“Il cinema è una fabbrica di sogni che a volte risveglia”
Charlie Chaplin
Venezia sta stendendo ovunque un unico immenso red carpet e in laguna le acque mormorano nuove incanti ai muri secolari. Le calli ed i campi si rimbalzano voci e bisbiglii sui sogni che presto si vedranno al Lido. Lo scorso anno tutto è stato sottotono ora, per questa edizione 81 del Festival di Cinema più antico del mondo, serve un ininterrotto scintillio. L’evento si terrà dal 28 agosto al 7 settembre. Le serate di apertura e chiusura saranno condotte da Sveva Alviti, attrice italiana che si è distinta per il ruolo di Dalida nel biopic a lei dedicato, che le è valso un César nel 2018. A presiedere la giuria, ci sarà l’icona del cinema francese, Isabelle Huppert, indimenticabile nelle sue interpretazioni de La Pianista e di Elle.
Come sempre, la Mostra di Venezia è garanzia di una programmazione e di anteprime di qualità. Tra i titoli Joker 2: Folie à Deux, il sequel musicale di Joker, interpretato da Joaquin Phoenix e Lady Gaga. E ancora Maria, il biopic dedicato alla leggendaria soprano, con Angelina Jolie, diretto da Pablo Larrain. Altri film nel programma sono Queer, l’ultima fatica di Luca Guadagnino, ispirata alla vita di William Burroughs e interpretata da Daniel Craig nei panni del poeta della beat generation, travolto dalla dipendenza dall’eroina. E ancora Eden, il thriller di Ron Howard con Jude Law, Ana de Armas e Sidney Sweeney e Modì, che segna il ritorno di Johnny Depp alla regia, dedicato al pittore maledetto, interpretato da Riccardo Scamarcio e con la presenza di Al Pacino. Si tratta del secondo lavoro di regista di Depp, a più di 25 anni dal suo film del 1997, ampiamente criticato e sbeffeggiato dalla stampa e dal pubblico, The Brave, in cui recitava accanto a Marlon Brando. Quello che è certo è che, dopo l’apertura a Cannes nel 2023 con Jeanne du Barry di Maïwenn, l’attore stia cercando di riavviare la sua carriera e la sua reputazione dopo il controverso processo per diffamazione contro l’ex moglie Amber Heard. Alla lista si aggiunge anche In the hand of Dante, il giallo diretto da Julian Schnabel, con Al Pacino, Gal Gadot e Martin Scorsese.
L’edizione 2024 del Festival di Venezia vedrà anche il ritorno di Pedro Almodovar a 3 anni dal precedente Madres paralelas, presentato anch’esso al Lido, laddove nel 2019 l’autore, tra i più celebri di Spagna, è stato insignito del Leone d’oro alla carriera. Il regista classe 1949 quest’anno porta in concorso The Room Next Door, suo primissimo film in lingua inglese, che racconta del difficile rapporto tra Martha, interpretata da Tilda Swinton, e sua madre e dell’intervento della comune amica Ingrid, interpretata invece da Julianne Moore. Il cast vanta anche la presenza di John Turturro.
Il film di apertura sarà Beetlejuice, sequel dopo 36 anni dell’omonimo film di Tim Burton, che conta sulla presenza di un cast stellare: da Winona Ryder, a Michael Keaton, presenti nel primo film, a Jenna Ortega, Monica Bellucci, Justin Theroux e Willem Defoe. È stato annunciato inoltre, che i Leoni alla carriera saranno consegnati al regista australiano Peter Weir e all’attrice statunitense Sigourney Weaver. Il tributo sarà dovuto all’autore di opere insuperabili come Picnic a Hanging Rock, l’Attimo fuggente e The Truman Show. Weaver è divenuta celebre per la sua partecipazione alla serie cinematografica Alien, Una donna in carriera e Gorilla nella nebbia.
La preapertura del Festival sarà affidata alla versione restaurata in 4k de L’Oro di Napoli del 1954, presentato in occasione dei 50 anni dalla morte di Vittorio De Sica e della celebrazione dei 70 anni del film. Sono inoltre trascorsi cento anni dalla fondazione della Columbia Pictures: per questo verranno proposti Il grande caldo di Fritz Lang e La signora del venerdì di Howard Hawks. Saranno celebrati anche i 35 anni della presentazione de Il Mahabharata di Peter Brooks, con la versione restaurata della trasposizione cinematografica dell’omonimo poema epico indiano. Tra le proposte italiane ci saranno le edizioni restaurate di Ecce Bombo, il primo film di Nanni Moretti portato alla Mostra e di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto di Lina Wertmuller.
Tornando al concorso i film italiani in lizza, oltre a quello di Guadagnino, sono: Vermiglio di Maura Delpero, un film ambientato in un paesino sulle Dolomiti negli anni che precedono la fine della Seconda Guerra Mondiale nterpretato da pochi attori professionisti e molti non professionisti e Iddu di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza (quelli dello stupendo Salvo), ispirato alla vicenda di Matteo Messina Denaro. Molta attesa poi per Campo di Battaglia di Gianni Amelio. tre anni dopo Il signore delle formiche.
Ancora più curiosità per la regista Giulia Louise Steigerwalt, che presenterà Diva Futura, che racconta l’agenzia di casting e produzione di film pornografici “Diva Futura” fondata nel 1983 dal “re dell’hard” Riccardo Schicchi (qui interpretato da Pietro Castellitto) e Ilona Staller. Siamo negli anni Ottanta e Novanta e a lui spetta il compito di lanciare alla ribalta un gruppo di “dive” della porta accanto: Eva Henger, Ilona Staller e Moana Pozzi, che entrano nelle case degli italiani con i canali delle tv private e delle videocassette. L’avventura imprenditoriale viene raccontata, nel film, attraverso lo sguardo della giovane segretaria dell’Agenzia Diva Futura (interpretata da Barbara Ronchi), un crescendo incontrollabile, un impatto mediatico mondiale, implicazioni imprevedibili, come la candidatura e l’elezione in parlamento di “Cicciolina”. “Vedrete lo sguardo di Giulia sul mondo della pornografia, che è del tutto esente da remore moralistiche e pregiudizi ideologici – spiega il direttore della Mostra – ed è l’aspetto più interessante del film, senza ovviamente occultare gli aspetti più truci di quel mondo”.
Come sempre la Mostra si fa palcoscenico e amplificatore delle tendenze del cinema mondiale. Lo fa anche con un il ritorno di un grande assente degli ultimi anni, il sesso, l’erotismo con le implicazioni sentimentali, sociali, antropologiche, raccontate da una prospettiva altra rispetto a quella dell’immaginario dominante del passato.Conferma il direttore Alberto Barbera: “Uno dei temi che attraversano questa edizione è quello della sessualità in tutte le sue forme, etero, omosex, fluida, sadomaso, adolescenziale. Un vero e proprio il ritorno all’erotismo dopo anni di perbenismo che lo aveva bandito. Io lo vedo come un segnale positivo di apertura, la caduta di forme di censura e autocensura che in qualche modo limitavano gli autori”.
Tanti i titoli, Babygirl con Nicole Kidman, manager che rischia tutto per la relazione segreta con un giovane assistente, Love del norvegese Dag Johan Haugerud sui comportamenti sessuali deviati, la serie Disclaimer di Alfonso Cuaròn. Allucinazioni, memoria, fantasie che prendono corpo in modo vivido e senza censure. Uno dei motivi – le scene di sesso, tante, esplicite – che avrebbero reso il film inadatto a essere l’apertura della Mostra, come lo scorso anno avrebbe dovuto essere Challengers. Di sicuro il ruolo della vita per Daniel Craig, che dismette i panni di Bond e i panni in generale, protagonista di molte scene di nudo.
L’illustratore e autore italiano Lorenzo Mattotti firma per il settimo anno l’immagine del manifesto ufficiale, che raffigura un Elefante in Laguna. “Sicuramente è un’immagine inconsueta, inaspettata, ma che ci porta indietro con la memoria, quando, molti anni fa, un elefante era arrivato a Venezia e si aggirava per le strette calli veneziane durante un famoso Carnevale della Biennale, quello del 1981 – spiega Mattotti -. Questo Elefante ora attraversa la Laguna e percorre le vie della Fantasia, del Mistero e della Magia che si scopre nel Cinema. È lui stesso Memoria e anche Storia del Cinema: una festa, una parata, uno spettacolo”.
Infine il film di chiusura del Festival, fuori concorso, è “L’orto Americano” di Pupi Avati, che spero sia meno deludente di Dante e La quattordicesima domenica del tempo ordinario, pensati, lenti e risaputi. Fatta eccezione per un comparto registico di tutto rispetto, il Dante di Pupi Avati mostra crepe enormi nella sceneggiatura che, spesso e volentieri, vengono colmate da dialoghi pedissequi. Proprio come Andrew Dominik e il suo Blonde, anche Pupi Avati casca nella trappola e inciampa nella sua stessa sceneggiatura. Per un uomo dell’importanza di Dante tanto si è detto e molto si può ancora dire; ma Avati dice poco o niente. I flashback in cui compare il poeta sono goffamente connessi a quelli del viaggio di Boccaccio, il legame fin troppo stretto con la storia, la voglia di mostrare l’umanità insita a un letterato immortale, non sono altro che momenti effimeri e sconnessi. Per quanto riguarda l’ultimo suo film, una storia di fantasmi, tra i sogni del passato e i fallimenti del presente, un Pupi Avati cupo e dolente. Tutti defunti tranne i morti, verrebbe da dire di fronte a La quattordicesima domenica del tempo ordinario, ricordando quel tempo (straordinario) in cui era autore corsaro e insolente, più irregolare e spudorato rispetto al venerato maestro che è diventato negli anni. Il tempo scorre e fa male, lo dice lui stesso, senza nascondersi dietro uno sterile ottimismo, e lo fa sin dai titoli di testa che passano in rassegna le foto in bianco e nero della Bologna di ieri, con ragazze in bicicletta sotto le Torri, signore stupite dai nuovi apparecchi televisivi, bambini che mangiano gelati.
“Le cose belle son volate via” ripete la canzone firmata da Avati con Sergio Cammariere che fa da leitmotiv al film (la sentiamo troppe volte? Forse sì) e le ragazze, alla fine, sono arrivate. Anzi, una: “la più bella ragazza di Bologna”, altro moloch dell’autore, che su questa figura mitologica ha costruito un’epica di uomini sconfitti e inadeguati di fronte all’incanto di un’apparizione a tratti divina. Quando guardo gli ultimi film di Avati penso a Li He, poeta tra i più alti d’epoca Tang, eppure sussurrato a fior di labbra, preso come una lebbra, marginalizzato rispetto ad altri, più solari lirici, un Mallarmé cinese, pieno di fantasmi e rimpianti.
Forse tutto questo mi riguarda così tanto che non mi piace, anzi mi da decisamente fastidio. Ma il cinema è anche questo. Mi viene in mente una frase di Hermann Hesse: “Non devi desiderare una dottrina perfetta, bensì il perfezionamento di te stesso”. Al contrario della ricerca di una dottrina perfetta, Hermann Hesse ci invita a concentrarci sul perfezionamento di noi stessi. Ma questo processo implica una crescita nella gioia e non nella melanconia e nel rimpianto. Per Hermann Hesse, la crescita personale è un processo dinamico, che richiede una profonda consapevolezza di sé stessi e una volontà di confrontarsi con i propri limiti e difetti. Non si tratta di aspirare a un ideale irraggiungibile, ma di lavorare costantemente per migliorare le proprie qualità, sviluppare nuove competenze, e affinare il proprio carattere.
E i grandi registi come i grandi uomini questo fanno, non precipItano nel baratro del fallimento e dell’irrisolto. Per questo da ciò che ho visto e letto amerò Parthenope di Paolo Sorrentino, Parthenope che nasce tra le onde, nel mare di Posillipo, e attraversa primavere danzanti di abiti leggeri e notti incantate di balli lenti, che conosce la seduzione e i tradimenti e si immerge, uscendone intatta, nella luce di albe magnifiche e nelle ombre di strade malfamate, è misteriosa e libera come la città mondo di cui si fa metafora. E, nello stesso tempo, incarna a passo leggero una riflessione sul tempo che passa e trasforma il vitalismo sfrenato della giovinezza in uno sguardo maturo e consapevole sul senso del limite. «Nel cuore del racconto non c’è nostalgia, malinconia, né rimpianto, ma il passaggio dell’età» ha detto il regista che ogni volta evolve con il suo cinema dalla vita come è stata immaginata, a quella vissuta, a quella da vivere ancora.
Il potere della giovinezza, le trasgressioni e il senso del sacro, l’ironia e la malinconia, la seduzione e il dolore: c’è tutto questo e molto di più nel film che ha riportato il regista nella sua città e alle sue radici a due anni da «È stata la mano di Dio». La luce abbacinante di Posillipo, la luna caprese, gli abbracci dell’amore, i volti del dolore, la gioventù sfrontata di Celeste Dalla Porta, la nostalgia struggente di Stefania Sandrelli: «Abbandonati all’estate perfetta siamo stati bellissimi e infelici». E la voce di Cocciante, «era già tutto previsto» e poi il racconto che dice che nulla è previsto e che tutto possiamo cambiare. Per questo ho amato Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, feroce ritratto dei mostri che ruotano attorno al mondo meraviglioso del cinema, mondo in cui pero’ ci possono essere anche angeli puri e capaci di volare.
Buon cinema a tutti!
Carlo Di Stanislao
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