ha annullato un’esenzione militare vecchia di decenni.
Giovani ragazzi che non credono in questo conflitto, non credono nel ruolo dell’Idf perché sono consapevoli che nessuno trae profitto da questa guerra, tranne gli estremisti di entrambi i fronti, credendo invece che il destino del popolo palestinese e di quello israeliano sia intrecciato. Se il primo non sarà libero, allora neanche il secondo lo sarà
Stanno offrendo un servizio a Israele, perché cercano di fermare una politica di vendetta, una sete di sangue che alla fine tornerà a colpire anche la popolazione israeliana.
Hanno capito prima degli adulti che l’odio non è così potente come la volontà della gente di stare in pace .