Sotto la lente mediatica vi è l’invivibilità all’interno delle carceri nostrane fra rivolte, sovraffollamento e suicidi. Tema caldo e alla base di accese polemiche tra fazioni politiche opposte, a mo’ di scarica barile a chi è riuscito a migliorare o a peggiorare una situazione che si trascina da anni, tanto che è difficile risalire a quando tutto è cominciato. E chissà come mai, tra fine dialettica e sottile oratoria, al centro del dibattito finisce sempre con l’imporsi il narcisismo partitico che eclissa, in toto, quello che sarebbe dovuto essere l’argomento principale.
In questo articolo mi soffermo a riflettere sulla pagina nera dei suicidi che avvengono dietro le mura delle patrie galere.
Dall’inizio dell’anno i detenuti che si sono tolti la vita sono oltre 60.
Epiloghi tragici, inaspettati e inimmaginabili, il sovraffollamento delle prigioni sembrerebbe essere uno dei fattori che aumenta il rischio di suicidio.
Senza apologie bisogna avere il coraggio di ammettere le difficoltà del presente sistema penitenziario a far fronte alle criticità.
Attendiamo l’evolversi delle idee messe in campo dal ministro Carlo Nordio, realisticamente potrebbe funzionare la sua già bollata teoria “svuota carceri”? Non è che per caso tra i beni confiscati ai malavitosi e agli innumerevoli corrotti ci sarebbe qualche edificio da adibire a gattabuia? Sembra più fattibile. L’obiettivo primario, a mio avviso, è quello di evitare celle-pollaio garantendo una detenzione umana e per la durata di tutta la pena, non fosse altro per il rispetto dovuto alla persona che ha subito il torto da parte del reo.
Suicidi in carcere
“In carcere non si va da nessuna parte. Non si cammina: si fa del moto, un moto senza luogo, un moto perpetuo e astratto, una ginnastica per il giorno in cui si ricomincerà a camminare, liberi di andare in un posto o in un altro, o di star fermi”. Adriano Sofri
La dichiarazione di Sofri mi fa riflettere su quali potrebbero essere alcuni fattori predisponenti al suicidio e/o ad atti autolesionistici da parte dei carcerati: inattività prolungata nel tempo, logorante attesa per l’esito della sentenza, un numero troppo elevato di detenuti in un luogo circoscritto, promiscuità, assenza di privacy, disposizione di un regime detentivo che tende a limitare maggiormente la movibilità giornaliera, tedio, relazioni inadeguate e occasionali con il personale di riferimento, insufficiente supporto psicologico. Sicuramente vi sono altre variabili che concorrono ad aumentare il rischio di suicidio in carcere e chissà se saranno mai oggetto di programmi concreti anziché di chiacchiere da propaganda pre- elettorale.