Di Domenico Maceri 

Quando il Messico ci manda la sua gente non mandano i loro migliori elementi…. ci mandano gente con molti problemi… portano droga, portano crimini e sono stupratori e alcuni, immagino siano anche brava gente”. Con queste parole Donald Trump iniziò la sua prima campagna presidenziale nel 2015. La sua linea non è cambiata ma i suoi attacchi recenti ai migranti includono tanti altri Paesi oltre al Messico. Secondo il tycoon i migranti arrivano tutti da “insane asylums” (manicomi). Non si sa perché Trump usi “asylum” aggiungendovi “insane”. Alcuni hanno ipotizzato che lui non capisca la parla “asylum”, asilo politico richiesto dai nuovi arrivati e lo abbia colorato in maniera da renderlo peggiorativo.

La retorica sui migranti è cambiata poco per Trump che lui ha usato per ottenere consensi alle urne. Difatti, le sue asserzioni costanti “sull’invasione” dal confine sud del Paese funzionano e hanno spinto Joe Biden e Kamala Harris a spostarsi a destra. In ciò sono stati influenzati dai sondaggi che vedono l’immigrazione come uno dei tre temi più importanti (economia 38%, aborto 16%, immigrazione 11%). Altri sondaggi ci confermano che la retorica di Trump sul caos al confine col Messico sta funzionando. Il 61% degli americani crede che gli Usa non abbiano controllo sulle frontiere mentre solo il 28% crede il contrario.

Trump sarebbe avanti nei sondaggi come capace di risolvere i problemi al confine col Messico (Trump 53%, Harris 45%). In sintesi le aspre vedute sull’immigrazione del candidato repubblicano sarebbero preferite a una linea più moderata della candidata democratica. E le misure proposte da Trump sono veramente aspre. Includono la più grande deportazione di massa degli 11 milioni di residenti senza autorizzazione di residenza legale. Il candidato repubblicano ha sparato grosso ma la sua proposta sarebbe inclusa in dettaglio nel Progetto 2025 secondo cui la Guardia Nazionale verrebbe militarizzata con ampi poteri di individuare coloro senza diritto di essere nel Paese, conducendo raid in scuole, ospedali, chiese e cantieri. L’implementazione potrebbe essere difficile da realizzare, però, poiché i datori di lavoro si ribellerebbero, com’è avvenuto nei campi di agricoltura. Nel 1998, per esempio, agenti della Immigration and Naturalization Service (INS), le autorità di immigrazione, visitarono senza preavviso dei campi di cipolle in Georgia, causando una ribellione da parte dei datori di lavoro. Dopo l’intervento di un parlamentare repubblicano che protestò asserendo “l’evidente mancato rispetto” per gli agricoltori i raid vennero sospesi. Non si poteva accettare che le cipolle marcissero. Dopotutto il business è business.

Kamala Harris ha riconosciuto che l’immigrazione rappresenta un punto debole ma lei è riuscita a colpire Trump facendo notare giustamente che lui non si interessa a risolvere i problemi del Paese, dando priorità ai suoi interessi personali. Nel mese di febbraio di quest’anno, infatti, il Senato americano approvò una legge che avrebbe dovuto fare piacere a Trump poiché era stata sponsorizzata da senatori ultra conservatori anche se sostenuta da voti democratici. La legge avrebbe ampliato il numero delle detenzioni al confine se i numeri aumentassero, stanziato fondi per ingrandire il numero di agenti alla frontiera e investire su apparecchiature tecnologiche per catturare i trafficanti di droga. Trump però silurò la legge, minacciando i parlamentari repubblicani. Mike Johnson, speaker della Camera, non sottomise la legge al voto. La Harris ha detto nel suo discorso alla Convention Democratica che lei da presidente riproporrebbe la legge e eventualmente la firmerebbe.

In tutte le discussioni sull’immigrazione Trump ha sottolineato gli aspetti negativi. Ciononostante quando si discute la situazione degli undici milioni di immigrati senza diritto di residenza legale un altro quadro emerge. Il 59 percento degli americani concederebbe a questi individui il diritto di rimanere negli Usa. Questa cifra include anche il 32 percento di sostenitori di Trump. Inoltre un altro sondaggio indica che il 68 percento degli americani favorisce la cooperazione di legislatori repubblicani e democratici per regolarizzare lo status dei “dreamers”. Questi “sognatori” sono giovani portati da bambini in America dai loro genitori senza permessi legali. Sono infatti visti come americani a tutti gli effetti poiché gli Usa è l’unico Paese che veramente conoscono. Sembra strano che né i repubblicani né i democratici abbiano già approvato una legge che regolarizzi la loro situazione considerando il fatto che avrebbe l’approvazione della stragrande maggioranza degli americani. E i genitori e gli altri familiari di questi “dreamers”? Dopotutto non vivono da soli e hanno famiglie. Separarli dai parenti, deportando alcuni, e lasciando altri nel Paese sarebbe crudele. La famiglie sono importanti, almeno è quello che si sente dire dai due partiti.

Non tanto da Trump, però. Come si sa, la madre di Trump era nata in Scozia e quindi anche lui ha radici in altri Paesi. Da aggiungere che la sua prima moglie Ivana e la terza Melania sono nate in altri Paesi, la prima in Cecoslovacchia e la seconda in Slovenia. A differenza di Trump, però, la Harris non tace sulle origini dei suoi genitori. Come si sa, il padre nacque in Giamaica e la madre in India. I due si conobbero a Berkeley, in California, e lei ha parlato a lungo di loro, specialmente della madre, la quale si è incaricata da sola della sua crescita dopo il divorzio dei genitori.

Questi aspetti famigliari vengono messi in secondo piano e allo stesso tempo quasi nulla viene menzionato in campagna elettorale sui contributi degli immigrati alla storia del Paese. Trump, in particolar modo, si concentra sugli aspetti negativi che gli interessano per segnare gol politici, mantenendo la situazione nelle notizie, senza nessun tentativo di risolverla. La tematica dell’immigrazione irrisolta fa piacere a Trump e lui non ha nessuna intenzione di perdere una delle carte vincenti. Nella campagna elettorale del 2016 Trump promise che una volta eletto presidente avrebbe costruito il muro al confine col Messico. Sarebbe stato un “grande muro” e non sarebbe costato molto. Promise anche che il Messico avrebbe pagato le spese. Difatti una delle sue promesse non mantenute. Meglio continuare a tenere l’immigrazione senza soluzioni e convincere gli elettori poco informati, la cui memoria è troppo breve, che lui risolverà i loro problemi. Difatti, cercherà di risolvere i propri problemi, non quelli degli americani.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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