Di Paola Francesca Moretti 

Gli eventi drammatici che, negli ultimi giorni, hanno riempito le pagine di cronaca nera mi lasciano in bocca un sapore amaro orripilante, paragonabile a quello di colui che ha subito una brutta sconfitta. In questa società dove sovrabbondano occhi spioni tanto da far rientrare la privacy nella categoria optional, le apparecchiature super tecnologiche che hanno sostituito le suppellettili famigliari, il mondo virtuale spesso freddo e tossico divenuto il surrogato genitoriale…

E, poi, ci si meraviglia se i giovani hanno posizionato l’interruttore emozionale su off?

Un’epidemia virulenta, forse mai verificatasi nella storia dell’umanità, ha colpito i nostri ragazzi, sempre più aggressivi, sempre più violenti, e soprattutto sempre meno propensi a fare un mea culpa per i propri comportamenti scellerati.
Dalla strage famigliare di Paderno Dugnano passando per l’agghiacciante vicenda dei neonati sepolti in giardino nella località di Traversetolo per finire all’omicidio della 42enne M.C. a Viadana. Qual è il filo conduttore di questi efferati delitti? I giovani dall’età compresa tra i 17 e i 22 anni. Tre ragazzi normali, tranquilli, riservati, dalla classica faccia pulita. Una maschera pirandelliana? Sai, di quelle uno, nessuno e centomila, in base al contesto in cui mi trovo e alle persone con cui mi relaziono indosso la maschera di convenienza.

D’altra parte si dice che pure il narcisista ha – non abbia – perché è la letteratura scientifica ad affermarlo – ben sette maschere. A mio avviso anche qualcuna in più, non si sa mai, se non è in grado di fare presa con la settima ha la scorta dove attingere.

Ragazzi normalissimi e poi scopri l’orrore, l’abisso nella loro anima. La violenza giovanile è divenuta una vera e propria emergenza sociale che non può più essere ignorata. Qualcuno pensa di risolverla equiparando il codice del processo penale minorile a quello contemplato per gli adulti. Allo stato attuale, la nostra legge, in particolare l’articolo 98 del Codice penale, recita che il minore di anni 18, che ha compiuto almeno 14 anni, è responsabile per i reati da questi commessi. La pena viene comunque ridotta rispetto a quella prevista per i maggiorenni.

Sarà sufficiente? Ad avere la sfera di cristallo! Tale misura, se da un lato, si presterebbe ad aumentare il senso di responsabilizzazione del reo per il crimine commesso, oltre che di giustizia nei confronti della vittima facendo scontare la pena equa, dall’altro mi domando – fare entrare un minorenne in carcere con una condanna all’ergastolo prevista, ora, solo per l’adulto, non si manda a fare benedire il discorso millenario di ri-educazione e inclusione nella società del colpevole minore? – Per non parlare del fatto che la sua personalità è in divenire, i modelli di riferimento per un suo sano sviluppo quali sarebbero? Altri delinquenti, forse, anzi senza forse, della peggior specie. Ci si muove su un terreno scivoloso, dunque, meglio procedere con estrema cautela.

Osservo lo scollamento dalla realtà, ovvero, tra ragazzi e realtà vera, concreta, immersi principalmente in quella virtuale, vivono due mondi paralleli, ormai incapaci di distinguere le azioni buone da quelle malevole. I giovani hanno talmente dentro sé la realtà virtuale che, a mio avviso, sono convinti che rappresenta, o meglio, è la vita reale. Non sarebbe bene iniziare a educarli, sin da piccoli, a conoscere quello straordinario mondo che alberga in ogni essere vivente fatto di emozioni e sentimenti? Forse, però, si dovrebbe cominciare dalle figure principali di riferimento, ossia, i genitori, ma mi rendo conto che suono un tasto grave e dolente, quindi, preferisco chiudere lo spartito.

Se i giovani sono il futuro del mondo, allora, tocca a noi adulti aiutarli a riposizionare l’interruttore emozionale su on. Impariamo a essere archetipi di responsabilità ed empatia affinché essi possano crescere responsabili ed empatici e principalmente portatori di rispetto verso la vita.

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