L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

“Lasciatemi andare “, ha chiesto Martina Oppelli ,affetta da sclerosi multipla progressiva, che ha visto nuovamente respinta la sua richiesta di assistenza per il suicidio assistito “siamo soffio di vento”.

Dopo aver visto nuovamente respinta la sua richiesta di assistenza per il suicidio assistito, Martina Oppelli ha presentato un esposto alla procura di Trieste per rifiuto di atti d’ufficio e tortura nei confronti dei medici dell’azienda sanitaria friulana.

I rifiuti dell’azienda sanitaria, integrano reati non solo contro la pubblica amministrazione e il suo buon andamento ma soprattutto contro la libertà morale e fisica di Martina, costretta a subire e tollerare un trattamento contrario al suo senso di dignità il cui rispetto è stato espressamente sancito dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale. Per questi motivi ha deciso di denunciare i vertici e i medici dell’ASUGI anche per il reato di tortura.

La tortura è un reato che sanziona il ‘furto di umanità’ che lo Stato, tramite i propri organi, pone in essere nei confronti di chi si trovi in una situazione di minorata difesa.

Le condizioni di Martina sono sensibilmente peggiorate negli ultimi mesi: i dinieghi e gli ostruzionismi dell’azienda sanitaria tendono a ostacolare in tutti i modi la volontà di Martina Oppelli, con il rischio che le condizioni di Martina peggiorano a tal punto da condannare Martina a sopportare sofferenze intollerabili attraverso un trattamento inumano e degradante per la sua dignità.

E dunque anche per Martina così come fu per Sibilla Barbieri di cui scrissi qualche tempo fa (chi mi segue sa che è una mia battaglia personale quella a favore del suicidio assistito)
si prospetta la costrizione di andare per forza in Svizzera dopo che in Italia nega la possibilità della morte assistita.

Tutto ciò è la conseguenza dell’assenza di una legislazione sul fine vita, determinata dall’ostinazione dei governi occidentali a mantenere un controllo sulle nostre vite, mentre la stragrande maggioranza della popolazione reclama il riconoscimento di un diritto a morire dignitosamente.

Un riconoscimento che, del resto, non implicherebbe una perdita di valore della vita umana, poiché alcuna esistenza può essere, generalmente ed astrattamente, qualificata come «una vita non degna di essere vissuta»

E a questo punto è lecito domandarsi: quando si perde la dignità?

La vita biologica viene spesso rimpiazzata da una vita artificiale, che sospende il corso naturale dell’esistenza, permettendone il prolungamento là dove, invece, in natura, sarebbe sopravvenuta la morte.

Pertanto, malgrado sia vero che i trattamenti vitali salvaguardino la vita della persona, può al contempo affermarsi che questa vita artificiale rispetti l’essenza della persona umana, la sua dignità e la sua stessa esistenza?

Se essere degni significa essere liberi, il fatto di imporre alla persona una vita che non sente come propria minaccia la sua dignità.

Se l’autodeterminazione esiste, come può qualcun altro al di fuori di noi imporre la propria volontà, decidendo la nostra sorte, ivi compreso il prolungamento delle nostre agonie e delle nostre sofferenze?

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