L’ editoriale del Direttore Daniela Piesco 

La pubblicazione sulla Gazzetta delle nuove norme è l’ufficializzazione di un più lungo processo di reislamizzazione della società che per i Talebani è necessario, dopo la corruzione morale favorita dal passato regime e dagli stranieri. Segnala l’accresciuto potere della guida suprema, Haibatullah Akhundzada, dei clerici a cui è affidata l’interpretazione del diritto islamico nella peculiare versione dei Talebani, della componente ultra-ortodossa di religiosi del ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del vizio, a cui è assegnato il compito di “purificare la società”.

La purificazione passa innanzitutto per il tentativo di controllare le donne, il loro corpo, i loro comportamenti. Ma proprio dalle donne afghane, dentro e fuori il Paese, arrivano le proteste più significative contro quella che il relatore speciale Onu Richard Bennett ha definito “un’architettura dell’oppressione”.

L’ambizione più grande è vivere

Tra le nuove misure, approvate dal leader supremo Hibatullah Akhundzada, molte riguardano soprattutto le donne, che in pubblico devono sempre velare completamente il loro corpo, compreso il viso, per evitare di indurre gli uomini in tentazione e vizio. Anche le loro voci sono considerate potenziali strumenti di corruzione e quindi le nuove restrizioni stabiliscono che non sarà loro consentito parlare in pubblico.

La voce di una donna secondo la norma è considerata privata, quindi non dovrebbe essere ascoltata da persone che non fanno parte della famiglia mentre canta, recita o legge ad alta voce. “Ogni volta che una donna adulta esce di casa per necessità, è obbligata a nascondere la voce, il volto e il corpo”, affermano le nuove leggi. È poi vietato per le donne guardare uomini a cui non sono legate da parentela di sangue o matrimonio, e lo stesso vale per gli uomini.

Un’apartheid di genere?

Nei tre anni trascorsi dalla presa del potere, seguita al disastroso ritiro della forza internazionale guidata dagli Stati Uniti, i talebani hanno imposto quello che i gruppi per i diritti umani hanno definito una “apartheid di genere”, escludendo donne e ragazze da quasi ogni aspetto della vita pubblica e negando loro l’accesso all’istruzione, alle cure mediche e al sistema giudiziario. Prima delle nuove leggi alle donne e alle ragazze era già vietato frequentare la scuola secondaria; era loro impedito di accedere a quasi ogni forma di impiego retribuito; proibito camminare nei parchi pubblici, frequentare palestre o saloni di bellezza ed era chiesto di rispettare un rigido codice di abbigliamento.

All’inizio dell’anno i Talebani hanno annunciato anche la reintroduzione della fustigazione pubblica e della lapidazione per le adultere. Dopo aver smantellato il ministero per gli Affari femminili appena dopo la presa di Kabul, i Talebani hanno ripristinato il ministero per la Virtù e il vizio, a cui è stato attribuito il ruolo di custode della moralità e della reislamizzazione della società.

Indifferenza e normalizzazione?

Da un punto di vista legale questo documento non solo contraddice i principi fondamentali dell’Islam dove la promozione della virtù non è mai stata definita attraverso la forza, la coercizione o la tirannia ma viola le leggi interne e contravviene tutti i 30 articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. Tra gli attivisti la condanna è unanime:
Il governo talebano non ha alcun tipo di legittimità e questi nuovi editti progettati per cancellare e reprimere ulteriormente le donne sono un’indicazione del loro odio verso l’universo femminile .

C’è sicuramente da criticare l’implicita complicità della comunità internazionale, che sta lentamente normalizzando i rapporti con il governo talebano.

Quello che sta accadendo è spaventoso, eppure il mondo intero si comporta come se fosse normale. Ci sono state pochissime reazioni o commenti alla normativa e i talebani sono incoraggiati da questa indifferenza.

Fra l’Afghanistan e l’Italia ci sono quasi 5 mila chilometri: abbastanza per pensarci domani

Ma la verità è che per loro un domani non c’è: le donne afghane sono piaghe che dovrebbero incancrenirci il cuore.Signore e signori, il nostro silenzio è colpevole: è il caso di riconoscerlo e di vergognarci, io come giornalista per prima, di tanta fragorosa assenza.

Siate però sinceri: a quanti di voi interessa?

Perché la notizia è rotolata senza fare rumore, scivolata via come una bomba di gommapiuma, silenziosa e tutto sommato poco accattivante. Non ho sentito echi di trombe impazzite a gridare all’intollerabile sopruso.

Non possono studiare dopo la scuola elementare, non possono lavorare, sono costrette a matrimoni forzati.

A loro sono proibiti i parrucchieri, le passeggiate nei giardini, la guida dell’auto, gli hammam. Se escono di casa, devono bardarsi con il velo integrale.

Non possono nemmeno in alcun modo essere difese, poiché i Talebani hanno proibito a tutte le associazioni umanitarie anche internazionali di assumere donne. Per loro c’è naturalmente il divieto di svolgere lavori come il giudice, o l’avvocato, o il medico: il che significa che senza altre donne a proteggerle e a curarle, le donne tutte sono spacciate.

Per la cronaca, le donne derubate così disastrosamente di ogni diritto in Afghanistan sono 14 milioni, non proprio pochissime.

«Inizia così un nuovo capitolo di punizioni private per le donne che stanno sperimentando una nuova profonda solitudine», ha dichiarato Safia Arefi, responsabile dell’organizzazione afghana per i diritti umani Women’s Window of Hope

Io dico che la loro solitudine si chiama invece abbandono e che a lasciarle sole siamo tutti noi occidentali, che stiamo facendo spallucce alle minacce del leader Akhundzada.

Come si dice, non c’è peggior sordo…

Le donne afghane sono ombre. Sono esseri perduti delle quali non conserviamo memoria. Sarà che i fronti per i quali facciamo sentire la nostra voce sono già tanti e pressanti, così vicini a casa nostra, che spazio nel cervello per le donne schiave dei Talebani non ne troviamo colpevolmente più.

Tutti quei gesti, quelle scelte, quelle abitudini, che per noi sono così normali e scontati, sono diventati un’utopia per le donne in Afghanistan. I divieti si moltiplicano e arrivano a vietare cose a cui non avremmo pensato come ad esempio la vendita alle donne anche delle sim per i cellulari. Se non hanno contatti con l’esterno, fuori dal Paese non si saprà cosa succede loro.

Fino a togliere la loro immagine riflessa nelle vetrine per la strada o negli specchi degli ascensori.Fino a Togliere la loro voce dalle discussioni.

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