Editoriale di Roberto Fronzuti direttore dell’ Eco di Milano*
La guerra in Medio Oriente sta prendendo una brutta piega. E’ un crescendo di nuovi focolai, di guerriglie, che provocano distruzione e morti. Oggi, 7 ottobre, è il triste anniversario dell’attacco che il movimento palestinese di Hamas ha scatenato contro Israele, causando la morte di 1200 persone e sequestrandone altre 200; il tutto accompagnato da saccheggi, abusi e violenze sulle donne.
A fronte della barbarie commessa da Hamas, gli israeliani hanno avuto una reazione sproporzionata, uccidendo 42.000 palestinesi.
Questo massacro si è consumato mentre l’Onu e gli Stati Uniti sono stati passivi, senza neppure provare a fermare il conflitto con una forza di frapposizione fra i due contendenti. Dove sono finiti i famosi Caschi blu dell’Onu? La verità è che fino al momento in cui l’Onu è nelle mani del Consiglio di Sicurezza formato da Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti (i Paesi vincitori dell’ultima Guerra mondiale più la Cina), l’assemblea delle Nazioni Unite rimarrà un organismo pleonastico; fiumi di riunioni, passerella per i potenti di tutto il mondo e zero risultati.
Non è possibile, a ottanta anni dalla fine della Guerra mondiale, che uno dei Paesi, che fa parte del Consiglio di sicurezza, abbia potere di veto e che possa bloccare la decisione presa dalle 200 nazioni che costituiscono l’Onu. Nel recente passato, nei nostri editoriali, abbiamo teorizzato la costituzione di una forza di pace, quattro volte più grande dell’esercito degli Stati Uniti, costituita con la partecipazione di tutte le nazioni che fanno parte dell’Onu, ciascuna (proporzionalmente al numero di abitanti) per contribuire con i propri soldati.
Una grande forza di pace pronta a spegnere sul nascere tutti i focolai di guerra che possono nascere sul nostro Pianeta. Non è pensabile che nel 2024, intere popolazioni si scannino fra di loro, mentre il resto del mondo sta a guardare. Si parla di Ucraina e Medio Oriente, ma nel mondo, attualmente, sono cinquanta le guerre dimenticate.
Come nazione, Israele è nata nel 1948, dopo l’olocausto, per volere delle potenze occidentali; per dare una patria al popolo ebraico, sparso per il mondo. Ma da settantacinque anni, fin dalla nascita di Israele ci sono state le guerre, e non si è mai riusciti a fare della Palestina uno stato.
Israele è una nazione di 10 milioni di abitanti, circondata da Paesi arabi che ne contano 500 milioni; gli israeliani hanno tutto l’interesse a vivere in pace con i popoli confinanti, ma non è così. Israele ha vinto cinque guerre, ma non sono servite ad assicurare la tranquillità ai propri cittadini, che –viceversa – vivono nel terrore di attacchi, come quello, ignobile e sanguinario, sferrato da Hamas il 7 ottobre 2023.
Sono in molti a chiedersi perché decine di migliaia di persone sfilano a favore della Palestina e protestano contro Israele. Io non sfilerei per sostenere la causa Palestinese, ma sta di fatto che alla strage dei 1200 israeliani uccisi da Hamas è seguita la carneficina di 42mila palestinesi. Questa reazione sproporzionata di Netanyahu fatto perdere agli israeliani la benevolenza che universalmente era loro riservata, a causa dello sterminio di sei milioni di ebrei da parte dei nazisti.
Non è il caso di dire gli israeliani, ma il capo del governo di Israele Netanyahu, si è comportato come Hitler.
In questo panorama spettrale, svetta la cattiva coscienza dei Paesi cosiddetti occidentali, a partire dagli Stati Uniti che potrebbero obbligare Netanyahu a smettere di fare il “folle”. Gli Usa danno soldi e armi a Israele; sarebbe ora tagliare i viveri. Francia e Gran Bretagna potrebbero rinunciare al seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e porre fine alla loro dittatura, che a oggi impedisce alle Nazioni Unite di essere un organo utile, democratico e decisionale.
*Editorialista per l’ Eco del Sannio
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