La prima elementare.
Avevi per la prima volta un quaderno a righe e uno a quadretti, la carta assorbente, il libro di testo, l’astuccio con la matita, la gomma, il temperino e i pastelli colorati, la penna con il pennino, tutto nuovo, tutto liscio e profumato infilato nella cartella.
La mamma aveva comprato tutto da un po’ di tempo e tu, ogni giorno, andavi a guardare e toccare quelle cose nuove.
Il grembiule nero con il colletto bianco e il fiocco, avresti messo le scarpe belle con i calzettoni bianchi e, tutto tirato a lucido avresti varcato quel grande portone.
Ti sentivi grande anche se un po’ intimorito, ma i tuoi pensieri, non andavano ancora al di là del giorno dopo, nei tuoi sogni notturni c’erano i giochi fatti con gli amici, scorpacciate di torte e gelati e scorribande diurne.
Eravamo i “remigini” perché la scuola iniziava il primo di ottobre, giorno di San Remigio.
Alla fine arrivava il grande giorno.
Ti svegliavi presto, fremente ed impaziente…. La scuola! Non l’asilo dei piccoli ma la scuola dei grandi.
La mano nella mano di mamma, nell’altra la cartella che quasi toccava terra, ancora non c’erano gli zainetti, e il cuoricino che batteva, salivi le scale e ti trovavi nel grande edificio, mamma ti accompagnava alla tua classe e ti lasciava sulla soglia dopo un piccolo ritocco al fiocco e un bacino di incoraggiamento.
Entrava la maestra e saliva sulla grande cattedra di legno stabiliva i posti ed elencava le regole : appena entrati in classe, tutti seduti al loro posto, all’entrata della maestra tutti in piedi e tutti in coro si salutava “buongiorno signora maestra”, ci si sedeva al suo ordine e poi c’era l’appello. Il primo giorno di scuola non si faceva molto ma, credo che per tutti sia stata una giornata intensa da raccontare a casa, emozione e meraviglia.
Ora non so se le regole sono ancora le stesse, molte cose sono cambiate da allora.
Tutti gli altri giorni sarebbero stati molto diversi ma non lo sapevamo, passata la meraviglia, iniziava l’impegno.
I banchi erano di legno a due posti, più piccoli in prima fila e gradualmente più grandi fino in fondo all’aula, quindi, la maestra doveva scegliere quello che andava bene per l’alunno, visto che i sedili erano fissi e si rischiava di non arrivare al piano del banco.
Nel sottobanco mettevi la cartella, sul banco in alto a destra c’era il calamaio e vicino, orizzontalmente, l’incavo per la penna, la matita, la gomma e il temperino, i primi giorni si usava solo la matita…… e la famigerata gomma che non sapevi ancora come usare con conseguente stropicciamento dei fogli e anche qualche buco nella carta.
Più avanti si imparava a scrivere a penna col pennino intinto nell’inchiostro e lì eran dolori.
Se raccoglievi poco inchiostro, dovevi continuare ad intingere il pennino ma, se ne raccoglievi troppo…….. LA MACCHIA!!!!! Dovevi in fretta asciugarla con l’angolo della carta assorbente e che non ti venisse in mente di usare subito la gomma perché era un buco assicurato, in ogni caso, il voto di “ordine” era compromesso e il bellissimo quaderno di carta bianca, diventava presto una serie di pagine più o meno maltrattate.
Quando si spuntava il pennino, invece di un tratto sottile, ti faceva un tratto largo e diviso in due e, se non avevi con te quello di ricambio, era un vero disastro.
C’era pure il tranello! Quando il calamaio si vuotava, naturalmente dovevi intingere più a fondo e, quando il bidello lo riempiva e tu non lo sapevi, affondavi il pennino di brutto e ti ritrovavi in un pasticcio, dita, mani e anche la faccia sporcate nel tentativo di pulire e dovevi usare tutta la carta assorbente.
Tutto andava bene fino a quando non aumentavano le difficoltà e iniziava a diminuire la pazienza della maestra.
I dettati, i compiti a casa orali e scritti, imparare poesie a memoria, i numeri e le tabelline, gli sguardi disperati alle compagne di classe in cerca di suggerimenti quando non avevi studiato e la maestra beccava proprio te, gli schiaffetti sulle mani se facevi la monella e se eri recidiva, filavi dietro alla lavagna e a casa con la nota.
Ti beccavi pure la punizione a casa perché non esisteva la contestazione da parte dei genitori riguardo ai provvedimenti disciplinari dell’insegnante.
Altri tempi, ora, da quello che ho saputo, molte cose non sono più così ; non parlo naturalmente delle attrezzature che sono logicamente cambiate in base all’avanzare dei tempi e della tecnologia, ma del metodo di insegnamento.
Non sta sicuramente a me giudicare se i cambiamenti siano giusti o sbagliati, quello che penso è che la mente dei bambini in fase di apprendimento è sempre la stessa e che l’insegnamento graduale sia essenziale anche nei tempi attuali, ad esempio l’esercizio mnemonico e quello di ricerca dovrebbero sempre esserci.
Dopo la scuola, una volta fatto il riposino quotidiano ( dove tu non riposavi per niente ma era d’obbligo) e fatti i compiti, si giocava, c’era lo stare insieme, non c’era la TV a fare la balia, pochi e semplici giocattoli azionati non dalle pile ma dalla fantasia, così, con un po’ di terra, qualche sasso, qualche fiore, foglia o bacca si diventava chef o negozianti, si giocava a “settimana”, palla avvelenata, nascondino, a rincorrersi, a mosca cieca, saltavi la corda, facevi giri in bicicletta, tornavi a casa sporco, sfinito e affamato ma mai prima che la mamma ti chiamasse 10 volte e la sera, dopo cena, a nanna e non facevi fatica ad addormentarti.
Ora ci sono altri intrattenimenti, giochi che isolano più che unire e che tolgono molto alla fantasia, all’immaginazione e alla creatività di gruppo. Giochi elettronici che si fanno tra le mura domestiche, che non stancano il corpo e rendono la mente iperattiva e non credo sia un bene.
Ci sono molte attività fuori dall’orario scolastico ma mancano della spontaneità del gioco creato dalla fantasia, fuori, all’aperto, liberi e senza parametri da seguire.
Certo, sono cresciuta in un’ epoca molto diversa ora considerata obsoleta ma mi pongo sempre una domanda : chissà se i bambini di oggi, dove la tecnologia, i media, la pubblicità, sono diventati pane quotidiano, dove tutto è prefabbricato, vivono ancora quelle esperienze con lo stesso stupore e le stesse emozioni. Mi auguro di sì, perché essere bambini e scoprire il mondo poco a poco, è sempre la cosa più bella che la vita ci possa regalare.