Di Sergio Pezza

Viviamo in un mondo globalizzato, in cui le distanze, che prima apparivano insormontabili, si sono rapidamente ridotte e dove la diffusione delle notizie consente di sapere in tempo reale cosa accade in ogni parte del globo.

Ma questa condizione non ha ridotto le diseguaglianze; le diversità di tenore di vita tra i popoli del mondo è rimasta invariata, forse è anche aumentata.

Una minoranza della popolazione mondiale gode di una ricchezza e di uno stile di vita che la maggioranza vede come un miraggio;
chi vive in condizioni deteriori conosce e desidera la qualità della vita di chi sta meglio.

È allora inevitabile che masse sempre più numerose di persone cercano di spostarsi nelle zone più ricche.

Si spostano per sfuggire a guerre o condizioni climatiche proibitive, ma anche per cercare una vita migliore: è umano, lo abbiamo fatto anche noi italiani nei secoli scorsi.

Pensare di controllare questo fenomeno epocale chiudendoci nel nostro benessere per non essere disturbati, magari minacciando qualche mese di carcere per il clandestino, significa non aver compreso la portata della vicenda umana che accade sotto i nostri occhi.

Le motivazioni che spingono questi esseri umani sono talmente forti, che essi non esitano a mettere a repentaglio la loro stessa vita, pur di trovare condizioni migliori; figuriamoci che efficacia dissuasiva possono avere leggi come la Bossi- Fini.

Quando le esigenze di sopravvivenza sono cosi impellenti, le regolette autodifensive prodotte dalle nazioni ricche (nel tentativo di non avere fastidi) non servono praticamente a nulla.

Si scontrano contro leggi di natura molto più efficaci di quelle poste dagli Stati a difesa delle frontiere.

Per queste ragioni l’ immigrazione, anche clandestina, dai paesi del sud del mondo è un fenomeno che non si può bloccare per legge e col quale occorre misurarsi nel tentativo almeno di governarlo.

Occorre allora decidere che linea adottare: se restringere la possibilità di accesso alla cittadinanza, in modo da tener un gran numero di immigrati in clandestinità, oppure ampliare i criteri per ottenerla ed integrarne il maggior numero possibile.

Quale che sia la nostra politica non bloccheremo di certo il fenomeno migratorio.

Mi pare che tenere una rilevante quantità di persone in condizioni di clandestinità significa farne mano d’ opera per la criminalità: chi non si vede riconosciuto alcun diritto,chi resta un fantasma per le Istituzioni, deve comunque sopravvivere e si arrangera’ come può.

D’ altro canto questi clandestini diventano facile preda di persone senza scrupoli che li sfruttano senza alcuna pietà o possibilità di reazione da parte loro (ricordate la assurda vicenda di Satnam? il bracciante indiano lasciato morire a Latina?).

Allora -come spesso capita- la soluzione moralmente corretta è anche la più conveniente.

Accogliere ed integrare risulta essere più conveniente per il sistema paese perché soddisfa meglio non solo le esigenze di ordine pubblico, ma anche quelle di carattere demografico.

Infatti il ricco Occidente ha una crescita demografica quasi pari a zero, o comunque nettamente inferiore a quella dei paesi del terzo mondo, tanto che si teme per la tenuta del sistema di Welfare a causa dell’ invecchiamento della popolazione.

In questo senso l’ immigrazione, lungi dal produrre solo criticità, potrebbe essere una valida soluzione per il futuro.

Per avere una idea di come possa risultare armoniosa l’ integrazione di questi immigrati, provate a cercare sul web “Piccoli comuni del wellcome” oppure SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) Petruro Irpino, SPRAR Chianche, SAI (Sistema Accoglienza ed Integrazione) Sassinoro.

Potrete constatare come queste persone abbiamo donato nuova linfa a piccole comunità destinate ad estinguersi.

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