Artigiani. La definizione del vocabolario li descrive come piccole aziende con pochi operai, io credo che la definizione dovrebbe essere più ampia.
Li ho conosciuti come piccole aziende quando iniziai a lavorare in una  ditta artigianale di confezioni, a quei tempi ce n’erano molte.Sarte, calzolai, parrucchiere/i, riparatori di biciclette e motorini, prima, gli artigiani erano quelli, persone che lavoravano per lo più in ambienti familiari, piccole stanze con gli attrezzi del mestiere.

Dalla sarta si andava per riparazioni e per farsi confezionare abiti su misura, così era per i calzolai, le cose non erano usa e getta ma si facevano aggiustare e si buttavano solo quando erano veramente consumate.

Quando ero bambina, la mia vicina di casa era una sarta.Era bravissima, aveva frequentato una scuola di alta sartoria a Milano ma non aveva molta voglia di lavorare, viveva con la madre inferma che prendeva una misera pensione, niente assistenza, nessun aiuto, cuciva per sopravvivere e, come lei, ce n’erano tante.Accadeva, quindi, che le ragazzine venivano mandate dalle madri a  imparare a cucire da una sarta, cosa che allora era indispensabile, le ragazze da marito dovevano saper fare rattoppi e attaccare bottoni.

Naturalmente non venivano pagate, la cosa importante era imparare e per la sarta erano un aiuto, il lavoro di sartoria è lungo e richiede tempo e pazienza, una sarta senza aiuto, difficilmente si poteva mantenere.Così era anche per i calzolai e per i riparatori di biciclette, garzoni venivano chiamati i ragazzi che lavoravano per imparare un mestiere ed era importante per chi non aveva la possibilità o la voglia di continuare gli studi e così venivano tramandati i lavori artigianali.
Era sfruttamento di lavoro giovanile come si dice oggi?

La verità è che si imparava sul campo cose che nessuna scuola può insegnare perché nessuno nasce maestro. I ragazzi devono imparare a poco per volta, iniziando dalle mansioni facili e così nascevano e crescevano le figure professionali.Ora ci sono le scuole professionali e i ragazzi vengono mandati a fare gli stage, partendo dal presupposto che, avendo frequentato la scuola, si sappiano muovere in un luogo di lavoro, con le conseguenze che, purtroppo, abbiamo visto più di una volta.Mio padre era garzone di un panettiere e lì rimase una volta imparato il lavoro.Pure io andai da una sarta per imparare a cucire, mi piaceva tantissimo e mi fu utile quando, finite le scuole dell’obbligo non volli continuare gli studi ed iniziai a lavorare in una piccola ditta di confezioni.

Naturalmente, le ditte artigianali lavoravano per quelle più grandi ma favorivano l’ indotto: altre piccole aziende che producevano materiale per la lavorazione.Così il lavoro “girava” e potevi trovare una occupazione senza fatica.

Cosa è cambiato?
La distribuzione dei prodotti.
Prima c’erano solo i piccoli commercianti, poi, iniziarono ad aprire i “grandi magazzini” dove potevi trovare la merce a prezzo più basso e, naturalmente, le ordinazioni di manufatti aumentarono perché l’assortimento in questi negozi era più vasto.Si doveva produrre sempre di più ma si guadagnava sulla quantità e non sulla qualità, quindi, il prodotto veniva pagato a prezzo minimo perché, la grande distribuzione, aveva prezzi inferiori rispetto ai negozi.
Così i clienti, per risparmiare, facevano gli acquisti nei grandi magazzini e di conseguenza, i piccoli commercianti con prezzi più alti e sempre meno clienti, non potevano sopravvivere.
La produzione, però, era un motore trainante, moltissime piccole aziende producevano grandi quantità di manufatti per le grandi imprese, grandi aziende  hanno fatto una fortuna grazie a loro e anche grazie a lavoratori a domicilio non precisamente in regola.
Dove abitavo io in ogni garage e cantina, intere famiglie producevano tomaie per le scarpe, e chi aveva la macchina da cucire, poteva fare anche lavori più complessi e meglio retribuiti, non solo nel settore calzaturiero ma anche nell’assemblamento di abiti, ma quello si chiama “lavoro sommerso” ed è un’altra cosa.
Poi arrivarono i cinesi e le piccole ditte diminuirono il personale tenendo solo la preparazione e il finissaggio perché il grosso del lavoro veniva fatto da loro, hanno una produttività incredibile e a bassissimo costo, enorme concorrenza per le suddette piccole aziende, tanto da conquistare una larga fetta di monopolio della produzione.L’artigianato è un bene prezioso, è stato quello che ha costruito l’economia dello stato,  la grande distribuzione lo sta affossando sempre di più, se aggiungiamo la delocalizzazione delle grandi aziende e il moltiplicarsi di punti vendita con prodotti che non escono certo da imprese locali, possiamo avere una panoramica della situazione in cui si trovano le attività artigianali.
Sono nata e cresciuta al nord Italia e questo è stato quello che ho avuto modo di vedere, anche se credo che in questo settore, siamo un po’ tutti sulla stessa precaria bagnarola.
Ora vivo in Sardegna ed ho visto che, ormai, riesce a sopravvivere solo l’artigianato artistico anche se diventa sempre più difficile.
Personalmente, ho fatto la sarta ed ho avuto molta difficoltà a trovare il materiale per svolgere il lavoro, dalle stoffe agli articoli di merceria, del resto, sempre meno artigiani, sempre meno richiesta di materiali e di conseguenza, sempre meno fornitori non solo per una ma per tutte le categorie.

Ciò di cui sono assolutamente convinta è che stiamo perdendo un bene inestimabile che andrebbe sostenuto perché rappresenta la nostra identità, luogo per luogo, tradizione per tradizione, siamo un paese unico con una infinita varietà di culture, in nome di chi o di cosa dobbiamo perdere tutta la nostra bellezza?

Certo, il mondo è cambiato e si fa sempre più affidamento sulla tecnologia, ma non so se ne vale veramente la pena.

pH: Letizia Ceroni , calore di un tempo lontano (olio si tela 50×60) primo premio alla biennale di Assemini 

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