di Roberto Fronzuti*

Le riflessioni sul senso della vita accompagnano tutti noi, dall’inizio al termine del nostro percorso terreno. Nel corso degli ingressi ai cimiteri per far visita ai defunti, abbiamo constatato in più occasioni, come sia difficile per una famiglia occuparsi del “dopo di noi”.
Fra i particolari che colpiscono girando fra i loculi di un camposanto, sono i bigliettini affissi sulle tombe, per avvertire i familiari di prendere contatti con gli uffici comunali. Le famiglie, a volte si dimenticano della scadenza dei termini della concessione del loculo o del pagamento della luce per la lampada votiva.

Può capitare che ci si dimentichi di pagare, ma ci sono anche tombe abbandonate; si tratta di defunti che non hanno più parenti che se ne occupino.
Se si guardano le cose da osservatori attenti, ci si rende conto che almeno una su tre delle lampade votive collocate sui loculi sono spente; è il caso delle famiglie che non se ne prendono più cura e il comune toglie la corrente elettrica. La prima considerazione che viene spontanea è se non sia ridicola questa “tassa” sulle lampade votive. Con tutti i soldi che spendono e spandono i comuni in iniziative non prioritarie, almeno questo servizio le municipalità potrebbero darlo gratis. Ma questa è solo una delle speculazioni che lo Stato, attraverso i comuni, fa sulle famiglie delle persone defunte.

Si paga, anche per essere sepolti sottoterra, nel cosiddetto campo comune; poi bisogna pensare allo scadere dei 15 anni per la riesumazione. È dire che c’è tanta terra su questo pianeta, dove poter dare delle sepolture cosiddette perpetue (per sempre). Nelle chiese antiche, anche al centro dell’abitato, si costruivano gli ipogei (le tombe sottoterra). A Castellabate, da 500 anni è attiva una confraternita che dà ai propri aderenti la sepoltura perpetua nella chiesa al centro del cimitero.

Riesce difficile comprendere perché la vita di una persona debba essere interessata da questi problemi. Lo Stato dovrebbe garantire la sepoltura senza onere alcuno per le famiglie, a tutti i cittadini, eliminando le speculazioni dei comuni e dei privati, sui defunti. Un capitolo a parte meriterebbe la storia di quelli che Roberto Saviano nel suo libro chiama “gli arcimorti”; le salme abbandonate, che non hanno più familiari. Vengono affidate da alcuni Municipi a imprese private che li sotterrano in una fossa comune, fuori dai cimiteri.

Abbiamo conoscenza diretta di persone che hanno vissuto malissimo il fine vita di familiari, pensando al fatto che non avevano i soldi per il funerale. È infinito il numero di anziani che vivono di stenti gli ultimi anni della propria vita per risparmiare i soldi per l’esequie. I soliti benpensanti diranno che siamo dei sognatori, ma senza il sogno di un mondo migliore che liberi le famiglie da questi problemi sarebbe veramente triste pensare al futuro.

Noi vogliamo pensare a un mondo dove il cittadino possa nascere vivere, e morire libero da assurde preoccupazioni.
Le tombe abbandonate nel campo comune del cimitero, le lampade votive spente, la mancanza di fiori, gli avvisi di morosità affissi sui loculi, mettono in evidenza come la povertà metta in risalto la differenza fra i vari ceti.
C’è una frase nella poesia a “Livella” di Antonio de Curtis, in arte Totò, che racconta di un incontro – scontro al cimitero, fra il nobile e lo spazzino che veniva discriminato dal marchese di Belluno. Totò era un attore di successo, ma anche un grande letterato. Riferendosi a Gennaro il netturbino, scrive Antonio de Curtis: “questo poveretto si aspettava che anche all’altro mondo sarebbe stato pezzente?”. La poesia è scritta in napoletano; abbiamo voluto tradurre la frase per renderla comprensibile.

Questo è il cuore del problema; rendere più semplice la vita dei cittadini, eliminando tutte le assurdità che accompagno e complicano la nostra esistenza. I politici che amministrano uno Stato come il nostro che ha 3mila miliardi di debito pubblico, dovrebbero pensare di cancellare tutte le speculazioni che si fanno sui morti.

 

*Direttore dell’ Eco di Milano e Provincia e editorialista per l’ Eco del Sannio 

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