Di Daniele Piro 

Tenacia, grinta, determinazione, voglia, ma soprattutto sacrificio spesso affiancato all’anonimato. E’ il riassunto di quello che hanno rappresentato questi giochi Olimpici per i circa 11.000 atleti giunti a Parigi.Sport sconosciuti o poco seguiti alla maggior parte dei telespettatori collegati in mondovisione, eppure sono convinto che in qualsiasi parte del globo terrestre tutti siano rimasti incollati alle tv per vedere una sfida di badminton, di tiro al piattello o delle varie discipline velistiche. Sport cosiddetti “minori” per chi li guarda, che conoscono il loro momento di rivalsa e di notorietà ogni 4 anni, consapevoli che nonostante una medaglia conquistata finiranno subito nel dimenticatoio, non appena l’eco mediatico dell’Olimpiade si sarà spento. Difficilmente fra qualche giorno ci ricorderemo che Simone Alessio ha vinto un bronzo nel taekwondo, Giorgio Malan è arrivato terzo nel pentatlon moderno o Antonio Pizzolato è salito sul gradino più basso del podio nel sollevamento pesi.

Nonostante il gradino più alto del podio sono straconvinto che non ricorderemo nemmeno il nome dl duo Tita – Banti nella vela o quello di Bacosi e Rossetti nello skeet o di Marta Maggetti nel windsurf.Nomi che finiranno purtroppo presto nel dimenticatoio e dei quali si ricomincerà a sentir parlare, per chi continuerà fra almeno un triennio quando inizierà la marcia di avvicinamento a Los Angeles.
Atleti che hanno sottratto ore, giorni alla loro quotidianità, si sono imposti ritmi a volte massacranti pur di arrivare ad esserci, fa niente se saliranno su un podio o meno, fa niente neanche se una volta riuscito ad ottenerlo, saranno comunque presto dimenticati.

Come meteore, solo che alcune di loro non lasciano nemmeno la scia. Spesso autofinanziati o che comunque di certo poco remunerati, parecchi hanno nei corpi sportivi dell’Arma (Finanza, Polizia, Carabinieri) la loro ancora di salvezza, altri hanno lavori “normali” e spesso ringraziano la benevolenza dei loro superiori nell’ avere permessi, ferie per allenarsi o partecipare a competizioni nazionali ed internazionali. Sacrificio ed adattamento senza gloria, senza sfarzi e senza lusso. Il nostro sport nazional popolare, ovvero il calcio, dovrebbe trarre esempio dalle gesta di costoro che sono a tutti gli effetti dei superuomini o delle wonder woman, piuttosto che crogiolarsi nei loro stipendi plurimilionari, capaci anche di rifiutare contratti a sei zeri, viziatelli e completamente distaccati dalla realtà. Ottenessero almeno dei buoni risultati. Nemmeno quelli. Una intera generazione di ragazzini (per intenderci tutti quelli che nel 2026 avranno una quindicina di anni sempre ammesso che ci qualificheremo) che non ha ancora provato l’emozione di veder partecipare la nostra Nazionale ad un mondiale; inoltre non vinciamo una Champions dal 2010 con l’Inter, e negli ultimi Europei in Germania se rimanevamo a casa nessuno si sarebbe strappato i capelli, visto il gioco (?) espresso.

Forse Spalletti, ma in generale i vertici del calcio italiano, dovrebbero avere l’umiltà di andare a casa (per casa intendo le rispettive Federazioni) di questi atleti per capire o meglio carpire ogni segreto possibile per risollevare un movimento che nonostante navighi nell’oro sia diventato completamente fallimentare in termini di risultati e prestazioni; o forse, parere di chi scrive, dovrebbero proprio andarsene a casa e togliere il disturbo. Sarebbe ancora meglio.

Scugnizzo69

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