Di Paola Francesca Moretti 

I racconti delle drammatiche vicende che hanno avuto come protagonisti gli adolescenti hanno riempito le pagine di cronaca nera delle ultime settimane.
Ragazzi che hanno manifestato il lato oscuro della propria personalità, macchiandosi di reati aberranti agiti nei confronti di familiari o coetanei.
Giovani, troppo giovani! Bravi ragazzi che all’improvviso – ma sarà, poi, vero? O il male alberga latente? – subiscono una metaformosi. Possiamo chiamare al banco degli imputati l’Adolescenza? Verosimile che, oggi, entrare in questa fase di passaggio, si, così delicata, può diventare anche tanto distruttiva? Nel bene e nel male, tra uno scappellotto e un abbraccio, giusto per parafrasare Mussolini educare con il “bastone e carota”, ognuno di noi è stato adolescente.

Per questo motivo che dei nostri figli comprendiamo i repentini cambi di umore, il fatto che preferiscano trascorrere più tempo con gli amici anziché in famiglia, il voler imitare in tutto e per tutto l’amico/a del cuore, per non parlare, poi, dell’uso di un linguaggio indecifrabile a noi vetusti, e tanta altra roba adolescenziale.
La zia di un adolescente mi ha domandato: “Perché i giovani se stanno in gruppo si sentono più forti? Questo si verifica anche sui social”.
Una bella domanda che mi ha fatto riflettere sul potere condizionante del branco, se e quanto farne parte possa incidere sui comportamenti aggressivi di ogni singolo aderente.

Il gruppo adolescenziale conserva ancora in sé una valenza positiva oppure, all’interno di esso, ogni membro viene accettato e rispettato solo in relazione al numero di azioni malevole che è in grado di compiere? Come se l’affermazione di se stessi passasse attraverso forme di aggressività agite gratuitamente e per futili motivi. A una prima analisi, sembra che in cima alla piramide del potere si arrivi compiendo atti sempre più violenti e crudeli. Veramente si diventa leader calcolando le azioni criminali commesse?
Non sempre è facile comprendere cosa passi per la mente degli adolescenti di oggi.

Cosa comporta l’appartenenza a un gruppo?

Senza ombra di dubbio, l’appartenenza a un gruppo comporta il cambiamento del rapporto duale e il bisogno di sperimentare nuovi modelli di comportamento.Diventa significativo usare lo stesso linguaggio, il più delle volte, o meglio dire sempre, accessibile solo alla cerchia di appartenenti; compiere gli stessi gesti, vestirsi allo stesso modo.Il singolo individuo cerca, così, di superare il proprio vuoto adolescenziale annullando le differenze che lo caratterizzano per omologarsi ai compagni.

L’appartenenza al gruppo, per l’adolescente, significa acquisire la sua identità sociale: non agisce da solo, ma come membro di una comunità.

Conclusioni

Oggi, però, il giovane vive due mondi paralleli: reale e virtuale; il virtuale, fortemente condizionante e illusorio, dà al giovane l’impressione che tutto sia possibile senza alcuna conseguenza per le proprie azioni. Quando, poi, ritorna nel mondo reale, si confronta con una serie di situazioni frustranti che non è in grado di gestire. In questi momenti il gruppo diventa il rifugio perfetto, in altri invece diventa la matrice di veri e propri atti delinquenziali.

Chiudo le mie riflessioni con questo aforisma di Martin Luther King
La tenebra non può scacciare la tenebra: solo la luce può farlo. L’odio non può scacciare l’odio: solo l’amore può farlo. L’odio moltiplica l’odio, la violenza moltiplica la violenza, la durezza moltiplica la durezza, in una spirale discendente di distruzione”.

 

 

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