Annotazioni su Indulgenza di Compostela, Perdono di Assisi, Perdonanza aquilana e Giubileo del 1300

di Orlando Antonini *

L’AQUILA – Contenuto ed essenza dei giubilei è l’indulgenza plenaria, la possibilità cioè di fruire, da parte di ogni fedele sinceramente pentito e confessato e che ottemperi ad alcune pie condizioni, il perdono di tutti i peccati. Quale lieta sorpresa dunque ha riservato all’Aquila papa Francesco citando per prima volta nella storia la nostra Perdonanza nella Bolla d’indizione di un Giubileo. Egli deve avere una predilezione per la nostra Città. A cominciare dal 2014, quando in Udienza pubblica parlò aquilano agli aquilani in perfetta nostra cadenza, “Jemo ‘nnanzi!”, per rincuorarli nel loro duro post-sisma. Nel 2018 ha creato Cardinale per le sue qualità personali proprio il nostro Arcivescovo. Nel 2022 egli ha accolto benevolmente l’invito del Card. Petrocchi a venire all’Aquila ed aprire per prima volta nella storia in quanto Papa la Porta Santa di Collemaggio, persino ufficializzando, si noti bene, un titolo concepito per la nostra città dal Card. Petrocchi: L’Aquila ‘capitale del perdono’. E quest’anno, ecco l’altro suo grande dono: l’accoglimento della proposta di Mons. Fisichella, a sua volta di nuovo invitatovi dal Card. Petrocchi, ai quali dunque va tutta la nostra gratitudine, di menzionare la Perdonanza celestiniana nella Bolla d’indizione del Giubileo universale quale precedente storico del Giubileo del 1300.

Non è di poco significato il fatto che nella menzione in oggetto il pontefice abbia definito il dono di Celestino V ‘grande Perdonanza’ e l’abbia citato prima degli altri due e molto più noti Perdoni, cioè la Porziuncola e Compostela. Credo che ciò dipenda dal fatto che l’indulgenza aquilana fu concessa da Celestino V con regolare ufficiale bolla, mentre il Perdono di Assisi era stato concesso solo verbalmente da papa Onorio III nel 1216 a S. Francesco. Quanto all’indulgenza di S. Giacomo di Compostela, esiste una bolla nella quale Innocenzo III conferma e rende stabile l’indulgenza che Callisto II aveva elargito nel 1122, il cui testo però, da me chiesto e ricevuto dall’Archivio di quella Cattedrale, risale al XV secolo e reca problemi di autenticità.

Venendo alla Perdonanza aquilana, si rileva in essa l’esistenza, inedita tra tutte le altre indulgenze plenarie del mondo cristiano, di due distinti livelli: uno ecclesiale ed uno civico. Quest’ultimo deriva da quella circostanza storica, tipica del medioevo, quando comunità cristiana e comunità civile spesso coincidevano e la validità delle bolle dipendeva dal possesso materiale di esse da parte dei rispettivi detentori. All’Aquila la Bolla di Celestino è ritenuta di possesso ininterrotto non della Chiesa locale ma del ‘Magistrato’; di qui la prerogativa del Comune ad indire ogni anno le manifestazioni. È su tale dato di fatto che nel 1991 Tarcisio Mannetti, ed altri dopo di lui, asserì che nel 1294 la bolla sarebbe stata affidata brevi manu dalla Cancelleria papale direttamente alla Municipalità aquilana del tempo.

La realtà è più complessa. Nella lettera esecutoria del 18 agosto 1295 di cui diremo, nella quale papa Bonifacio richiede indietro la bolla, egli la richiede non dal Comune ma dai monaci e dal vescovo. Ciò indica chiaramente come al pontefice constasse, dalla propria Cancelleria che in parte era la stessa di Celestino, che il documento era stato originariamente rimesso ai monaci, non ad altri. Anche Raffaele Colapietra, per il quale il possesso comunale del documento dipese semplicemente dalla circostanza che all’inizio del ‘300 e delle prime edizioni della Perdonanza i Camerlenghi del Comune e i Priori celestini di Collemaggio furono spesso la stessa persona, presuppone che la bolla appunto non fosse in possesso del Comune ma dei monaci.

Come dunque il Comune entrò in possesso della bolla? Ciò non può spiegarsi se non ammettendo che, all’inizio, l’originale del documento fosse affidato effettivamente alla Chiesa locale, nel caso in specie ai Celestini di Collemaggio, ma che questi, quando il 27 dicembre 1294 Bonifacio VIII manifestò l’intenzione di cassare «tutte le dispense, i privilegi e le altre dimostrazioni di favore» concesse dal predecessore, per salvare il privilegio indulgenziale di Collemaggio ai primissimi stessi del 1295 sarebbero ricorsi ai maggiorenti aquilani, concordando con loro l’affido in custodia al Comune della Bolla del Perdono. Sicché, quando il papa ordinò sotto pena di scomunica ai monaci di rimettergli il documento attraverso il vescovo, egli non riebbe mai la pergamena di Celestino perché le lettere di richiesta furono indirizzate a destinatari che non la possedevano più, e questi non potettero essere sanzionati in quanto non erano incorsi in disobbedienza. Dovremo essere per sempre grati a quei maggiorenti per essersi prestati a salvare in Comune il grande dono di Celestino V alla chiesa di Collemaggio, pur non senza calcolato interesse, perché ben consci di quanto un’indulgenza del genere a quei tempi comportasse, con la sua valenza spirituale, anche un importante ricasco in accrescimento del potere economico e civile della città e del suo prestigio. Come poi sia stata possibile tale «spregiudicata validità delle genti aquilane ed abruzzesi dell’epoca», come scrisse Amedeo Cervelli, a poter impunemente rifiutarsi di restituire la bolla, ritenere invalide le revoche del papa e continuare tranquillamente a celebrare il Perdono”, sorprende non poco. In Comune poi il documento restò in sicurezza, determinando il governo civico a considerare suo diritto-dovere la salvaguardia di esso e la gestione organizzativa del Perdono medesimo. Così l’evento sacro è divenuto anche evento civico, anzi la manifestazione annuale più importante della Città, diventando componente essenziale dell’identità culturale locale.

Nel corso del tempo, peraltro, i principi della romanistica medioevale secondo cui il valore di un contenuto cartolare si identificava nel possesso della res il cui contenuto dispositivo veniva meno soltanto con la ‘restitutio’ del documento, furono superati. Così già nel 1460 e 1468 e di nuovo tra 1472 e 1477 è documentato che la Perdonanza poté essere sospesa dal Papa in tutta validità giuridica ed esecutiva. Oggi la Bolla celestiniana riveste importanza solo storica, la sua validità non dipende più dal suo possesso bensì soltanto dalla volontà del pontefice: essa venne confermata dai papi successivi, ultimi Paolo VI nel 1967, Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000 e, stavolta solennemente, nella bolla giubilare di papa Francesco Spes non confundit. Per questo motivo alla Perdonanza di quest’anno sono state lette due bolle: quella storica dal Sindaco, quella attuale validante dal nostro Arcivescovo. In più, la presenza all’Aquila del Papa nel 2022 per l’apertura della Porta Santa ha tirato fuori la Perdonanza dall’ambito locale per lanciarla a quello universale, planetario come detto dal Card. Petrocchi e ricordato dall’arcivescovo Mons. D’Angelo. Inoltre, per avere assunto anche il carattere civico all’Aquila si dà maggior rilievo al risvolto sociale e civile del Perdono sacramentale celestiniano consequenziale all’assoluzione individuale del penitente, fino ad attualizzarlo ai problemi del XX-XXI secolo, la pace, la riconciliazione, la solidarietà, e fino a porre il messaggio di Celestino alla base anche della soluzione non-violenta dei conflitti sociali, della difesa dei diritti umani, rendendo più possibile la comunione fra gli esseri umani. A tale essenza religiosa della Perdonanza celestiniana tutte le manifestazioni civili di contorno dovranno di logica armonizzarsi nei contenuti, promuovendo anch’essi il messaggio spirituale di Celestino V. Nell’accollarsi anche il peso economico dell’evento religioso il Comune sa che esso costituisce un autentico investimento, utile al suo prestigio ed al suo sviluppo turistico, occupazionale ed economico.

Veniamo ora alle formulazioni con le quali i tre documenti citati nella Spes non confundit, più la bolla Antiquorum habet fidem di Bonifacio VIII, definiscono ognuno la corrispondente concessione di indulgenza. Partiamo dall’indulgenza compostelliama, che ripeto costituisce un testo quattrocentesco incerto. La frase che interessa è la seguente: “Nos igítur ad hoc predecessorum nostrorum sante memoríe et ejusdem Calixti Pape ac Eugenii et Anastasií vestigíis inherentes,… de Omnipotentis Dei misericordia, ac beatorum Petri et Pauli Apostolorum ejus auctoritate confissi, … plenariam indulgentiam annuatim consequantur visitantes prefatam Ecclesiam”.
Per l’indulgenza assisiate non abbiamo un testo papale ma solo un pronunciamento vescovile. È necessario leggere un passo del Diploma o Codice del 1310, un pò lungo, che dò in traduzione italiana. In esso il vescovo di Assisi Teobaldo attesta che “il beato Francesco, … si presentò al cospetto di papa Onorio, e disse: “Santo Padre, di recente, ad onore della Vergine Madre di Cristo, riparai per voi una chiesa. Prego umilmente vostra santità che vi poniate un’Indulgenza senza oboli”. Il papa rispose: “Questo, stando alla consuetudine, non si può fare, poiché è opportuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare, ma tuttavia indicami quanti anni vuoi che io fissi riguardo all’Indulgenza”… San Francesco gli rispose:“Santo Padre, voglio, se ciò piace alla vostra santità, che quanti verranno a questa chiesa confessati, pentiti e, come conviene, assolti dal sacerdote, siano liberati dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno ed all’ora dell’entrata in questa chiesa”. Il papa rispose: “Molto è ciò che chiedi, o Francesco; non è infatti consuetudine della Curia romana concedere una simile indulgenza”, ma… Ordino che tu l’abbia”…, però regoliamola in modo tale che la sua validità si estenda solo per una giornata”.
Della bolla 1294 di Celestino Inter Sanctorum Solemnia ecco il brano che interessa: “Omnes vere penitentes et confessos qui a vesperis ejusdem festivitatis vigilie usque ad vesperas festivitatem ipsam immediate sequentes ad premissam ecclesiam accesserint annuatim de Omnipotentis Dei misericordia et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius auctoritate confisi a baptismo absolvimus a culpa et pena quam pro suis merentur commissis omnibus et delictis. Datum Aquile etc.
Infine, il passo della bolla 1300 di Bonifacio VIII: “Nos de omnipotentis Dei misericordia, et eorundem apostolorum eius meritis et auctoritate confisi, de fratrum Nostrorum consilio et apostolicae plenitudine potestatis omnibus in praesenti anno millesimo trecentesimo… et in quolibet anno centesimo secuturo ad basilicas ipsas accedentibus reverenter, vere poenitentibus et confessis, …, non solum plenam et largiorem, immo plenissimam omnium suorum concedemus et concedimus veniam peccatorum”.
Come si vede, tutte e quattro queste indulgenze hanno il carattere della plenarietà: l’indulgenza compostellana è definita plenaria tout court; quella bonifaciana è detta genericamente, ‘amplissima’; quelle della Porziuncola e di Collemaggio precisano che l’assoluzione è applicabile a tutti i peccati commessi “fin dal battesimo”. Ma qui sorge un problema. Papa Bonifacio VIII risulta essere stato, di principio, strenuamente avverso a indulgenze plenarie lucrabili così facilmente. Lo dimostra la bolla esecutoria che il 18 agosto 1295, come scrive Elpidio Valeri, «egli emanò da Anagni diretta al priore e ai monaci di Collemaggio. In essa il papa, sostenendo che una tale indulgenza concedendo il perdono a tutti lo rendesse troppo facile, favorisse il lassismo morale e perciò portasse più alla perdizione che alla salvezza delle anime – le stesse identiche accuse che nel ‘200 vedremo vennero rivolte al perdono assisiate – la revocò insieme con tutti i provvedimenti del suo predecessore e ordinò la restituzione di tutti i relativi documenti in possesso della comunità celestina. Contemporaneamente ordinò al vescovo dell’Aquila di costringere il priore e i monaci ad ubbidire».

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Stando così le cose, ne conseguono due interrogativi. Un primo, il perché Bonifacio, se tale era la sua posizione dottrinale, abbia proceduto a cassare solo e soltanto l’indulgenza aquilana e non anche, come logica vorrebbe, anche quelle, di identica natura plenaria, della Porziuncola e di Compostela. Il secondo interrogativo: come sia possibile che Bonifacio VIII stesso, dopo appena sei anni dall’aver cassato l’indulgenza aquilana con tale e tanta motivazione dottrinale, clamorosamente smentendosi l’abbia poi ripresa ed estesa persino a livello universale e per un intero anno per il Giubileo del 1300.
Per il primo interrogativo, cioè il Perdono di Assisi o della Porziuncola, è da tener presente che esso all’epoca di Celestino non era ancora stabilizzato. Sulla sua autenticità, infatti, si avanzarono dubbi dall’inizio. I primi biografi del Santo non ne parlano affatto, il silenzio su di esso arriva praticamente fino al 1260, le prime testimonianze appaiono nel 1277, dopo di che nel 1279 è ben nota la quaestio disputata di Pietro di Giovanni Olivi, se cioè fosse ‘conveniens’ credere che alla chiesa di santa Maria degli Angeli fosse stata data o no l’indulgenza di tutti i peccati. Riassume in proposito Daniele Pinton: «La necessità di una ‘difesa’ dell’indulgenza della Porziuncola si rese necessaria per rispondere alle accuse dei detrattori (soprattutto domenicani) che tentavano in ogni modo e con ogni mezzo di sminuire il valore della perdonanza assisiate. Fra le accuse principali si rimproverava alla Porziuncola di fare impropriamente concorrenza alla Terra Santa; di essere un’indulgenza che ci si poteva procurare troppo facilmente e quindi di diventare agevolmente un’incitazione al peccato; di essere collegata a una cappella pressoché sconosciuta; di non essere stata promulgata con le necessarie garanzie».

Pietro di Giovanni Olivi si dichiarava a favore dell’autenticità del Perdono di Assisi, ma evidentemente la sua difesa non risolse i dubbi. Già il Péano nel 1984 e più di recente Walter Capezzali hanno ricordato come solo nel 1310, a ben 94 anni dal 1216 della concessione orale, il vescovo di Assisi Teobaldo per tranciare definitivamente l’incertezza si sia trovato nella necessità di emanare il cosiddetto succitato ‘diploma’ contro i detrattori di quella indulgenza plenaria. Fu insomma solo nel ‘300 che l’indulgenza della Porziuncola fu ben conosciuta e recepita, mentre l’essere stata la Perdonanza aquilana, al contrario di quella della Ponziuncola, la prima indulgenza plenaria – dopo quella della crociata – promulgata con le ‘necessarie garanzie giuridiche’, permette di parlare della Perdonanza celestiniana come causa ispiratrice del Giubileo universale. La circostanza indica come Celestino V, smentendo già la taccia di sprovveduto che oltre al resto gli si affibbia, abbia curato a ragion veduta di emanare un’indulgenza plenaria bollata.

Per ora sola ragionevole motivazione che trovo di un comportamento contraddittorio del genere da parte di Bonifacio VIII è quella secondo cui sia l’indulgenza della Ponziuncola sia quella di Santiago di Compostela in origine non rivestissero carattere di plenarietà, ma costituissero indulgenze parziali. Diversamente, se la Porziuncoila avesse avuto carattere plenario il vescovo Teobaldo non avrebbe poi potuto aggiungere nel suo diploma che “lo stesso signor papa Bonifacio VIII, anche ai nostri giorni, ha inviato a questa Indulgenza alcuni rappresentanti ufficiali, perché la predicassero solennemente in suo nome, nel giorno del perdono. Inoltre, anche alcuni cardinali, venendo di persona a questa Indulgenza, nella speranza di conseguire il perdono, con la loro presenza l’approvarono come vera e certa”. In breve, le indulgenze di Assisi e di Compostela sarebbero diventate plenarie al momento della compilazione postuma dei rispettivi documenti, magari proprio dietro la controversia tra Aquilani e Bonifacio sull’indulgenza celestiniana. Del resto la prima supplica che S. Francesco rivolse a papa Onorio non era quella di ottenere un’assoluzione da tutti i peccati commessi ‘dal battesimo’ – questa sarebbe l’aggiunta postuma del vescovo Teobaldo – bensì una indulgenza ‘senza oboli’, ossia non legata ad elemosine quale condizione da soddisfare per beneficiarne. Quanto al testo d’indizione del Giubileo del 1300, non può mancare di rilevarsi come Bonifacio VIII abbia evitato, per non dare l’impressione di contraddirsi, i termini di una assoluzione ‘fin dal battesimo’ come era nella bolla di Celestino, concedendo una non solum plenam et largiorem, immo plenissimam veniam peccatorum, che significa bensì indulgenza plenaria, ma interpretabile, a rigore, da valere per i peccati commessi non dal battesimo ma semplicemente dall’ultima confessione fatta.

La risposta al secondo interrogativo, la metanoia cioè della mente di Bonifacio VIII dal rifiuto all’accettazione dell’indulgenza plenaria, appare più agevole. In merito mons. Felice Accrocca così ha riassunto in un recentissimo articolo. «Prima che Bonifacio VIII — nell’anno 1300 — annunciasse al mondo il grande perdono, la cristianità medievale non aveva mai celebrato un giubileo come noi l’intendiamo oggi… Tuttavia, l’idea non nacque nella mente del pontefice e neppure in quella dei suoi stretti collaboratori. Grazie a una fonte di straordinaria importanza, il De centesimo seu Jubileo anno opera di Jacopo Stefaneschi, cardinale diacono di S. Giorgio al Velabro, possiamo infatti conoscere gli antecedenti della decisione che spinsero infine papa Caetani a concedere al mondo la «pienissima» remissione dei peccati. «S’era andata diffondendo una voce — narra lo Stefaneschi — che riguardava l’anno santo, di cui allora si attendeva l’inizio ormai imminente con il numero di 1300. (…) Essa divulgava una promessa: chi si fosse recato a Roma nella basilica di S. Pietro, Principe degli apostoli, avrebbe ottenuto la pienissima remissione di tutti i peccati»… Quasi per tutta la durata del primo gennaio rimase nascosto il segreto della nuova remissione; ma, al declinare del sole, verso sera, fin quasi al silenzio profondo della mezzanotte, i Romani ne vennero a conoscenza: ed ecco il loro accorrere in folla alla sacra basilica di S. Pietro. Si ammassano accalcati presso l’altare, ostacolandosi a vicenda così che a stento era possibile avvicinarsi, come se pensassero che in quella giornata, che tra poco sarebbe finita, dovesse terminare con essa la concessione della grazia, almeno di quella maggiore». Non dall’alto, dunque, ma dal basso la voce prese corpo. E, una volta partita, niente e nessuno riuscì più a fermarla”.

“Bonifacio VIII – continua mons. Accrocca – non volle però arrendersi. D’altronde, non aveva già decisamente avversato la decisione di Celestino V che, appena qualche anno prima, aveva allargato a dismisura i cordoni della borsa concedendo l’indulgenza plenaria a quanti, in un determinato giorno, pentiti e confessati, si fossero recati a L’Aquila, alla basilica di S. Maria di Collemaggio? Per questo motivo, riferisce ancora la nostra fonte, «il buon padre decretò che si ricercassero riscontri negli antichi libri. Ma da essi nulla venne in piena luce di quanto si cercava… e non venne fuori nulla perché nulla c’era stato, ciò che peraltro metteva il pontefice allo scoperto perché senza precedenti ai quali potersi appoggiare, se non la decisione del suo immediato predecessore, sulla quale egli non poteva — né voleva — certo far leva”.

Qui, noi però preciseremmo che nulla venne fuori da quelle ricerche non in rapporto alla concessione di indulgenze plenarie (esisteva già da tre secoli almeno quella della Crociata, se non si vogliono considerare il perdono celestiniano o quello assisiate) bensì in rapporto alla celebrazione di un anno giubilare centesimo.

“Bonifacio VIII – prosegue mons. Accrocca – chiese allora «il parere del Sacro Collegio dei padri circa la nuova materia dell’anno centesimo, non ancora appieno approfondita». Il papa era tutt’altro che uno sprovveduto e ben sapeva di doversi avventurare su un terreno non ancora battuto. Un sì o un no in quel frangente non potevano, peraltro, giungere senza una consultazione previa: infatti «al quesito fu data, per i meriti degli apostoli, risposta favorevole». Si giunse così alla decisione dell’indizione giubilare, resa pubblica, con la lettera Antiquorum habet fida relatio, il 22 febbraio del 1300”.
In breve noi diciamo che occorre dare atto a Bonifacio VIII, evidentemente impressionato sia dalla caparbietà degli Aquilani a non restituirgli la bolla e continuare a celebrare la Perdonanza come abbiamo visto, sia dal grande flusso di pellegrini e dal massiccio favore spirituale che nel popolo di Dio le indulgenze plenarie sprigionavano, di aver avuto l’avvedutezza di riconoscere come vox Dei la vox populi, di tornare sulle sue posizioni, recepire le istanze sociali, spirituali e civiche provenienti dal basso, cambiare idea sulle indulgenze stesse e indire appena sei anni dopo, nel 1300, il giubileo universale. Lì comunque, indicendo il giubileo, Bonifacio non fece altro che ampliare ad un anno e istituzionalizzare in forma giubilare centenaria, l’iniziativa indulgenziale del suo predecessore.
Per concludere, una parola sulla nostra Porta Santa. Per sé la Bolla di Celestino V non prevede, al fine di beneficiare dell’indulgenza plenaria, l’entrata attraverso una speciale porta, ma solo che, pentiti e confessati, si visiti la chiesa di Collemaggio. La ‘Porta Santa’ costituisce una innovazione, e un’innovazione tardiva: ben conveniva del resto, per i pellegrini, un atto rituale formale di entrata in chiesa per la visita indulgenziale. All’Aquila si tratta di un’intelaiatura lombarda neo-romanica, con spalle a risalti in pietra rossa e colonnine cilindriche in pietra bianca, che continuano concentricamente nel grande archivolto. Il tutto è impreziosito dalle policromie della lunetta, una Vergine e Bambino tra San Giovanni Battista e San Celestino in affresco, di fine ’300, attribuito dai critici alla maestranza tardo-gotica d’indirizzo neo-senese attiva all’Aquila fra il 1381 dell’affresco di Sant’Amico e l’ante-1413 degli affreschi di San Silvestro. Come si sa, il Gavini datò la Porta a fine ‘300 in base al testamento 1397 di Simone di Cola da Cocullo e questa datazione si era fatta tradizionale. Ma essa, come ho fatto presente in altri lavori che qualcuno non ha letto bene, non è più sostenibile per diverse ragioni. Per di più il Chini, prendendo dall’Antinori, ricorda che il documento testamentario di Simone da Cocullo disponeva in realtà che la porta «si adornasse piuttosto di marmi, che di pitture», quindi non di dipinto ma di gruppo scultoreo. Il che non è evidentemente attribuibile all’attuale Porta Santa.
Tuttavia la detta tradizionale datazione della Porta al 1397, attesi non il testamento di Simone di Cocullo ma i caratteri formali e stilistici di fine ‘300 dell’affresco della sua lunetta, varierà di poco rispetto a quella finora invalsa. La data può risalire, a nostro sommesso parere, al 1394, probabilmente per celebrare il primo centenario dell’istituzione della Perdonanza. Non sappiamo se il precedente duecentesco portale fosse già Porta Santa. Per l’attuale si dispone di una testimonianza monumentale inequivocabile: nel 1394 o giù di lì dell’affresco, la porta, Santa lo era di certo, giacché il soggetto iconografico del dipinto, con Celestino V in atto appunto di dispiegare il rotolo della bolla del Perdono mentre nella sua usuale iconografia egli regge un libro, la dimostra senza alcun dubbio collegata all’indulgenza.
Tutto ciò pone un interessante quesito rispetto alle Porte Sante delle basiliche romane. Ovvero: se la Porta Santa aquilana stando all’epoca del suo affresco è del 1394, comunque di fine ‘300, essa sarebbe più antica di quelle, dato che delle Porte romane si ha notizia solo in pieno ‘400. Lo ha ribadito proprio in questi mesi Pietro Zander in un articolo su L’Osservatore Romano. Egli anzi scrive che “recenti e argomentati studi di Antonella Ballardini riferiscono l’introduzione di una Porta Santa in San Pietro al Papa Niccolò V Parentucelli” per il grande Giubileo del 1450. In merito, chi vi parla era stato più ampio, anticipando la data delle Porte Sante romane al Giubileo del 1425. È ciò che nei miei lavori mi ha indotto a ipotizzare che possa essere stato il nostro S. Bernardino, il quale predicò a Roma il Giubileo del 1423 e dati i suoi rapporti con L’Aquila già a quel tempo, a suggerire a papa Martino V per detto Giubileo, sull’esempio appunto della già realizzata Porta Santa di Collemaggio all’Aquila, di introdurre tale devozione anche a Roma. Dovrebbe quindi dirsi che, fino a quando non verranno alla luce testimonianze documentali che lo smentiscano, all’Aquila l’introduzione della Porta Santa col suo rito di passaggio si sarebbe effettivamente verificata in anticipo rispetto a Roma – come vi si era anticipato il Giubileo universale.
Oggi, forse per la successiva e a nostro sommesso giudizio troppo prodiga concessione di indulgenze plenarie da parte della Sede Apostolica, si registra una certa ‘svalutazione’ di esse. È quanto obiettarono ad Onorio III, si legge nel codice teobaldino del 1310, i cardinali presenti nel 1216, circa la supplica di S. Francesco: “Badate, signore, dissero, che se concedete a costui una tale indulgenza, farete scomparire l’indulgenza della Terra Santa e ridurrete a nulla quella degli apostoli Pietrro e Paolo, che sarà tenuta in nessun conto”. È del resto dall’orizzonte stesso dell’uomo moderno secolarizzato che al contrario dell’uomo medioevale la prospettiva eterna, pertanto anche la ricerca di ‘perdonanze’, si è svigorita. Non per questo tuttavia ha perso d’interesse il perdono. Anzi, come anche da me notato in altri lavori, il perdono sta riprendendo grande importanza, perfino a livello delle neuroscienze. Possa esservi quindi una grande ripresa nei cristiani del desiderio di Perdonanze, sia di quella celestiniana sia di quella giubilare del 2025. Anche questa è speranza, grande speranza, giacché significherà che vi è stato un recupero del senso del peccato e dell’esigenza di esserne perdonati.

*Nunzio Apostolico

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