La recensione del Direttore Daniela Piesco
Da sempre i cattivi non sono cattivi e basta, si sa, che la loro è una storia che nasce dal dolore e dalla sofferenza ma attenzione al bisogno di cercare sempre una spiegazione comprensibile , ragionevole per le loro azioni.
Esistono cattivi che non sono motivati da storie di traumi e fanno quello che fanno perché vogliono farlo, per il gusto di essere cattivi . Forse sono i media moderni a cercare di spiegare tutto e a dare una ragione un “perché”finendo con il mettere in scena lo scacco di un potere criminale che rappresenta una zavorra per l’emancipazione civile e sociale.
Ma veniamo al film .
Il film non è un film ma la versione musical dark degli sdoppiamenti di personalità, delle delusioni più brucianti e delle derive criminali.
Al ghigno sbiadito e depresso di Arthur Fleck ovvero Joker stavolta gli si affianca lo sguardo invasato e folle dell’inquietante groupie Lee Quinzel: i due cantano, ballano, (si) fanno del male in una disturbante e contagiosa Folie à deux…
Ma la “follia a due” non è quella tra Joker e Harley Quinn, ma tra Arthur Fleck e Joker.
Ritroviamo il protagonista , infatti, chiuso all’Arkham State Hospital, completamente svuotato. Ci sono solo le botte e gli insulti dei secondini a scandire le sue giornate. Poi, quasi come una visione, Harleen “Lee” Quinzel, conosciuta nel corso di musica della prigione, gli confessa di essere lì per lui: Joker l’ha ispirata, facendole intravedere la possibilità di una vita diversa. Grazie a questa iniezione di vitalità, Arthur affronta il tribunale con un nuovo spirito. Ed è proprio durante il processo che Joker riemerge con prepotenza, spingendo l’imputato a presentarsi al banco dei testimoni truccato nel modo in cui tutti lo conosciamo.
A questo punto, sotto processo , però , è come se ci fosse il film stesso : sembra quasi che, colto dall’ansia di non ripetersi o di voler fare qualcosa di originale a tutti i costi, il regista abbia finito per distruggersi a metà tra il
coraggioso e l’auto-sabotaggio..
Quando, infatti, riemerge l’ auge di Joker pronto al ribaltamento di Gotham City , Arthur Fleck riprende il controllo della situazione e fa un passo indietro: una volta libero ha paura.Invero pur liberato da una bomba che apre uno squarcio nell’aula di tribunale e fuggito per le strade della città,caricato su una macchina da due suoi estimatori, non vuole più vivere di criminalità, vuole scappare, rifarsi una vita altrove con Lee e il bambino che lei gli ha detto di aspettare.
La donna però è disgustata da questa dimostrazione di debolezza: lei vuole il Joker, ha sempre amato la maschera e non l’uomo.
A questo punto Arthur, privato dell’energia che lo aveva risvegliato, si lascia arrestare di nuovo.
In carcere rimane solo con un detenuto che lo avvicina e gli racconta una barzelletta. Quando ha finito, tira fuori una lama e pugnala più volte il protagonista, che si accascia al suolo. Mentre Arthur è in una pozza del suo stesso sangue, il giovane aggressore si taglia le guance, disegnando l’inconfondibile sorriso del vero Joker.
Ecco il nuovo male che attanaglierà ancora la società,un male evidentemente di cui la stessa non può farne a meno.
Ma da questo nuovo male ne siamo affascinanti o ne siamo sedotti ?
Se il buono ha il solo compito di risolvere ogni cosa e di far tornare la trama della storia alla normalità è questa che in fondo non accettiamo? Esiste un desiderio incontrollato e allo stesso tempo inconfessabile di vivere fuori dagli schemi?
Il sequel , giacché il cattivo viene umanizzato dalle sue stesse debolezze perdendo la sua invincibilità , non si presta a competere con il successo del primo film.
” Per favore smetti di cantare?”dice Arthur ad Harley proprio nelle fasi finali del film ed è lo stesso che pensa lo spettatore sfinito che giunge all’ ultima scena con un unica e inequivocabile verità: Jocker è in ognuno di noi e forse Harley era la portatrice delle nostre aspettative .
Ai posteri l’ ardua sentenza ma la verità,come sosteneva qualcuno, è sempre nel mezzo.
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